Nella mia testa c'è un ciclone iperspaziale che gira e gira e gira, i miei occhi esprimono panico e pazzia, ma il mio cuore pulsa energia e amore. Non trovo quel che cerco, soltanto aria, parole, vento. Come una goccia di pioggia mi schianto a terra, scivolo lungo il ciottolato, discendo la strada, non trovo pace, eppure sento la mancanza, la mancanza di una figura, dolce, sinuosa, sottile, ma che allo stesso tempo, mi dia sensazioni, impulsi e qualsivoglia sensazione unica sul mio corpo. Voglio una donna, è sicuro.
Le luci pian piano passano una ad una davanti ai miei occhi, quei maledetti lampioni di luce gialla, ma che sembra di un arancione acceso. Le mie gambe non si fermano, la via sembra infinita, la strada vuota, deserta, l'odore della pioggia e il rumore delle mie scarpe che sull'asfalto creano un suono a dir poco impressionante. Una sirena, familiare, ma che odio da morire, non sopporto sentirla, non sopporto vederne i padroni, non sopporto trovarmi a dover dare una lezione, ancora una volta, a quei presuntuosi in divisa blu, che ogni sera provano a prendermi, a bloccarmi, ma ogni volta finiscono con il culo per terra. Questa è la mia vita, non mi fermerete stanotte!Grigio, scuro, forse un po 'sporco, sì è casa mia, o almeno quella che mi dovrebbe ospitare, un palazzo di tre piani, nella periferia più angusta. Ovviamente la mia stanza del sonno si trova all'ultimo piano e io sono abbastanza stanco. Il palazzo non ha l'ascensore e io ho già corso abbastanza tra queste fottute viette. Sono anche bagnato, il soprabito fa il suo lavoro, come può, come riesce, ma l'acqua è infima, penetra dove vuole. Estraggo le chiavi, apro la porta, luci spente. A tastoni trovo la sbarra che segue le scale, salgo i primi gradini, sono stanco. Gli occhi si abituano alle tenebre, faccio la prima rampa a tentoni, la seconda con più sicurezza ma con una stanchezza maggiore. Finalmente il terzo piano è mio, individuo la mia porta, numero 27, un numero che non mi piace. Con la seconda chiave apro la serratura ed entro, oscurità totale. Accendo la luce, ma non funziona. Salgo su una sedia, avvito un attimo la lampadina e luce fu! Tolgo il soprabito, lo lancio sul tavolo, poco mi importa, trovo il letto, apro la cintura, lascio cadere i pantaloni, butto la maglia per terra e mi fiondo sotto le coperte, che sembrano avvolgersi come una bella donna formosa. Le palpebre scendono, è la fine.
È solo mattina, continuo a ripeterlo a me stesso, eppure il sonno continua a sentirsi, mi sono svegliato mediamente presto, se per le dieci del mattino si può considerare tale. Ovviamente chiedere il sole oggi sarebbe stato troppo, un'altra giornata uggiosa, un'altra volta con il soprabito. Il mio sonno è stato abbastanza profondo e non ho avuto di che lamentarmi, unica nota positiva di questa mattinata, che ancora non oso pensare a come andrà a finire. Le vie sono vuote, la gente lavora, è giovedì. Ancora cammino, ancora mi devo preoccupare di non stancarmi troppo, al ritorno mi aspettano due rampe di scale, ancora. La mia destinazione, ancora non è chiara, ho un appuntamento con un altro di quei bambocci che osano chiamarsi spacciatori, ma per favore. Giubbe blu non ne ho viste, forse ieri sera avevano qualcosa di davvero grosso da rincorrere o forse sono soltanto al solito bar a bere caffè e a farsi offrire delle brioche. Svolto a destra, una via stretta un metro, bagnata e sporca, passa tra due condomini di quattro piani, alcune finestre danno su quel vicolo, praticamente nessuno osa mai aprirle, per paura di vedere, per paura di sentire, per paura di sapere. In fondo alla via una figura mi aspetta, pantaloni larghi, maglietta più grande di una o due taglie, sì è il mio contatto. L'aria si fa pesante, devo fare in fretta.
Un panino a pranzo, non il massimo delle aspettative, pagato un paio di euro e con una salsa che poco ha di buono.
Forse dovrei cercarmi un lavoro più legale, un lavoro che possa aiutarmi a smettere di fumare e di drogarmi, ma alla fine, la mia droga, è il vivere a modo mio. Non trovo niente di meglio, niente che mi aggradi più di questo, nemmeno fare il barman, o qualche altra stronzata da uomo del centro. Sì, qui la gente si definisce così, se lavori in centro città, sei un uomo importante, sennò sei solo spazzatura, peccato, peccato per voi. Non sapete cosa succede in periferia, non sapete come finireste quaggiù voi poveri stronzi, tra puttane e tossici. Forse non avete nemmeno idea di come si viva qui, meglio di come state lì, tra gente tirata a lucido, leccapiedi e approfittatori. Mi alzo e me ne vado, sotto la pioggia nuovamente, sempre con il solito soprabito, forse dovrei cambiarlo, ormai ha la sua veneranda età. Mi aspetta un altro appuntamento, stavolta fuori città, forse è il caso che mi procuri un auto.
Andiamo in centro.
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L'inafferrabile
ActionUn tossico cerca di sopravvivere nella grande città. Tutto va per il meglio fino a che qualcosa non cambia la sua routine.