III. Like A Phoenix

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Seduta su questa seggiola in plastica, fisso un punto impreciso davanti a me.
Chi passa può distinguere una ragazza che sta ammirando lo splendido paesaggio costituito dagli alti alberi del parco illuminato dal tiepido sole d'agosto che è in procinto di tramontare, ma in realtà non è così. L'apparente tranquillità cela e si contrappone al tumulto interiore dovuto al frenetico flusso di pensieri.
Chiudo gli occhi e stringo i pugni quando la scena dell'aggressione mi invade la mente. Sussulto e impercettibilmente il mio corpo viene scosso da brividi di terrore. Ripenso all'arrivo della polizia e dei paramedici, che insieme a mia madre mi hanno portata in ospedale per eseguire i controlli e accertarsi che io sia stata realmente violentata. Dopo le numerose visite, i poliziotti hanno cercato di farmi parlare per dirgli cosa mi era successo di preciso, ma io mi rifiuto ancora di farlo. Solo pensare all'aggressione, il mio cervello si blocca e crea una realtà parallela governata dalla paura che ciò possa riaccadere.
Molte volte le mie amiche sono venute a trovarmi, ma io mi sono chiusa in me stessa allontanandole e facendo così terminare la nostra lunga e bella amicizia.
Mia madre mi ha proposto di ricominciare a ballare, ma, essendo stata aggredita dopo un allenamento, la mia mente incolpa la danza credendo che essa sia stata la causa scatenante. Se non avessi avuto quell'allenamento, non sarei stata aggredita.
La stanza è silenziosa e l'unico rumore che si sente è il ticchettio dell'orologio che mi fa percepire lo scorrere del tempo. Poi questa quiete si interrompe e si sentono le voci allegre dei parenti in visita ai malati, mentre io attendo, senza voltarmi, l'arrivo di mia madre.
Non tardo a sentire il suo passo deciso ed impaziente farsi sempre più vicino alla stanza in cui mi trovo. Il rumore dei suoi tacchi a spillo riecheggia per il corridoio annunciando la sua presenza. Poi di ferma sulla porta e bussa, sperando che io le risponda, ma ciò non avviene. Entra lo stesso e si accuccia davanti a me.
«Ciao Caitlyn» mi saluta dolcemente prendendomi le mani, «non hai voglia di parlare?» chiede sorridendo e cercando di spronarmi a dire qualcosa, «hai almeno mangiato?» domanda vedendo il vassoio appoggiato al piccolo tavolino ai piedi del letto.
Lascio che le sue parole vaghino nella mia mente ma non rispondo. Mi sono chiusa in me stessa e il silenzio è il mio più fedele amico.
Mia madre sospira. «Caitlyn, ho pensato che magari potremmo lasciare Phoenix» dice catturando la mia attenzione, «andiamocene da qui. Lasciamoci tutto alle spalle. Ricominciamo dall'inizio. Ti va?» domanda con calma.
Ricominciare. Come posso ricominciare se ho perduto me stessa? Ma forse ha ragione. Qui a Phoenix non ho più nulla.
Annuisco sentendo risvegliarsi in me una forte determinazione a cambiare.
Sì. Mia madre ha ragione. Dobbiamo, ma soprattutto devo, ricominciare a vivere.
Lei mi bacia la fronte ed esce per firmare il permesso di rilascio da questo ospedale.
Quell'uomo mi ha violentata pensando di abbattermi e portarmi via la mia dignità, ma ora sono determinata a trarre forza da questa tragedia.
E come una fenice risorgerò dalle mie ceneri.

Sono ormai le dieci di sera quando i medici ci dicono che posso tornare a casa. Già, quella stessa casa in cui non vorrei mai più ritornare. Ma devo. Devo affrontare le mie paure. Prima torniamo a casa, prima facciamo le valigie e prima ce ne andiamo da questo inferno. Non avrei mai pensato di abbandonare la mia città natale, il luogo in cui sono cresciuta e in cui mi sentivo veramente bene con me stessa. Dove non avevo nemici e dove c'erano i miei migliori amici. Ma in questo momento non posso più rimanere qui. Dove andarmene. Mi farà bene cambiare aria. Sarà dura ricominciare tutto da capo. Nuovo stato, nuova città, nuova casa, nuova scuola, nuovi amici. Insomma, sarà tutto completamente diverso. Ma dovrò abituarmici. Non tornerò mai più a Phoenix. Voglio dimenticarmi di questa città anche se penso sarà molto dura. Non si dimentica molto facilmente un evento del genere. Se esistesse un aggeggio come quello usato nel film Men In Black che ti cancella la memoria, lo avrei già utilizzato sentendomi davvero felice. Avrei potuto eliminare dalla mia mente tutto ciò che ho sofferto in queste ultime ore. Il dolore sia fisico che mentale, la paura, il disgusto. Saranno sensazioni che non dimenticherò mai in vita mia. Mi perseguiteranno anche nei miei incubi.

Senza neanche accorgermene seguo mia madre in auto. In una decina di minuti arriviamo davanti a casa. Tutte le sensazioni e le emozioni vissute qualche ora prima mi vengono alla mente e una lacrima riga il mio viso. Mia madre mi guarda e mi abbraccia. Poi lo scioglie e mi prende le mani.
«Se non te la senti, possiamo andare a dormire per le prossime due notti da qualche mia amica...»
La guardo negli occhi e con la mano mi asciugo il volto. «No. Sto bene. Devo affrontare le mie paure ed entrare in quella casa.»
«Va bene. Allora mentre prendo il tuo borsone, entra» e poi scende dall'auto.
Dopo qualche secondo scendo anch'io e percorro il vialetto di casa. Nuovamente tutti i ricordi riaffiorano e le lacrime mi rigano il volto. Entro lentamente e vado in camera mia. Mi butto sul letto e con il viso immerso nel cuscino scoppio a piangere. Lentamente mi abbandono per la stanchezza e cado nelle tenebre addormentandomi.

Velocemente entro in casa e chiudo la porta. Quando sento il campanello, vado ad aprire la porta ma davanti a me, al posto di mia madre, si figura quell'uomo. Spaventata indietreggio, ma velocemente mi blocca i polsi. Sento le sue labbra poggiarsi rudemente sulle mie mentre la sua mano che, percorrere il mio corpo, con un gesto rapido abbassa i miei jeans e il mio intimo.

Mi risveglio da quell'orrendo incubo tremante e completamente sudata. Guardo la sveglia poggiata sul mio comodino che segna le otto di mattina e sospiro. Passo qualche minuto ancora distesa nel mio letto a fissare il soffitto e qualche lacrima inizia a scendere sul mio volto e a bagnare il cuscino. Decido di alzarmi e lentamente prendo dei vestiti dal mio armadio. Vado in bagno e non appena apro l'acqua calda mi fiondo nella doccia. Lascio che l'acqua scorra sul mio corpo e che per qualche attimo mi faccia dimenticare di ieri. Dopo essermi lavata esco avvolgendomi nel mio accappatoio. Mi asciugo e velocemente mi vesto. Poi esco dal bagno e incontro mia madre.
«Buongiorno tesoro, come stai?» mi chiede.
«Ho fatto qualche incubo e sono stanchissima.» le rispondo ancora con la voce impastata dal sonno nonostante abbia appena fatto una doccia.
Mi abbraccia e mi dice «Se non hai nulla in contrario, direi che è meglio se iniziamo a preparare le valigie per il trasloco già da ora.»
Sciolgo l'abbraccio e guardandola negli occhi annuisco. Mi dirigo in camera mia e inizio a fare ciò che ha detto.

*Our Space*
Ringraziamo i lettori! Speriamo che vi piaccia!
Un bacione!! 😘

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 12, 2016 ⏰

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