45.4K 1.2K 3.8K
                                    

Un mare di luci; blu, verdi, bianche. Ci sono luci e corpi. Davanti a lui, dietro di lui, ai suoi fianchi. Mani; mani ovunque. Sul suo bacino, sul suo petto, sulle sue labbra. Bocche; lasciano tracce dappertutto, cercano uno spazio dove già non ci sia un marchio violaceo. Harry vuole che glieli coprano, quei segni. Vuole che spariscano dal suo corpo, vuole che lui sparisca dal suo corpo e dalla sua vita. Alcool; forse di quello ce n'è stato troppo. Gli gira la testa, ha le vertigini e non capisce più nulla. Un po' quello che gli faceva provare lui.

C'è pure un cellulare dentro la tasca dei suoi jeans, sta suonando da più di un'ora ma Harry neanche se ne cura. Balla come se non ci fosse un domani, si strofina sugli altri corpi senza volto, si fa toccare, desiderare e ammirare come fosse la scultura più bella.

Ha gli occhi serrati e le labbra dischiuse, la maglia macchiata di cocktail alla fragola e delle mani sconosciute che stanno cercando la patta dei pantaloni. Harry non le ferma.
"Bambolina, ti va di venire con me?".

Harry aggrotta la fronte a quel nomignolo. "Non - non chiamarmi così. Harry, mi chiamo Harry".

Solo io posso, gli aveva detto. Solo io.

Si volta a valutare la voce che ha parlato; alto, in forma, camicia costosa e capelli biondi. Ha delle mani grandi, e pure la barba.

"Sì, vengo con te." risponde poi.

Il ragazzo sorride, lo trascina per mano fino all'uscita, ed Harry disconnette il cervello.

•••

Si sveglia la mattina seguente da solo in un letto sconosciuto, niente grandi finestre luminose o odore di caffè. Solo una triste vetrata che si affaccia su dei palazzoni di cemento e un dolore martellante alle tempie. Si passa una mano sul viso, si solleva dal materasso e poggia i piedi sul pavimento freddo.

Non ha idea di dove si trovi o che ore siano, né come si sente. Forse gli basta guardare fuori dalla finestra; il cielo è nuvoloso, ci sono piccole gocce di pioggia che rigano il vetro. La luce che entra nella camera è cupa, deprimente. Rispecchia perfettamente il suo stato d'animo. Si alza e fruga tra i vestiti abbandonati ai piedi del letto, sfila dalla tasca il suo cellulare e trattiene un lamento. Diciassette chiamate perse da sua madre, dodici di Niall e sette messaggi. Cazzo.

Con il cuore che gli martella nel petto digita il numero di Anne. Due, tre squilli e "Sei impazzito?! Dove diavolo - Harry. Dove cazzo sei finito? A scuola non ci sei andato?!"

Uh-oh. L'ha fatta grossa, molto grossa. Sua madre non usa mai parolacce.

"Io... Da Josh. Sai no? Quello di Brixton. Ci siamo svegliati tardi e abbiamo perso il bus".

"Brixton?!" La voce indignata. "Per dio, Harry. Non voglio che tu vada mai più in quei posti, senza dirmelo poi. Non - sei in punizione. Per un mese".

Harry sospira; poteva andare peggio. "Si ma'. Ora prendo un taxi e arrivo".

Sua madre riattacca senza salutarlo. Harry chiude gli occhi e ingoia il groppo che ha in gola. È la terza notte che passa fuori casa in letti non familiari. È la terza mattina che si sveglia in una casa non sua, raccoglie le sue cose e lascia la casa come una puttana.

Sua madre pensa che sia da Niall, o dal suo compagno di laboratorio o, appunto, da Josh. Oggi ha pure saltato scuola.

Sguscia nel piccolo bagno, si sistema i capelli e si da una lavata alla faccia, poi esce e si richiude la porta alle spalle.

Ha ancora la maglietta sporca dalla sera prima, ma non ci pensa neanche un attimo a prenderne una del ragazzo. È troppo intimo come gesto.

I'm your little Scarlet || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora