Let The Pain Flow

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Il lamento di una sirena sale ovattato fino alle mie orecchie. Strano che sia riuscito ad arrivare fin quassù, dove la voce di Metropolys risulta niente più che un costante mormorio di fondo. L'aria è più fredda, ma qui tutto lo è, tutto mi appare più spietato da quassù. La città ridotta ad un agglomerato brillante di luci che attaccano gli occhi, il vento freddo quasi tagliente, la luna che instancabile combatte contro la nebbia luminosa delle luci della città per non farsi rubare il suo posto nel cielo. Il tutto che si riflette sul mare in un riflesso che si rompe e ricompone di continuo. Si rompe e ricompone di continuo...come me, in questi mesi.

Volgo di nuovo lo sguardo verso le luci, lasciando andare tutto il resto e lasciando che la mia anima si fonda con il paesaggio oltre la balaustra del terrazzo. Qui sopra non c'è pericolo che qualcuno mi veda, anche se devo comunque ridimensionarmi. Metropolys non è il Nucleo, qui devo pensarci due volte prima di accendermi. Io devo farci caso più degli altri. Non essendo ancora riuscita a capire come rievocare un colore ben preciso, devo pensarci due volte anche in luoghi sicuri. Lascio che un globo grande quanto il mio pugno si accenda nella mia mano semichiusa. La Luminescenza inizia a cambiare ad intervalli sempre più brevi quanto più a lungo rimango a guardare il paesaggio. Lascio che il vento gelido mi morda le guance, le mani, lascio che mi smuova i capelli, provando una sorta di risveglio interiore ogni volta che le sue lame mi sferzano il volto. Sospiro, quando sento la Luminescenza iniziare a tingersi d'altro, ma non ho voglia di rimuginare su niente, così tronco bruscamente il flusso luminoso, troncando anche tutti i filamenti di pensiero che iniziavano a connettersi fra loro. Non ne esco mai troppo bene da certe reti mentali. Provo un soffuso nervosismo mentre torno dentro, un nervosismo che ormai è quasi un compagno quotidiano. Il suo pensiero viene rievocato da quasi qualunque cosa. LA situazione è snervante, perché le opzioni sono sempre due: smettere di pensarci, tenendo la mia mente costantemente sotto scacco per evitare che prenda determinati sentieri o continuare a pensarci ma a mie spese, mie e solo mie, e io non posso permettermi di rimanere invischiata in questi pensieri. Non sempre, almeno. So che prima o poi dovrò concedermi un altro momento di debolezza, oppure il dolore che continua a causarmi tutta questa storia verrà inevitabilmente a cercarmi, rubandosi tempo e concentrazione, costringendomi a fermarmi più a lungo di quanto vorrei, a prestargli attenzione.

Qualcosa si è indurito dentro di me da quando sono tornata qui, i miei pensieri sono più bruschi, il mio autocontrollo più fermo. Vorrei poter continuare a raccontarmi che è la cortina di ferro che ogni luminescente impara a far calare su di sé per sopravvivere in società, ma non è così, o meglio, non è solo quello. È rabbia, rabbia nei confronti di qualcuno, un qualcuno che varia da Jorge a Bill in base alla giornata. O forse sono semplicemente gli artigli che ho dovuto, che ho voluto tirar fuori per rimettermi in piedi. Ho dovuto reagire, razionalizzare, ridimensionare il mio dolore e la mia paura e confinarli in un angolo della mia mente. Malik ne è estremamente contento, Dean non lo è quasi per niente, e hanno ragione entrambi, perché se questo reagire mi ha permesso di alzarmi dall'angolo buio della mia stanza in cui ho passato le prime settimane dopo essere tornata dal Nucleo è anche vero che spesso è un eccesso. Risento io stessa di tutta la pressione che mi metto addosso per non pensare, non piangere, non lasciarmi sopraffare, costantemente ingabbiata nel mio stesso autocontrollo. Guardo lo schermo del cellulare, sotto l'orario campeggia ciò che Selene mi disse quando ci siamo conosciute, non troppo tempo fa. "Prenditi il tempo di stare male". Ormai guardo lo schermo più per promemoria che per altro, rimandando però di continuo i momenti in cui lasciar scorrere il dolore ad attimi di solitudine. Eppure sono gli unici momenti in cui mi sembra finalmente di poter respirare, di riuscire a prendere aria dopo una lunga apnea. Prima che il dolore mi afferri.

Il dolore, il dolore della sua assenza, che sgretola tutto, corazza di pietra e limiti di autocontrollo. Tutto.

Recido i miei pensieri un'ennesima volta prima di varcare la porta di casa. Lascio che il vento mi riavvolga nuovamente mentre mi chiudo il portone alle spalle, ammantandomi della convinzione che ce la farò a terminare anche questa giornata senza crollare e che domani riuscirò a fare lo stesso. Infilo gli auricolari nelle orecchie, cercando la canzone meno profonda che ho in playlist, nel tentativo di non riallacciarmi a nessun tipo di pensiero, anche se a lungo andare mi ritrovo comunque con la testa appoggiata al finestrino dell'autobus, con lo sguardo perso nelle luci della città, e il solito interrogativo che mi rimbomba nella testa: dove sei adesso? Sospiro, ripensando a tutte le volte che ho chiesto a Dean, a Malik, a Selene, a Stan. In questi mesi nessuno ha saputo darmi una risposta, nessuno ha voluto forse, e di lui non si sono avute più notizie, neanche un fiato, un soffio, un sussurro. Niente. Il suo GlassPad è ancora attivo, ma non ha mai risposto a nessuna delle poche chiamate che mi sono concessa di fargli. Anche se, probabilmente, non saprei nemmeno che dirgli, e anche se lo sapessi via GlassPad non potremmo comunque parlarne. Sospiro ancora, e ancora, sbuffando. Quando arrivo al Between Dylan, Giorgiana e Seth mi salutano dal tavolo dove mi stanno aspettando. Non li vedo da un po', non riusciamo a vederci spesso come al Nucleo qui a Metropolys, ma riconosco che la colpa è anche mia. La gente, e parlo di Luminescenti, ci guarda di continuo per il semplice fatto che siamo allievi di Jorge e Selene, per il semplice fatto che l'assenza di Jorge ormai è stata ampiamente notata e io rifuggo dai loro sguardi e dai loro sussurri quanto più posso. Ma spesso non esco per il semplice fatto che il senso di solitudine riesce ad essere così permeante che la compagnia altrui, di chiunque, non fa che appesantirlo ulteriormente. Tornare a Metropolys ha anche significato imparare a dividermi fra tre sessioni d'addestramento e la scuola. La mia vita non è mai stata così complicata, eppure non vorrei comunque essere al Nucleo. Il Nucleo, dove mi aspettano Bill e l'alone di Jorge in ogni angolo. Recido i miei pensieri nuovamente. Passo davanti al bancone e mando un bacio volante a Dean, che mi risponde col suo solito occhiolino. Dean, che la mattina mi accompagna a scuola prima di andare al Centro Controllo Alimentare, dove ricopre un'altra posizione utile non sono a Metropolys ma anche ai Luminescenti. È lui che fa arrivare viveri al Nucleo sotto il naso del GlassBuilding. So già che dopo la chiusura del locale mi accompagnerà a casa e che probabilmente rimarrà con me. 

The Shades Of LonelinessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora