Capitolo nove.

30 2 0
                                    


"Non so cosa ti aspetti. Non sono abituato a parlare di me, a parlarne. E' difficile, ho paura." Pronunciò le ultime parole in un sussurro, vergognandosi di ciò che era, o era stato.

"Non devi aver paura di me Harry, sono peggio di te. Non ho intenzione di giudicarti, non ho intenzione di rimproverarti o giudicarti. Ti voglio così."

Automaticamente unii la mia mano alla sua sul tavolo, sentendo una scossa lungo il braccio e dei brividi percorrermi le dita.

I suoi occhi scattarono nei miei, spogliandomi di qualsiasi dubbio, staccandomi da tutto ciò che ci circondava, dalle insicurezze e dal passato.

Dopo una leggera esitazione sentii la sua presa rafforzarsi nella mia, le sue dita intrecciate con le mie, e il suo pollice ad accarezzare il dorso della mia mano.

"Grazie." Mi sorrise sinceramente mostrando la fossetta sulla guancia sinistra che avrei imparato ad amare e che già mi faceva impazzire a quei tempi.

Ad interrompere i nostri sguardi fu il cameriere che ci chiese se avevamo ormai deciso cosa prendere.

"Io un doppio hamburger con chips e una birra." La sua voce rispose per prima e sgranai gli occhi alla sua ordinazione ricevendo come risposta un sorriso e un'alzata di spalle.

"Io un easy hamburger con aggiunta di bacon e una diet coke in bicchiere e una scorza di limone con tre cubetti di ghiaccio, per favore." Addolcii la mia richiesta con un sorriso che il cameriere contraccambiò.

Harry mi guardò non appena il ragazzo ci lasciò da soli e mi fulminò con lo sguardo.

"Cosa c'è?" Alzai leggermente la voce ridendo.

"Se vuoi posso apparecchiarvi un tavolo per due proprio qui accanto."

"Sei geloso?" Alzai un sopracciglio sorridendo.

"Sono possessivo, se qualcuno prova anche solo a guardare ciò che mi appartiene, non so cosa sarei in grado di fare."

"E quindi io ti apparterrei?" Risi non capendo il senso del suo discorso.

"Mi appartieni da quando ti ho vista per la prima volta."

Rimasi senza fiato. Le parole intrappolate nella gola e gli occhi lucidi.

Il cuore tremolante e la paura.

Paura di non essere abbastanza, di non fare la metà delle cose che lui stava facendo per me, senza accorgersene, entrando per caso nella mia vita e riempiendola di tutti i colori che non ho mai visto, delle emozioni che non ho mai provato e dei profumi che non ho mai sentito.

Non feci in tempo a dire altro che i piatti ordinati si posarono davanti ai nostri occhi, e quella volta non osai alzare lo sguardo verso il ragazzo intento a servirci.

La cena proseguì in un imbarazzante silenzio che sentivo fin troppo stretto, il suo sguardo era proiettato in un'altra dimensione ed io riflettevo su tutto ciò che stava accadendo.

Non ero abituata ad abituarmi di essere amata. Seppur nel suo strano modo, seppur con piccoli ma immensi gesti, io già sapevo quanto amore ci mettesse anche solo nel guardarmi.

Ho sempre pensato che il nostro fosse un amore platonico, ho sempre creduto che non avremmo potuto cambiare lo scorrere delle cose che ci hanno, poi, travolti in pieno.

Sorseggiava la sua birra lentamente, gli occhi scrutatori fissi su di me cercando di studiarmi, in silenzio.

"Non volevo, lo sai questo?" Mormorò.

Un grosso peso sembrava poggiarsi sulle sue spalle, le cose che non diceva gli impedivano di aprirsi con me.

"Io non lo so, Harry. Non so chi tu sia, non so se sei un manipolatore, un assassino uno psicopatico. Non so se sei l'amore della mia vita, non so che potere tu abbia su di me. Io ho bisogno che tu mi dica chi sei, ho bisogno di sentirti, ho bisogno di sapere che sei l'eccezione giusta, che non scapperai, che avrai il coraggio di esistere e resistere insieme. Ho bisogno di te. Mi stai salvando. So che sembro pazza, lo sono probabilmente, altrimenti non frequenterei uno strizza cervelli, ma io lo sento, e so che lo senti anche tu. Ho bisogno di viverti, perché so che tu sei tutto ciò che io non sono mai stata in grado di essere da sola. Voglio capirti, parlami di te, di chi sei, cosa fai per vivere e come hai vissuto. Raccontami la tua storia, per favore."

Lui mi guardava, attendeva che finissi il mio discorso per poi grattarsi la nuca in un gesto di nervosismo.

Le sue labbra si schiusero per dire qualcosa, qualcosa che non avrei saputo, perché gli squillò il telefono.

Ovunque.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora