You're a great dancer

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Le mani strette a pugno, gli occhi persi nel vuoto, seduta su quella sedia, lasciava che le lacrime le rigassero silenziose il volto.
Le odiava.
Lei non era debole, non poteva esserlo. Eppure loro erano sempre lì a ricordarle che per quanto potesse considerassi invulnerabile, lo era. Erano sempre lì.
Aveva combattuto contro ragazzine come lei, e aveva vinto. Aveva combattuto contro agenti di ogni organizzazione, e aveva vinto. Aveva combattuto contro orde aliene, e aveva vinto. Aveva combattuto contro macchine pensanti, e aveva vinto.
Combatteva contro sé stessa, e continuava a perdere.
Non singhiozzava, non si asciugava gli occhi, le lasciava correre, le lasciava bagnare, solcare, segnare, scavare le sue guance. Avrebbe perso, perché combattere?
Lo sentì bussare di nuovo.
– Nat, apri. –
Non rispose.
Avrebbe capito che stava piangendo, anche se molto probabilmente lo sapeva già.
Era talmente pazzo da conoscerla.
Era talmente pazzo da continuare a picchiare sulla porta, da continuare a chiamarla.
– Nat, ti prego. –
Non rispose.
Sentiva d'averlo tradito, e non solo perché aveva scelto di stare dalla parte di Tony.
Ma lui non avrebbe capito.
Non voleva uccidere, non voleva uccidere ancora. Non voleva spargere altro sangue, non voleva sentire altre urla.
Non per colpa sua.
E non era nemmeno riuscita a tenere fede a quella promessa.
Fare il doppio gioco è nel tuo DNA, vero?
Forse lo era davvero.
Lo aveva fatto anche con lui.
Aveva ancora l'odore del tradimento sulla pelle.
Era colpa sua.
Era sempre stata colpa sua. Quelle lacrime erano colpa sua.
Nel silenzio, le sue parole risuonavano all'infinito, accompagnate dai tonfi sordi dei suoi pugni sulla porta.
Avrebbe voluto urlargli di andarsene, di lasciarla piangere, perché era colpa sua, ma non ne ebbe il coraggio.
La sua voce era così familiare, non poteva lasciarla andare. La faceva sentire come se avesse un posto nel mondo.
Non era pronta a lasciar andare anche l'ultima speranza di uscire dal baratro in cui si era nascosta.
– Tasha. – mormorò lui.
Rimase ferma, respirando piano, le labbra socchiuse.
Chiuse gli occhi, ma li spalancò immediatamente.
Brutali, le immagini di quella notte tornarono a farsi vivide.
Soffocò un singhiozzo quando il calore della sua mano tornò sul sul fianco.
Era scappata la mattina dopo, ed era rimasta sola in quella stanza vuota per giorni.
Non si era stupita di sentire la voce Clint.
Era l'unico che sapeva come trovarla anche quando non voleva essere trovata.
Portò una mano alla bocca. Le tremavano le labbra.
– Tasha, ti prego. –
Scosse la testa.
Vattene, non rendere le cose più difficili.
Si sporse in avanti, piegandosi su sé stessa, contorcendo il viso in una smorfia di dolore.
Non voleva nemmeno urlare, singhiozzare, non poteva fare alcun rumore.
Non voleva la sentisse.
– Tasha. –
I colpi si placarono.
Rimasero entrambi in attesa, sperando l'altro reagisse.
Due passi, poi silenzio. Attese ancora.
Non andartene.
Un altro passo, e poi un altro ancora.
Scattò in piedi senza neanche rendersene conto.
Aveva bisogno di lui.
Meccanicamente, si avvicinò alla maniglia di quella porta in legno marcio.
La abbassò. Avrebbe potuto entrare in qualunque momento, ma aveva aspettato. Aveva lasciato che fosse lei ad aprire.
Aprì, e lo guardò negli occhi.
Aveva la stessa t-shirt azzurra che indossava l'ultima volta che l'aveva visto. Chissà se era una coincidenza.
Portava una felpa grigia, quella che lei usava spesso. Profumava di lui. Profumava di casa.
Lui non disse nulla. Sospirò, ricambiando lo sguardo.
Rimasero sulla soglia a guardarsi.
Non la vedeva da parecchio. Qualche settimana, qualche mese. L'ultima volta si era lasciato pestare, aveva ancora qualche livido.
Non l'aveva mai battuta, neanche in addestramento. Forse perché non aveva mai lottato con lei come avrebbe lottato contro un nemico.
Perché lei non era un nemico.
Indossava un paio di jeans e una felpa grigia. Era scalza.
Ormai non si stupiva neanche più.
La prima volta che l'aveva portato in quella baracca, aveva avuto paura potesse crollargli sulla testa. Erano in missione, non avrebbero dovuto vagabondare, ma lei ci teneva così tanto.
Gli aveva detto che ci tornava ogni volta che aveva bisogno di stare sola, che non si preoccupava neanche che la demolissero.
Era lontana kilometri da qualsiasi paesino abitato, non le aveva nemmeno chiesto come l'avesse trovata.
Aveva lasciato che guidasse la sua macchina, così si erano spinti nella campagna aperta, lasciandosi alle spalle le luci di Budapest, per chiudersi in quel capanno.
Ci erano anche rimasti più del dovuto, avevano rischiato di farsi scoprire, ma non avrebbe mai dimenticato quella notte.
E ora era di nuovo lì, solo che la Natasha che aveva davanti non era più serena, non sembrava sentirsi a suo agio, a casa. La Natasha che aveva davanti aveva gli occhi arrossati, le guance bagnate, gli angoli della bocca incrinati e le labbra tremanti.
La Natasha che aveva davanti era crollata, e lui aveva lasciato che accadesse.
– Tasha. – ripeté.
Lei fece per rispondere, ma la voce le si ruppe in un singhiozzo.
Senza pensare, lui fece un passo avanti, accogliendola tra le sue braccia.
Era così fragile. Tremava.
La strinse, lasciando che le sue lacrime bagnassero silenziose la sua felpa. Le baciò la fronte mentre lei continuava a tremare.
Aveva letto la notizia sui giornali.
Sparita la Vedova Nera; Assassina scomparsa, non ha lasciato tracce; La Vedova si prepara ad attaccare?; La famiglia degli Avengers è Vedova.
Aveva riso così tanto quando aveva letto l'ultimo.
Ma era preoccupato, aveva temuto le fosse successo qualcosa. Non la vedeva da così tanto tempo.
Lo era venuto a sapere in modo così brutale, se lo era visto sbattere in faccia insieme alla consapevolezza di averla lasciata andare.
Sapendo che lei li aveva aiutati, sapendo che non le aveva mai dato una risposta a quella domanda.
La strinse ancora e lei si aggrappò alle sue spalle come una bambina spaventata.
Rimasero uniti in quell'abbraccio per quello che parve loro un'eternità, ma nessuno dei due voleva lasciar andare l'altro.
Fu Natasha ad allontanarsi, rientrare, e sedersi nuovamente, senza nemmeno guardarlo più.
Clint sapeva che gli stava disperatamente chiedendo di entrare. Lanciò un'occhiata a quella stanza vuota.
La riempivano solo delle coperte scure abbandonate in un angolo, una sedia rotta, e lei.
La sua chioma rossa avrebbe dovuto essere l'unica cosa colorata nella stanza, ma sembrava smunta, grigia. Sembrava riflettere la solitudine che quel luogo trasudava.
Così lo fece, e si accucciò di fronte a lei, guardandola negli occhi. Erano vuoti.
– Mi dispiace. – mormorò lei.
Abbassò lo sguardo sul pavimento sporco. Le sembrava di intravedere ancora il sangue.
Clint le prese una mano.
– Mi dispiace. –
Fu interrotta da un singhiozzo. Si portò una mano alla bocca, stringendo gli occhi, cercando di non crollare.
Clint rimase a scrutarla, gli occhi grigi coperti da un'ombra.
– Di cosa? –
Le lacrime ripresero a solcare le guance.
– Di tutto. –
Lui non disse nulla. Rimase a guardarla.
Aveva detto tutto e non aveva detto niente. Aveva ancora tanto da dire, ma non era sicura volesse dirglielo. Lo aveva letto nei suoi movimenti, nel suo silenzio, nei suoi occhi.
– Nat. –
Lei alzò lo sguardo su di lui, gli occhi che urlavano una disperazione di cui non si era accorto.
– Mi dispiace. – ripeté ancora.
– Nat che è successo? –
Lei rimase a singhiozzare, stringendo la mano di lui.
Aveva paura.
Aveva paura di scoprire che, dopo tutto, non erano più amici, che non lo erano mai stati. Aveva paura di aver ucciso.
Di nuovo.
– Tony... – mormorò.
– Lascia perdere Tony e Steve, diamine! -si alzò in piedi, lasciandole la mano, ed allargò le braccia.- Non mi importano i loro battibecchi, non più. Che si uccidano a vicenda. Sono stufo di battermi per loro, di scontrarmi con i miei amici, con te! –
Natasha scosse la testa, afferrandogli un polso e tirandolo verso di sé.
Lui si bloccò. Era disperata.
Non la vedeva mai scomporsi, ma ora si stava comportando come una bambina.
Era disperata.
– No, lui... – non riuscì a finire, che riprese a singhiozzare.
Che tornò a quella notte.
Tornò alle sue mani, al suo fiato sul collo.
– Lui ha... –
Tornò ai sospiri, agli ansimi, alle sue mani tra i capelli. Tornò all'odore di vodka, alla sua schiena, alle sue mani che correvano lungo il suo corpo.
– Io... –
– Nat, che ha fatto? –
Lei riprese a singhiozzare, tornando allo sfiorare la sua pelle, il suo petto, alle sue scapole.
Tornò alla sue labbra, a quando le aveva sfilato la maglia, a quando le aveva slacciato il reggiseno, a quando si era avventato su di lei.
Era successo tutto troppo in fretta. E lei era troppo lucida.
– Noi... –
Sapeva perché lo aveva fatto, ma glielo aveva lasciati fare.
Aveva lasciato che le sfilasse i pantaloni, che si posizionasse a cavalcioni su di lei, che lasciasse una scia di morsi sulle sue scapole. Gli aveva graffiato la schiena, accarezzato il petto, tirato i capelli e sapeva che nessuno dei due voleva davvero farlo.
– Voi cosa? –
Alzò lo sguardo verso di lui, lasciandosi sfuggire l'ennesimo singhiozzo.
– Mi dispiace. –
Clint si fece improvvisamente serio, scalzando la mascella e chiudendo i pugni. I suoi occhi si fecero grigi come il metallo.
– Come è successo? –
Natasha deglutì.
– Era solo, e... aveva bevuto. Tanto. -chiuse gli occhi.- L'ho trovato sul divano con una bottiglia di vodka in mano. Gliel'ho tolta e gli ho chiesto che avesse.
Ha detto solo che gli mancava. Aveva... aveva una tale tristezza nello sguardo. –
– Pepper? –
Natasha annuì, riprendendo il racconto.
– Si è sporto per riprendersi la bottiglia, ma l'ho allontanata. Gli ho detto che doveva darsi una ripulita, che avrebbe dovuto farsi una doccia e che bere non gliela avrebbe ridata.
Lui ha annuito, e ha sorriso. Era un sorriso amaro. Ha detto che avevo ragione, e che quindi tanto valeva bere. E poi... poi non lo so.
Mi ha toccata. –
– Che vuoi dire? –
– Mi ha messo una mano sulla gamba, e io non... –
Clint annuì. Non lascio che le persone mi tocchino.
– Gli ho detto di toglierla, e mi ha sorriso dicendo che non dovevo scaldarmi. Poi ha cominciato a... a dire delle cose. -fu interrotta da un singhiozzo.- e si è avvicinato. –
Sospirò. Attese una reazione che non arrivò.
– La prima volta gli ho detto che non poteva, che doveva pensare a Pepper, e lui mi ha risposto che lo faceva proprio per quello. Perché pensava a Pepper.
Non so come sia successo. Era così triste, era così solo, e ... e so come ci si sente. Io sono solo. Non volevo che anche lui si sentisse così. Aveva bisogno di qualcuno, e io ero lì.
E io... io ero sola. Avevo bisogno di qualcuno, e lui era lì. –
Prese a singhiozzare incontrollatamente, chiudendosi su sé stessa.
Clint rimase a guardarla. Era difficile vedere attraverso le lacrime, persino per lui. Non capiva nemmeno più se fossero i suoi occhi a flettere la loro solitudine sulle pareti, o il contrario.
E sapeva che aveva ragione.
Se ne era andato, l'aveva lasciata.
Non aveva nemmeno pensato a lei, se ne era solamente andato.
Sapeva anche che non era colpa sua, lei non aveva fatto niente. Era stato lui.
Ma lei non la vedeva così, e non sarebbe riuscito a farle cambiare idea.
Sentiva d'avere l'obbligo di caricarsi il peso del mondo sulle spalle, di prendersi la responsabilità d'ogni cosa, anche quando era una vittima, fingendosi invulnerabile.
Ma quel tutto aveva cominciato a pesare, era caduta, e lui non l'aveva sorretta.
Si sentiva, era sola.
Quello scontro la stava distruggendo.
Anche se fingeva non fosse così, teneva alle persone, e le persone, i suoi amici, si stavano scontrando ed uccidendo a vicenda. Lei non poteva far altro se non cercare d'aiutare tutti, e così nessuno si fidava più di lei.
Di nuovo.
Non aveva nemmeno risposto alla sua domanda.
Si inginocchiò di fronte a lei.
Inespressivo, la guardò.
– Perché piangi? –
Lei scosse la testa.
– Perché... perché... – scosse la testa, senza riuscire a continuare.
– Perché ti ha vista? –
Perché ci sei andata a letto?
Natasha non si preoccupò neanche di offendersi.
Si bloccò, chiudendo gli occhi, mentre nuove lacrime, lacrime calde, lacrime di vergogna, si facevano strada sul suo viso.
– No. -disse, la voce ferma.- Sono andata a letto con tanti altri. E altre. –
– E allora perché? –
Lei non rispose. Rimase a fissare il vuoto, muovendo appena le labbra a recitare parole che lui non capì.
– Perché lo faceva per quello. Perché pensava a Pepper. -lo disse in tono piatto, senza smettere di fissare il nulla.- Non ero io. –
– Quindi ti interessa? – percepì la rabbia nella sua voce.
– No. Non è quello. -tornò a guardarlo, e riprese. Le si incrinò la voce.- Non sono io. È quello che non sono che gli interessa, che interessa a tutti. Sono stata un rimpiazzo. Lo sono sempre. –
Clint la prese per un braccio, guardandola dritta negli occhi.
– No, tu non sei un rimpiazzo. –
– Sì! -scattò in piedi, facendo ribaltare la sedia.- Lo sono! Quando mai sono stata la prima scelta di qualcuno? –
– Chiunque ti vorrebbe al suo fianco in uno scontro. –
– Quindi l'unica cosa in cui sono brava è uccidere? Sono la prima scelta solo quando bisogna spargere sangue. -strinse i pugni.- Però è vero. –
Lui le prese una mano.
– No, non lo è. –
– E allora dimmi -alzò le sopracciglia, abbozzando un sorriso forzato.- che altro so fare? -rise senza convinzione, scagliando un pugno sul suo petto- Sono sempre la seconda scelta. Sempre. –
Si fermò a guardare l'ombra nei suoi occhi.
Generalmente, erano imperscrutabili, freddi. Un muro di ghiaccio li separava dal mondo.
Ma non ora.
Non aveva nemmeno la forza di nascondersi.
Soffocò l'istinto di abbracciarla, si limitò a prenderle la mano sinistra, intrecciando le dita con le sue. Poggiò la sua mano libera sul suo fianco, spingendosi più vicino.
– Sei una ballerina incredibile. –
Lei si bloccò, ed il cuore prese a galopparle nel petto. Rimase a guardalo, la bocca semiaperta.
Clint le sorride. Era confusa, o sorpresa, o entrambe, non riuscì a capirlo, ma non stava singhiozzando.
– Cosa? – mormorò.
Clint rise, e cominciò a muoversi sui passi di un valzer, senza musica, e lei si lasciò guidare.
Destra, sinistra, indietro, avanti, e tutto di nuovo.
– Ti ricordi? – fece lui.
Natasha annuì, ancora sorpresa.
Le fece fare una giravolta per poi avvicinarla a sé.
Natasha appoggiò la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi, respirando piano. Sentiva il fiato di Clint sul viso.
Le faceva il solletico.
Rimasero immobili per qualche istante, ascoltando i respiri dell'altro.
Natasha inspirò. Profumava di caffè.
Nessuno dei due capì per quanto fossero rimasti fermi, in silenzio, ma tanto vicini da sentire i battiti dell'altro, ma a nessuno dei due importava.
Nessuno dei due voleva lasciar andare l'altro.
– Tasha. – mormorò Clint.
Lei aprì gli occhi in risposta. Erano di un verde chiaro, quasi evanescente, ancora Rossi di pianto.
– Sì. – disse lui.
Natasha si morse il labbro inferiore, confusa. Non aveva idea di dove volesse arrivare.
In realtà, aveva una speranza, ma non voleva essere distrutta.
Non di nuovo.
– Siamo ancora amici. –
Natasha fece un passo indietro, portando una mano alla bocca, mentre una lacrima le rigava la guancia destra.

Angolo autrice:
Sono finalmente tornata con una OS Clintasha lol, ma tanto non sono mancata a nessuno.
Questa cosa è scritta veramente malissimo, ma dopo CACW mi sentivo in ispirata :3
Io spero vi sia piaciuta e boh, mi dileguo :)

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