Capitolo otto.

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Le parole non erano sufficienti.

Non erano mai sufficienti con lui, sembrava che i silenzi ci calzassero a pennello, sembravano racchiudere tutto ciò che eravamo incapaci di dirci a parole.

Non risposi; mi limitai a guardarlo ed annuire, come a dargli la conferma che io ci sarei stata, che l'avremmo mantenuta insieme, quella promessa.

Mi chiesi tante volte, e me lo chiedo tutt'ora credimi, il perché mi sentissi così a mio agio con uno sconosciuto.

Forse sapevo già, forse lo sapevamo entrambi, ma non sono mai stata in grado di rispondermi, non sono mai stata in grado di confermare niente o smentire tutto.

Mai, sempre, niente e tutto, sono sempre state parole troppo grandi per me, per noi, eppure ora mi ritrovo ad usarle in un qualsiasi discorso come a testimoniare che tutto quello che c'è stato, è rimasto nel passato.

Mi sto divagando, perdonami se sto rubando il tuo tempo ma fidati, ne vale la pena.

-

Quando arrivammo a destinazione, parcheggiò la sua auto in uno spiazzale e scese velocemente dalla vettura venendomi ad aprire lo sportello.

In quel momento mi chiesi se quel gesto lo fece per appurarsi me, o perché lui era davvero così, ma lo scoprii solo dopo.

"Grazie." Mormorai e non fui sicura che mi avesse sentito fin quando non vidi un lieve sorriso imbarazzato riempirgli il viso.

Mi guardai intorno ma non vidi nulla.

"Ehm ... Alex – Gli scossi il braccio tirandolo per la giacca di pelle. – Qui non c'è niente." Scossi la testa accorgendomi di quanto risultassero bizzarre le mie parole in quel momento.

Lui rise.

Non sapevo il motivo per il quale ridesse così spesso, non sapevo se era grazie a me o se preferiva farlo per non accorgersi della merda che lo circondava.

"Non dirmi che sei talmente superficiale da non saper guardare nei dettagli." Mi ammonì.

Alzai gli occhi al cielo.

Ero "superficiale" perché ero obbligata a stare in superficie, obbligata a non sprofondare altrimenti sarei annegata in tutto ciò che ero e non avevo il coraggio di ammettere.

Il fondo lo avrei toccato comunque, me l'ero promesso, ma solo dopo capii che almeno così sarei riuscita a darmi la spinta per tornare a galla.

Ma tutto ciò non glielo dissi, lo seguii soltanto lungo una stradina sterrata piena di ghiaia.

La strada sembrava non finire più e, solo quando stavo per arrendermi alle lamentele, vidi un piccolo locale rustico interamente costruito da legno e mattoni creando un clima accogliente e familiare.

Giunti all'interno, dopo che mi tenne la porta aperta così che entrassi, una grande quercia era piantata al centro della sala, con le radici stabili nel terreno e i rami spogli, addobbati con delle luci bianche intorno ad essi, che coprivano alcuni dei tavoli.

"Ti piace?" Chiese lui, notando evidentemente le mie labbra schiuse dallo stupore.

Annuii semplicemente e mi lasciai trasportare dalla sua mano sulla mia schiena sino al nostro tavolo.

Non appena mi sedetti, mi guardai attorno osservando le persone che mi circondavano e mi soffermai sui loro sorrisi, sul loro modo di gesticolare o parlare con il loro interlocutore. Sembravano tutti così perennemente soddisfatti di loro stessi e della loro falsa vita, delle loro false famiglie, dei loro falsi obbiettivi per apparire così perfetti agli occhi degli altri, per corrispondere ad un certo standard sociale imposto da una qualunque regola morale.

"A cosa pensi?" I suoi occhi erano impegnati dietro il menù mente la sua voce mi richiamava dal mio stato di trance.

Aspettai per rispondere, cercando di formulare un pensiero coerente con le parole. "A tutte queste persone, a te non sembrano infelici?" Posai i miei occhi sicuri su di lui. Per la prima volta mi sentii a casa.

"Dipende da cosa intendi per infelicità. A volte è più difficile ammettere di essere incompleti o vuoti Margherita, forse non lo ammettono a loro stessi, o forse è più facile essere qualcun altro per un po'."

"Ma poi? Prima o poi dovranno tornare ad essere loro stessi. Quanta energia sprecata in tutti quei falsi sorrisi che mettono su." Mormorai infine.

Lui sospirò e tornò a guardarmi.

Mi persi per un po' nei suoi occhi, lasciai che il silenzio ci avvolgesse e mi andava bene così; non ero imbarazzata, non mi preoccupavo di cosa dicevo, se sembravo bizzarra o incoerente, sapevo che lui avrebbe capito.

"Sei così diversa." Sembrava scomparso dietro quelle iridi, dentro i ricordi.

"Da cosa?" Chiesi confusa mantenendo un tono basso.

Lui scosse la testa, come a voler dimenticare qualcosa per un secondo.

"Dimmelo Alex. Perché cerchi di capire me, e io non riesco nemmeno a provarci con tutto ciò che avresti da raccontare?" Sbuffai, alzando la voce.

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