Chapter one

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MIO DIO.

Presi un grande respiro e scesi dall'aereo.

"Bentornata.." mormorai a me stessa mettendomi in fila per il check-out.

Il John F. Kennedy International Airport è enorme, adornato da bandiere americane e colmo di persone che giungono qui in destinazione o in scalo da tutti i paesi.

Davvero meraviglioso.

Alzai lo sguardo sul cartello di fronte a me e notai di aver sbagliato corsia, ovviamente, uscii da quella errata e mi recai a quella giusta.

Dopo cinque ore di aereo con un bambino che a quanto pare non sa fare altro che piangere, posso permettermi di sbagliare un nome, o no?

Se avessi posto la domanda a mia madre la risposta sarebbe sicuramente no.

O almeno così mi ha sempre insegnato. Eccellere in tutto. Vuoi essere qualcuno? Vuoi avere qualcosa? Sii perfetta. Sempre. Non mostrarti indifesa, debole, impaurita o tutto ciò che non va a braccetto con la perfezione. Sapete che ne penso? Bugie.

Ma maturando ho elaborato una risposta tutta mia, non mi lascio più influenzare dalle sue parole.

La perfezione è sopravvalutata. Cos'è? Lo stereotipo che ci hanno inculcato della barbie perfetta bella e magra o semplicemente la coscienza di essere a nostro agio con noi stesse, di conoscerci e di reputarci, noi per prime, perfette a modo nostro.

Finii di fare la fila e m'imbattei in una graziosa signora che portava in braccio un bimbo leggermente sovrappeso dagli occhi azzurri.

Sorrisi cordialmente ad entrambi e ricominciai a sentire la lagna che mi ha accompagnato nelle ultime ore.

Mi avvicinai lentamente sorridendogli "Ciao piccolino" sorrisi appena amichevolmente toccandogli la mano.

Il bambino in tutta risposta iniziò ad urlare. Alzai lo sguardo mortificata verso la signora.

Perché i bambini dopo un po' non perdono la voce a forza di urlare?
Pensiero troppo cattivo?

Okay Ambs, esci dall' aereoporto, prendi l'autobus e arriva alla Columbia in tempo per la riunione delle matricole, poi ti metti a letto e mangi fino ad addormentarti. O almeno questi erano i programmi..

Sospirando passai le porte automatiche e incrocai le dita come uso fare quando sono agitata. Premetti il pugno conficcandomi le unghia nel palmo, vagai per la stazione cercando la fermata dell'autobus.

Mi guardai attorno notando qualche occhiata da un gruppo di ragazzi che avranno avuto più o meno la mia età.

Mi morsi il labbro e notai una colonna gialla con il logo della mia scuola. Grazie a Dio.

Ammetto che è stata dura essere accettata da una delle scuole della Ivy League,ma avendo avuto mia zia a spronarmi a studiare sono riuscita ad avere la borsa di studio, di molto aiuto visto che il dormitorio costa più di un occhio della testa.

Mia Zia Corey, è una celebre chirurga nell'ospedale pediatrico di Pittsburgh, quando ci siamo trasferite da Brooklyn in Pennsylvania ci ha ospitate nella sua villetta.

Uno dei posti meno amichevoli che abbia mai visto, davvero.

Tutti che "Amber, ma come ti sei vestita? Lo sai che siamo nel 2021? Non negli anni 80. Quella maglia sarà almeno una XXL" e scoppiavano a ridere. Si divertente, molto, davvero.
Haha.

Mi sedetti sulla panchina e presi il telefono recuperando le cuffiette, infilandole nel telefono misi in play la mia playlist.

Partì Do you wanna know? dei Arctic monkeys.
Notai la navetta avvicinarsi e sospirai di sollievo alzandomi dalla fastidiosa asse di legno, infilai il telefono nella tasca di dietro del jeans e ascoltai i ragazzi del gruppo di prima parlare e ridacchiare.

||Callahan.||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora