Prologo

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Il freddo faceva pendant con il suo animo.

Il vento aveva ripreso a scompigliargli i capelli, ad insinuarsi nel cappotto, a dirgli di andarsene a casa, magari davanti ad un fuoco, il camino acceso, il tepore di una coperta.

Di nuovo. Inspirò l'aria gelida di Dicembre sentendo i polmoni riempirsi in quello che sarebbe stato un altro sospiro, uno dei tanti che si susseguivano da ore ormai. E lui se ne stava lì seduto sulla panchina, con gli occhi bassi sul cumulo di neve di fronte a sé.

La verità era che si sentiva spaesato.

Si era sempre sentito tale. Forse non da sempre, ma da qualche tempo sentiva di aver perso qualcosa, qualcosa di importante. Quel qualcosa che lo aveva indotto a non voler provare più nulla, a non sentire altro se non la mancanza, l'assenza di qualcosa dimenticato da qualche parte.

Portò la sigaretta alle labbra inspirando anche quella.

Forse nemmeno stavolta aveva centrato il problema...

Aveva lasciato casa per quasi quattro anni. Si era catapultato in una nuova realtà, aveva tentato di resettare la sua vita. Tanto studio di cose che aveva apprezzato, amato, odiato... per poi scappare.

C'era mai stato un posto per lui?

La schiena si era incurvata, sotto le ore insonni ad imparare formule e numeri, libri e tabelle. Nessuno gli aveva spiegato di dover avere delle priorità nella vita. Nessuno gli aveva detto che il tempo, che gli anni passati a non sfruttare gli innumerevoli hobby, non sarebbero mai più tornati indietro. A ventiquattro anni suonati si era reso conto di essere rimasto fermo troppo a lungo, di aver dato più importanza alle cose più frivole. Il mondo girava, senza aspettarlo. E così, un giorno, aveva deciso di alzarsi anche lui, e di correre nel senso opposto.

Era scappato dai problemi – quelli che adesso, tornato, erano fantasmi che vagavano per la città, silenziosi, consapevoli che lui era lì di nuovo – ed era andato a risolverne altri.

Guardò distrattamente il telefono, tirandolo fuori dal giaccone.

Era tardi ed aveva appena passato l'ennesimo pomeriggio a pensare, a tentare di capire cosa in lui fosse difettoso. Così, ancora una volta si alzò sentendo le gambe pesanti, prese a camminare lento per poi voltarsi ed aspettare quella manina.

Ormai il sole era nascosto tra i palazzi. Era davvero tardi.

Ogni volta, quando il freddo calava sulla città, quando il vento prendeva il sopravvento su ogni cosa e la neve ricopriva tutti i tetti e ogni angolo della città, assumeva quello strano comportamento sia verso se stesso che con gli altri. C'era gente che per mano sciava sulla pista del parco. I bambini ridevano lanciandosi con lo slittino sulla neve.

"Andiamo?" chiese. In cambio quattro denti di un sorriso felice ed una testolina che annuiva.

Percorse la strada di casa, e davanti ad una vetrina si fermò osservandola: era tutta addobbata con ciondoli scintillanti verdi e rossi, la neve finta tra i piedi dei manichini, i maglioncini con quelle fantasie natalizie, i cappellini con i pon-pon e le sciarpone in cui potercisi nascondere in momenti di freddo pungente come quello. Non era tanto l'atmosfera ad aver attirato la sua attenzione, o i dettagli del saldo sulla parete dietro alla scenetta.

Riusciva a vedere la sua ex migliore amica ed altre due persone nuove al suo fianco. Poggiò la mano sul vetro come per aggrapparsi a quel ricordo, come per non farlo scappare, per afferrarlo e non perderlo ancora una volta. Ricordava le nottate passate a dover sistemare la nuova merce, la musica alta a far compagnia ai due che non la smettevano mai di farsi dispetti e ridere come due scemi, cosa che andava decrescendo nel silenzio man mano che l'alba prendeva il posto della notte.

In quel negozio, ora, Liz rideva con due nuovi commessi. Sembrava felice.

C'è sempre un perché a tutto, ad ogni azione.

C'è sempre una causa ed una conseguenza per ogni scelta fatta. Quando aveva iniziato a perdere la testa, ad aver paura di se stesso, si era allontanato da tutti. Ora, lei lo aveva dimenticato...

E forse per il meglio. Aveva scelto di tornare, quando capì che certe cose non sarebbero mai andate via dalla sua testa, non lo avrebbero lasciato mai.

"A cosa stai pensando?" la piccola al suo fianco lo riportò alla realtà. Quel pensiero triste s'infranse. Quasi ebbe paura che se ne sentisse il rumore.

"Niente, davvero." sussurrò abbassandosi e arruffandole i capelli. Il fatto è che non riusciva a mentire agli occhi della piccola peste. Non ne era capace, e la bocca tirata, il sopracciglio inarcato dell'altra erano la conferma che neanche lei ci sarebbe cascata.

"Lo sai che non me la bevo, vero?" lo canzonò guardandolo negli occhi, prendendogli il volto tra le manine e facendogli una linguaccia proprio in faccia.

Aveva chiuso gli occhi, si era lasciato trasportare dall'odore del parco, dal calore delle mani di quel piccolo uragano, dalle sue risate, dal suo respiro, dalle sue domande.

Sentiva freddo, ma poco importava.


The one that got away.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora