gli Hunger Games visti da Gale.

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Questa mattina mi dirigo nel bosco prima del solito. Mentre raggiungo il nostro posto, penso a quanto sfortunato fosse questo giorno. La mietitura ci aspetta, puntuale come sempre, e letale quasi quanto Effie Trinket, la presentatrice degli Hunger Games. L' anno scorso aveva una parrucca color blu polvere, che a Capitol City è la moda del momento. Non so perché l'hanno assegnata a noi: al Distretto Dodici vengono sempre mandati i poveri diavoli sfortunati quasi come noi. Noi che non abbiamo da mangiare e che muoriamo di fame tutti giorni, solo che le morti frequenti non vengono mai attribuite alla mancanza di cibo. È sempre il freddo o qualcos'altro.

Mentre l'erba mi fruscia attorno, mi siedo sotto il masso, ad aspettare l'unica persona a cui voglio bene al di fuori della mia famiglia. La prima volta che ci siamo visti, ho pensato che era come un passerotto caduto dal nido. Così fragile e pelle e ossa, ma così determinata. Stava studiando uno dei miei lacci, e io me ne ero venuto fuori con una battutaccia arrogante. Poi avevo cercato di rimediare sorridendo, cosa che facevo raramente, ma avevo scoperto che lei lo diceva ancora meno di me. E non si era sciolta, come le altre ragazze, nel solo vedermi. Lei al contrario si era irrigidita. Ci aveva messo parecchi mesi a ricambiare quel sorriso. All'epoca era una bambina coperta di stracci, appena dodici anni, mentre io ne avevo già quattordici. Dopo quella volta cominciammo a cacciare insieme, e dopo un po' diventammo amici.

Ma ogni anno, in questo giorno preciso, avremmo potuto separarci. Non volontariamente, certo, ma avrebbero potuto pensarci gli Hunger Games. Un giorno all'anno, in ognuno dei dodici distretti, due ragazzi, un giovane uomo e una giovane donna, venivano separati dalle loro famiglie per essere offerti come tributi a Capitol City. Da lì erano buttati in un'enorme arena, dove avrebbero dovuto scannarsi a vicenda. L'ultimo a rimanere in piedi vinceva. Che sistema malato. C'era persino un metodo per fare in modo che venissero estratti solo i poveri: chiunque avesse un'età compresa fra i dodici e i diciott'anni, avrebbe potuto concedere più ripetizioni del suo nome, le nomine, in cambio di una piccola razione mensile di olio e cereali, il necessario per sopravvivere. Io ne avevo già quarantadue: dovevo nutrire quattro fratelli e mia madre, e solo la caccia non bastava. nemmeno con l'aiuto di Katniss. Era stata lei a insegnarmi a tirare con l'arco, in cambio di qualche base sulle trappole.

Durante le mie riflessioni non mi sono accorto che sta arrivando. mentre scala la collinetta sulla quale è situato il nostro masso non le offro aiuto, lo odierebbe. Lei pensa che tra noi non ci sia nulla di romantico, secondo me non è così: almeno non da parte mia.

Mi sono reso conto che provavo interesse per lei quando un giorno, a scuola, ho sentito dei ragazzi parlare di lei:

«Secondo te Quella lì è bella?» Aveva chiesto il primo. sulle prime Non avevo prestato attenzione, ma poi, notando verso chi indicava il ragazzo mi ero fatto attento.

«Chi, Katniss? Se è bella? Amico, quella è una dea.» Ero rimasto un po' sorpreso dal paragone del secondo ragazzo. Non mi sembrava che la mia migliore amica venisse considerata una dea: Certo, metà dei ragazzi, a scuola sbava per un suo sguardo ma lei non sembra rendersene conto.

«Una dea? Perché?» Rispose il primo.

«Perché è così in tutti i sensi! Non si accorge di niente, ma è straordinariamente bella, e brava in tutto. E non la puoi toccare.»

Okay, quello mi sembrava esagerato. Katniss non era così cattiva: non mordeva mica, quindi pensai che volesse intendere che "L'aveva vista prima lui" o cose del genere.

«Perché, scusami? Ha già un ragazzo, o cosa?»

«Chiedilo al, suo amico Hawthorne laggiù. L'ultima volte che qualcuno a osato avvicinarsi a Katniss, Gale l'ha guardato come se avesse voluto scuoiarlo e usare la sua pelle come paraspifferi. Cosa di cui sarebbe sicuramente capace.»

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