Prologo

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Mi sveglio con la mente annebbiata, stanca. Le membra doloranti, il corpo spossato. Non ricordo di essermi addormentata ieri sera. Il primo pensiero lucido che formulo mi colpisce con la forza di un treno in corsa, mozzandomi il respiro. Inizio a piangere ancora prima di mettere a fuoco il soffitto della stanza in cui mi trovo. Sarà la mia stanza, almeno? Sarà il divano del salotto la superficie morbida sotto di me? Allungo istintivamente la mano lungo lo spazio accanto a me. Vuoto. Stringo lenzuola fredde che si accartocciano nella mia stretta così come il mio cuore e il mi stomaco si accartocciano sotto la consapevolezza che sto cercando qualcuno che non c'è. Un singhiozzo mi esplode tra le labbra, mentre nella mia mente si delinea la settimana appena trascorsa, una settimana passata rintanata nell'angolo vicino la mia finestra, raggomitolata su me stessa, fin dal primo momento che ho rimesso piede qui. Non ricordo nulla del tragitto dal Nucleo a casa, non ricordo neanche il preciso momento in cui sono arrivata qui. Ricordo solo l'ultimo abbraccio di Dean al Nucleo, la sensazione del mio animo in pezzi sotto il peso dell'assenza di Jorge, inaspettata e scura.

Senza rimedio, senza spiegazioni.

Sono a Metropolys e ne sono certa, solo perché l'ho brevemente intravista dalla finestra della mia stanza nei brevi momenti di lucidità fra uno svenimento e l'altro. Mi sarò accesa di nuovo senza riuscire a controllarmi, perché non ricordo di essere andata a dormire ieri sera. Le lacrime continuano a inondarmi il viso, lente e calde, inesorabili, man mano che mi rendo di nuovo conto della profondità del sentimento che mi attanaglia e di quanta paura abbia di affrontarlo. Vorrei chiamarlo, è il primo nome che mi sale alle labbra ad ogni mio risveglio, ma sono altri i volti che si affacciano sul mio campo visivo quando lo pronuncio. Un altro singhiozzo rompe il silenzio pesante della stanza, distinguo appena i passi affrettati che si fanno strada lungo il corridoio. Non mi aspetto il volto di Stan quando lo vedo, la cresta rossa una macchia indistinta oltre la mia coltre di lacrime. «Lara, che ne dici di concentrarti sulla stretta della mia mano?» mi dice, con voce tranquilla. Le sue dita si stringono intorno alle mie mani, tirandomi dolcemente su a sedere. Continua a stringere e a lasciar andare le mie dita fin quando il mio cervello non recepisce che cosa vuole che faccia. Stringo le sue mani nelle mie, mettendo a fuoco il suo volto di fronte a me, iniziando a distinguerne gli innumerevoli dettagli. Piercing, colore degli occhi, cresta rossa. «Perfetto» dice, lasciandomi le mani per passarmi i pollici sul viso, asciugandomi le lacrime. «Ci sei, adesso?» mi chiede, chiedendomi di fatto se io ci sia con la mente, se sia connessa al momento presente. Annuisco. Ci sono, lo so che ci sono, perché sento un pungente formicolio pizzicarmi le mani. Al punto che vorrei di nuovo non esserci, scivolare nel sonno sperando  al mattino di svegliarmi con una soluzione su come zittire lo sciame d'api che mi sta martoriando le mani, lo stomaco e la testa. 

«Adesso ci alziamo e camminiamo fino alla cucina. Insieme» dice, tirandomi verso di sé. I miei piedi toccano il pavimento, ma quando mi alzo mi rendo conto di non avere la forza di tenermi in piedi. La spalla di Stan mi sorregge. «Un piede dopo l'altro, ti tengo io Lara» dice. Mi chiedo distrattamente a che serve che io mi alzi, che cammini fino alla cucina, ma a Stan sembra non importare della risposta, né del fatto che io preferirei tornare a letto, così lo seguo, incespicando fin quando le mie gambe sembrano ricordarsi di come stare in equilibrio. Quando arriviamo in cucina scorgo Dean affaccendarsi vicino ai fornelli, assemblare una colazione troppo abbondante rispetto alla mia reale voglia di mangiare. Stan mi prende in braccio inaspettatamente per mettermi a sedere sullo sgabello, posizionandosi dietro di me per evitare che mi lasci cadere all'indietro. Una tazza mi viene messa sotto il naso, vedo le mani di Stan prenderla e portarmela alle labbra un paio di volte prima che le mie mani si muovano per afferrarla. Mi rendo conto delle cose a poco a poco, man mano che rinvengo dal mio torpore: del mal di testa che mi pesa sulla fronte, della debolezza che mi avvolge il corpo, del fatto che nonostante il formicolio sia incessante comunque la Luminescenza non sale in superficie. 

E' quello il dettaglio che completa il puzzle. Mi sono accesa e sono svenuta, ecco cosa è successo ieri sera, ecco perché non ricordo di essere andata a dormire, ecco perché mi sento così debole, deve essere andata così. Ma come mai Stan è qui? Cerco la voce in fondo alla mia gola, la trovo, roca e flebile. Decido di usarla ugualmente. «Stan, perché sei qui?» chiedo. Lo guardo scambiarsi uno sguardo con Dean prima di rispondermi. «Perché ti sei accesa nel sonno Lara, sono qui per controllare che tu stia bene e per farti rimanere sveglia abbastanza a lungo affinché tu possa recuperare le forze necessarie per affrontare la possibilità di un'altra accensione notturna» dice. Chiudo gli occhi, sospirando, li riapro per cercare lo sguardo di Dean. «Io...non volevo...» biascico. Dean non parla, viene solo a posarmi un bacio sula fronte e a prendermi fra le braccia. 

Mi sono accesa nel sonno, penso, rendendomi conto di quanto la cosa mi sia sfuggita di mano.


The Shades Of LonelinessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora