1. Fine dei giochi.

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Il mostro era davvero una bellissima donna; molto giovanile e di una bellezza che avrebbe potuto stregare l'intera umanità. Occhi di un azzurro splendido, color mare, cerulei, sembravano gli occhi di una cerbiatta. Capelli dorati con varie ciocche ramate.
Le sue labbra erano carnose, scarlatte e vellutate, sembravano quelle di una bambola in porcellana che vedevo sempre in un negozio di giocattoli mentre andavo a lavorare.
Il suo viso era luminoso, radiante e senza un briciolo di imperfezione.
Insomma era una splendida donna, ma con il suo spregevole comportamento rovinava la sua bellezza interiore. Era bella fuori ma marcia dentro.
Nei miei confronti sprizzava odio sin da quando ero una bambina e crescendo la situazione peggiorò notevolmente.
Amava umiliarmi e punirmi in continuazione. Ero la sua "schiava" e lei gioiva nel vedermi penare in ogni modo possibile.

A soli sei anni ero costretta a fare i lavori di casa, pesanti e non, a servirla e riverirla in tutto, ero persino obbligata a darle del lei e se non lo facevo, si che erano guai.
Le sue punizioni erano sempre molto violente, cose che restano impresse sopratutto se sei una bambina. Puoi far di tutto per cercare di cancellarle dalla mente ma resteranno per sempre impresse nell'anima, te le porterai fin dentro la tomba.

La donna che mi ha messo al mondo era la stessa che mi stava distruggendo, era il diavolo. Il mostro.

Come tutte le mattine andavo a lavorare da un vecchio falegname, avevo il compito di ripulire il suo negozio dalla segatura, doveva splendere e nel caso non fosse stato così quel vecchio schifoso e viscido lo avrebbe subito riferito a mia madre e lei si sarebbe divertita tutta la sera a prendermi a cinghiate fino a farmi sanguinare i glutei.

Avevo la pelle lesa, piena di cicatrici e di ferite ancora non cicatrizzate che mi bruciavano ancora, ma non erano quelle le cose che mi ferivano di più.

Non sono mai potuta andare a scuola ed avere un insegnamento ed un educazione pari ad un bambino della mia stessa età.

Essendo che il mostro non lavorava siamo sempre state molto povere ed io non potevo permettermi di essere come loro, una semplice bambina. Tutti i soldi che guadagnavo lavorando in falegnameria se li prendeva lei, si può dire che non sapevo nemmeno come erano fatte le banconote, non essendo mai passate nelle mie mani.
Ma c'erano cose peggiori, ad esempio io mangiavo gli scarti del cibo lasciato da lei, non indossavo vestiti normali, avevo solo un maglioncino malconcio, un pantalone ormai consumato e piccolo ed un vestito dal tessuto ruvido che mi irritava l'epidermide bianca e delicata fino a farla diventare quasi rossastra.

Ogni mattina venivo svegliata a suon di schiaffi e scortata a lavoro.
Mia madre ed il falegname sembravano buoni amici, erano molto diretti tra loro, si scambiavano battutine e scherzavano sempre.

-Buongiorno signorina Eva- disse lui con un sorriso a trentadue denti.
Mia madre ricambiò il saluto con un altrettanto sorriso.
-Signorina Eva, ieri ho avuto dei problemi con sua figlia-
Mia madre odiava quando le persone mi definivano "sua figlia", come ho già detto io ero la sua schiava. Lo guardò in cagnesco e poi diresse il suo sguardo verso di me facendomi segno che poi me la sarei vista con lei. Ero impnotizzata è estremamente spaventata.
Lui si corresse subito e lei se ne andò ridacchiando perfidamente.
Sapevo benissimo che al mio ritorno a casa mi sarebbe aspettata la sua adorata punizione ma non potevo permettere ad un viscido vecchiaccio di strapparmi l'unica parte ancora intatta di me. La mia verginità.
Si, proprio così, quel vecchio che sarebbe potuto essere un nonno per me ha cercato di abusare di una bambina di quasi tredici anni, indifesa e pura.

Tutto ciò mi causò un trauma, non è di sicuro il primo ma bensì il più forte. Sentire le sue mani toccare il mio corpo mi congelò da capo a piedi.
Lei però sapeva tutto, aveva acconsentito e come "ringraziamento" quando mi venì a prendere lui le diede una busta, sicuramente contenente del denaro.
Ero talmente nauseata dallo schifo che mi circondava che il giorno stesso decisi di scappare, correre via, per essere finalmente libera dopo quasi tredici anni di agonia.
Avrei atteso che mia madre uscisse con quella strega della sua amica Stefany, per prendere i miei due stracci e sgattaiolare all'interno del bosco, lì non mi avrebbe mai trovata.
Fine dei giochi brutta stronza.

Come ben sapevo al mio ritorno mi punì. Mi legò mani e piedi, abbassò i miei pantaloni e via, sfogava la sua rabbia su di me, la rabbia repressa.
La prima cinghiata mi fece balzare, il dolore mi causò uno spasmo e lei si accorse del mio involontario movimento, cercavo di ribellarmi ma lei continuava due, tre, quattro volte, sempre più forte e sempre più in collera con me.
Le natiche mi sanguinavano ed io ero frustrata e molto amareggiata; una madre non può fare tutto cio, io sono sua figlia. Sangue del suo stesso sangue.

Finalmente arrivò Stefany. Lei era squallida già a primo impatto. Dava l'impressione della puttanona. Di quella che si scoperebbe pure i sassi per qualche quattrino.
Bionda ossigenata, occhi color pece, eccessivamente truccata.

Uscirono.

Presi i miei due stracci, nulla mi tratteneva li, uscii di corsa e le lacrime iniziarono a sgorgare come un fiume in piena che straripa durante un alluvione. Sentivo le mie gambe tremare, prive di forza ma nulla al mondo poteva fermarmi.
Sentivo il profumo della libertà e della felicità.

Avevo molta paura non lo posso negare, ero solo una bambina e tutto ciò mi sembrava così assurdo ma era la più triste delle realtà. Sognavo una vita normale, priva di emozioni negative almeno da bambina; non fu così. Maledico tutt'ora il giorno della mia nascita, l'inizio della mia frustrante e pessima vita.
Cosa avrò fatto di male per meritarmi le peggiori pene che esistono al mondo? Ecco questa era una delle tante domande che mi facevo sin da quando ero solo una creatura così piccola e ingenua ma allo stesso tempo bruciavo di rabbia e di rancore contro quella donna malvagia che mi partorì.

Intravedevo l'entrata della foresta, è molto cupa e buia, la nebbia avvolgeva ogni cosa nel bosco. Il sole nel cielo stava svanendo pian piano per lasciare lo spazio alla luna, così grande e scintillante. La luna offre pura solitudine e una pace profonda, l'ho sempre invidiata. Splende di luce propria, è così maledettamente affascinante.

All'entrata c'erano alberi enormi, non conoscevo il loro nome. Uccellini canticchiavano melodie fantastiche e farfalle multicolore svolazzavano da un estremità all'altra del bosco. La pace regnava in quel luogo e non mi sono mai sentita più tranquilla come quel dì.
Avrei tanto voluto fermarmi vicino ad un cespuglio e osservare quello che per tredici anni mi è stato sempre vietato; la natura: rami intersecati tra loro, fiori colorati e di varie forme, animali tranquilli e liberi da ogni persecuzione. Ma non potevo fermarmi ero ancora troppo vicino a casa mi avrebbe potuta trovare. Continuai a camminare, sempre più sorpresa e stupefatta di ciò che stavo vedendo.

Sentii un rumore alle mie spalle che mi fece balzare il cuore dritto in gola. Iniziai a correre più veloce che potevo. Avevo un corpo molto minuto, molto debole per il fatto che non avevo un ottima alimentazione. Il fiato mi mancava sempre di più, le mie gambe cedevano passo dopo passo.

In foto è raffigurata Eva, la madre di Crystel.

Crystel: Riscatto d'amore.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora