Capitolo diciassette.

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Sono sempre stata convinta che gli addii siano qualcosa che non va detto.
Sono convinta che non ci sia bisogno di sbandierare al vento qualcosa di così intimo come un biglietto di sola andata verso ciò che non ritornerà più.
Non ci siamo mai detti addio, due come noi non hanno bisogno di tante storie per abbandonarsi, bastavamo già io e lui a creare una storia contorta che il suo finale non ce l'ha mai avuto. E non so se sia stato un danno o una fortuna, sinceramente.
Fatto sta che, man mano che il tempo scorreva e i mesi passavano, io lo guardavo sempre con occhi diversi, forse consapevoli, forse impauriti, non saprei definirlo nemmeno io, semplicemente lo guardavo con gli occhi vivi e vissuti di chi sa.
Ormai da qualche mese stava da me, condividevamo il letto, la stessa doccia e lo stesso divano con una linea a dividerci, a separarci nettamente l'uno dall'altra.
Mi andava bene, mi accontentavo di quel sapore di novità fin quando i nostri due mondi non sono arrivati a scontrarsi, fin quando non abbiamo sentito il bisogno di essere l'uno parte dell'altra.

L'inverno stava lasciando spazio al caldo umido dell'incontrollabile primavera Inglese, erano sei lunghi mesi che stavamo insieme, o almeno credo.
Non ci siamo mai definiti con un'etichetta, mi bastava sentire le farfalle nello stomaco ogni qualvolta rientrava a casa con la spesa e mi lasciava un bacio tra i capelli prima di dormire.
Mi ricordo che mi scrisse un messaggio e basta:

Preparati, stasera sei mia piccola peste. xX

Nessuna traccia di indizi, quando si trattava di lui bisognava solo affidarsi alla sorte o a Dio, usa il nome che preferisci.
Lasciai tutto com'era e mi affrettai a fare una doccia tiepida, mi depilai per quel poco che mancava e uscii dal box doccia per asciugare i capelli lisci con la piastra.
L'armadio mezzo pieno di lui, del suo odore, mi ricordava che ormai faceva parte della mia metà e non riuscivo a trovare cosa più giusta per entrambi.
Presi un vestitino blu elettrico che si allacciava al collo e cadeva largo su tutto il busto fino metà coscia e indossai dei tacchi neri che si chiudevano alle caviglie.
Misi degli pendenti del medesimo colore del vestito e presi una borsa nella quale infilai il telefono, il portafoglio, le sigarette e la mia immancabile giacca di pelle nel caso l'aria fosse stata pungente.
Un leggero strato di mascara sugli occhi e tre spruzzate di profumo sul collo.
Guardai l'orologio alla parete e segnava le otto in punto, così chiusi la porta dietro le mie spalle e mi affacciai sulla strada aspettando il mio lui sul ciglio.
Le stelle contornavano quella città così estranea e poco vissuta eppure così piena di noi che mai mi aveva resa talmente parte della vita.
Con Harry avevo imparato a lasciare da parte qualsiasi insicurezza e a rendere ogni debolezza parte di un qualcosa da costruire insieme, rendeva ogni problema risolvibile, facile.
Ci dividevamo le incertezze a metà, aveva paura che mi pesassero troppo.
Il suono di un clacson mi fece fermare il cuore e poi farlo ripartire più veloce di prima, destandomi dai pensieri che mi attanagliavano la mente rendendomi succube di quella poesia straziante ed estremamente dolce da volerne sempre di più.
Un Harry Styles in camicia e skinny mi aprì lo sportello e non riuscii a fare a meno di ammirarlo in tutta la sua figura snella e slanciata, fasciata da quegli indumenti che lo rendevano solo più attraente ai miei occhi, quel corpo che mai avevo esplorato fino in fondo.
"Sei bellissima." Sussurrò sulle mie labbra quando mi affrettai ad avvicinarle alle sue, sentendo il bisogno di unirle.
Un casto bacio si trasformò in un gioco di lingue e attriti di cuori in cerca di pause.
Le sue mani forti mi cingevano i fianchi e le mie tra i suoi capelli indomabili e folti che tanto amavo tirare tra le dita, provocando in lui dei sospiri pesanti e incontrollati.
"Se continui così non riuscirò a portare a termine la serata senza averti prima tolto questo vestitino di dosso." Mormorò mordicchiando un lembo di pelle del mio collo facendomi rabbrividire.
"Chi ha detto che dobbiamo portarla a termine?" Sussurrai piegando la testa indietro presa da lui e da quelle sensazioni che difficilmente si posso spiegare quando si vivono.
Basta solo affidarsi all'amore reciproco, basta solo essere completi insieme e sentirlo.
Sentire di poter essere abbastanza parte di qualcuno per poter amarsi di più, donarsi di più.
Senza tempo, senza orari e senza date di scadenza, quelle lasciale alle etichette, si ama a prescindere dalle stagioni e dai cuori spezzati, si ama in due o anche in solitudine, ma bisogna farlo con tutti se stessi, in pieno, a 360 gradi.
Bisogna sentire le gambe cedere per poter poi essere sostenute da qualcuno, bisogna fidarsi delle mani di lui, bisogna conoscere se stessi e affidare i propri dubbi, scheletri e paure all'altro senza rancore, senza il timore che possano essere presi alla leggera, perché alla fine, diciamoci la verità, ci sentiamo più completi quando c'è qualcun altro ad amarci al posto nostro.
E va bene così, è la legge dell'uomo, è giusto lasciarsi andare.
Non se lo fece ripetere due volte.
Mi prese e con me raccolse tutti i cocci, per poi riunirli con due semplici parole, con la chiave della porta blindata del mio cuore.
"Ti amo."

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