L'enigma nel Calice

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Le tre parole:
-
diroccato
- calice
- prostituzione

Trama: ormai sicura che al fratello sia successo qualcosa, Becky cerca la soluzione della lettera in un bicchiere di vino, fin quando qualcuno non le svela che la parola magica ha un significato ben preciso...


Il calice di vino tra le mie mani si stava nuovamente svuotando e io non ero ancora arrivata a una soluzione. Seduta al bancone di un ristorante economico ma non troppo vicino alla casa che avevo da poco lasciato con una certa fretta, continuavo a rigirarmi quel messaggio tra le mani, sperando che da un momento all'altro decidesse di rivelarsi a me nel suo contenuto più arcano. Ma ovviamente, era solo l'ennesima vana speranza.
Quella parola sfumata tra le mie dita continuava a rincorrersi smodatamente nelle stanze della mia mente, assumendo di volta in volta significati sempre più oscuri e sinistri. Non avevo dubbi che fosse collegata alla scomparsa di Dean, ma al tempo stesso non sapevo a cosa si riferisse.
Ruotando gli occhi fuori dalla vetrata, notai una macchina fermarsi a pochi passi da una donna, evidentemente agghindata per il piacere degli uomini, e venire raggiunta dalla suddetta per una breve contrattazione. Nonostante fosse una bella zona, la prostituzione sembrava non conoscere limite o territorio proibito.
Sospirai e tornai a fissare il pezzo di carta che continuavo a stropicciare tra le dita, ormai quasi incartapecorito e sudaticcio. I simboli che vi erano tracciati erano per me incomprensibili e di certo bere non mi stava aiutando granché. Feci una smorfia al pensiero che Dean mi avrebbe presa a calci vedendomi ridotta in quello stato e cercai di issarmi in una posizione più congeniale.
«Ogham... Bah... Che diavolo di parola...»
«Ha detto "Ogham"?»
Voltai la testa in direzione del barista: non era giovanissimo ma neanche prossimo alla vecchiaia; in realtà sembrava non avere età con quegli occhi scuri, i capelli perfettamente acconciati in modo che sembrassero naturalmente spettinati e appena un paio di rughe ai lati della bocca.
«Sì...»
Non mi fidavo di chi origliava le conversazioni altrui ma dovevo anche ammettere che lì dentro, oltre a me e al barista, non c'era poi una gran folla.
«Non sa cosa sia, vero?» mi chiese con un piccolo sorriso divertito, e io mi innervosii.
Non mi piaceva passare per ignorante,  soprattutto rispetto a un qualunque barman, e mi drizzai in tutta la mia non del tutto esigua statura.
«E lei sì?»
L'uomo scrollò le spalle senza tuttavia smettere di sorridere in quel modo odioso.
«Ne passa di gente strana da queste parti.»
«E questo che c'entra?»
«Beh, mi ricordo di un tipo, uno oltre la cinquantina. Un professore, mi sembra. Dopo il secondo scotch ha iniziato a parlare di simboli runici e cose del genere. E anche del linguaggio Ogham.»
Mi lanciò un'occhiata eloquente, poi si voltò per riporre il bicchiere che stava lucidando, lasciandomi il tempo di metabolizzare quell'informazione.
Ed eccola lì, la lampadina. Si accese come se fosse stato perfettamente naturale. Come se non aspettasse altro che la parola giusta per prendere vita. Il mio sguardo scivolò sui simboli impressi sulla carta, scrutandoli attentamente, poi mi gettai sulla borsa, ravanando alla ricerca del telefonino. Con non poca difficoltà tentai di accedere alla rete e quando ci riuscii, digitai la parola Ogham nel motore di ricerca. Il breve tempo che intercorse tra il caricamento e l'apertura della pagina fu scandito dal ticchettio dei miei stivaletti sulla stanga più bassa dello sgabello su cui ero appollaiata.
Finalmente avevo capito perché quel foglietto era bruciato senza lasciare tracce. Dovevo essere l'unica a saper decifrare quel crittogramma. Ma perché?
Impegnata in quella frenetica ricerca, non mi soffermai su quel dubbio lecito e sfogliai diverse pagine, che tuttavia rimandavano sempre alla solita fonte: un libro piuttosto antico conservato in una libreria abbandonata in qualche landa europea.
Fortunatamente ne erano state fatte molte copie e controllando tra le biblioteche scoprii che ce n'era una non troppo lontana che ne conservava qualcuna. Prima ancora di rendermene conto, lasciai la mancia al barista ringraziandolo frettolosamente e recuperai la borsa per dirigermi all'edificio, abbandonando le ultime stille di vino sul che ondeggiarono pericolosamente lungo le pareti di vetro del calice.

Il taxi mi accompagnò fino all'entrata della biblioteca, ma io non la vidi veramente fino a quando l'autista non ripartì lasciandomi sola. L'aspetto di quel posto non era decisamente dei più curati: pareva in effetti un vecchio monastero diroccato, ma al tempo stesso questa era la sua peculiarità più intrigante. Incerta, incespicai appena sugli scalini di pietra, recuperando il passo velocemente e dirigendomi al portone d'ingresso.
Due enormi battenti circolari e arrugginiti sembravano essere l'unico modo per farsi sentire, e dopo aver raccolto un po' di coraggio iniziai a bussare. Dopo tre rintocchi, attesi per una manciata di secondi, ma non ricevendo risposta riprovai. A metà del secondo tentativo, qualcuno schiuse la soglia e io mi ritrovai a fissare la faccia severa di un uomo sulla sessantina.
«Non sa che esistono i campanelli?»

«Come?»
«Il campanello. Non lo ha visto?» disse indicandomelo.

Solo allora, dietro una dispettosa piantina rampicante, mi accorsi che effettivamente esisteva un citofono. Con il senso di colpa a colorarmi le guance, mi voltai a cercare nuovamente lo sguardo arcigno dell'uomo.

«Mi dispiace... non l'avevo visto...»

Lui sbuffò dal naso come un toro innervosito, poi schiuse maggiormente l'uscio e mi permise di entrare.

«Che cosa cerca?»

«Un libro.»

«Beh, questo è evidente. Ha altre indicazioni o gliene prendo uno a caso?»
Il sarcasmo di quell'uomo mi fece correre una serpentina di rabbia su per le braccia, ma tentai di nasconderla incrociandole al petto.

«Cerco una copia di un libro piuttosto antico. Ha a che fare con i vecchi simboli oghamici e runici.»

Il bibliotecario inarcò curioso un sopracciglio, ma non disse niente. Mi scortò fino al bancone e digitò rapidamente qualcosa sulla tastiera, probabilmente alla ricerca di quel tomo, per poi prendere nota della sua posizione su un foglietto prima di porgermelo.

«Sezione "S", il codice è scritto lì»

«Grazie.»

Titubai su quella parola, ma subito dopo afferrai il pezzetto di carta e mi misi sulle tracce del volume. Per un lungo attimo valutai se impararmi il codice a memoria, nel caso anche quell'indicazione andasse in fumo, ma quando capii che non sarebbe svanita nel nulla iniziai la mia caccia al tesoro in mezzo agli scaffali incredibilmente ordinati e lindi.

Non avevo tempo da perdere in stupide elucubrazioni e neanche Dean. Prima avessi scoperto cosa volevano che sapessi, prima l'avrei ritrovato. E allora avrei preso a calci sia il suo sedere che quello dei suoi rapitori per tutto quello che mi  stavano facendo passare. O forse sarei finita anche io nelle loro mani e nessuno ci avrebbe più ritrovati...

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 27, 2016 ⏰

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