Introduzione

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Assassina
Assassina
Assassina
Assassina
Assassina

Questo era quello che mi ripetevo da quando avevo ucciso per la prima volta.
Avevo circa 2 astri ed ero al mio primo giorno di addestramento.
Il primo esercizio era di uccidere un lugos, proveniente dal pianeta 8340. I suoi occhi neri e lucidi mi scrutavano, cercando di leggere la mia mente. Era risaputo che i lugos avevano il potere di insinuarsi nei pensieri, ma non avevano mai fatto del male a nessuno.
Eppure il mio crudele popolo era destinato a distruggere o essere distrutto.
Il mio pianeta era uno dei due sopravvissuti delle 20 colonie dopo la Grande Guerra... Ma ciò successe moltissimo tempo fa, quando avevo 1 astro, o anche meno.
Distruzione e morte aleggiavano nell' universo in quel periodo, e la nostra civiltà era appena stata creata. Eravamo deboli, fragili. Così ci hanno quasi sterminati.
Quel piccolo ed indifeso lugos rappresentava noi prima.

La risposta ai nostri problemi e alle nostre debolezze stette nella modifica del nostro DNA.
Innumerevoli furono i tentativi, ma alla fine riuscimmo a trovare il modo per fondere il nostro con quello di altri esseri, acquisendone le caratteristiche a nostro piacimento e rimuovendole con la stessa facilità, nel momento che fossero risultate difettose o inutili.

Era il giorno del mio quinto "compleastro" quando aprii gli occhi. Ero sdraiata su un materasso bianchissimo, senza coperte. Una luce accecante feriva i miei occhi, rimasti chiusi per diverse ore. Alzai lentamente la schena, facendo attenzione a non scollegare i piccoli tubi che mi collegavano alla macchina che monitorava i miei parametri vitali. Il mio sangue blu scorreva in essi, lento e potente.

Sondai velocemente il territorio circostante: ero nella sala di comando a distanza, uno degli innumerevoli reparti destinati alla ricerca sperimentale. Qui, la nostra gente, si collegava con dei corpi a distanza, i SAI (Strumenti Ausiliari Ipergravitazionali) precedentemente predisposti, che venivano utilizzati per compiere, appunto, spedizioni di ricerca.
Naturalmente anche io ero una pilota di uno di questi, ma solo momentaneamente. La mia missione richiedeva infatti un coinvolgimento piú ravvicinato del semplice controllo a distanza, ma bisognava prima studiare la struttura ed i comportamenti degli abitanti del pianeta ospite, per decretare il rischio per la mia vita.

Posai un piede a terra. La mia pelle, pallida, si confondeva con il pavimento del medesimo colore.

Appoggiai anche il secondo e mi alzai in piedi. Mi stiracchiai un attimo e mi diressi verso la parete alla mia sinistra. Premetti con il palmo della mano sulla dura superficie che mi si poneva davanti ed applicai una leggera pressione. Sotto i miei polpastrelli si formò un piccolo bassorilievo ed il profilo di una porta comparve di fianco a me. Quando la aprii, però, non mi si pose davanti una stanza o un corridoio, bensì una sfera bianca grande quanto la mia testa.

Restai immobile e di fronte a me la sfera iniziò a cambiare forma.

Le spuntarono due braccia, due gambe, poi il profilo del volto.
Aveva una figura slanciata, capelli, labbra ed occhi, senza pupilla, dello stesso blu lapislazzuli. Sulla sua pelle non si vedeva una singola cicatrice.
Iniziarono a comparire i pochi vestiti che la nostra cultura ci insegnava a portare:
Infatti maggiore superficie di pelle rimaneva esposta più era facile respirare sott' acqua per traspirazione.

Le mani a quattro dita erano rigide lungo i fianchi, lo sguardo che avrebbe gelato una stella.

Non c' era dubbio, quella statua che si muoveva come uno specchio ero io.

La figura di fronte a me si muoveva seguendo alla perfezione i miei movimenti. Ogni espressione del volto, ogni impercettibile tensione muscolare, era racchiusa in quel guscio senza anima, separato da me solo da qualche centimetro di distanza.

Era da molto che non vedevo il mio vero aspetto.
I miei tatuaggi, quelli che mi distinguevano dai normali abitanti del pianeta, quelli che intimorivano e affascinavano ogni volta che si vedevano, erano incisi sul mio viso.
Delicate linee erano la prova della mia profonda diversità e mi vincolavano in tutti gli aspetti: non potevo permettermi di avere paura. Non potevo vivere una vita normale. Eppure, sul campo di battaglia, queste erano la cosa più importante. Nessuno poteva disobbedire. Nessuno OSAVA disobbedire.

Ero la portatrice della vittoria, colei che se ne andava per ultima dopo una battaglia.
Colei che era conosciuta per non avere neanche una cicatrice sulla pelle.

Ero sempre stata addestrata per le guerre. Mi sottoponevano ad allenamenti che mi tempravano e levigavano, per rendermi un diamante perfetto in ogni sfaccettatura.

Le mie orecchie appuntite e leggermente squamate si mossero quando sentii un rumore provenire dal capo opposto della stanza.

Una ragazza dai corti capelli verdi ed occhi totalmente neri si avvicinava a me, zigzagando velocissima, con la mano serrata in pugno. Circa un battito di ciglia piú tardi lei era già di fronte a me, con le nocche puntate sotto il mio mento.

Il suo sguardo trionfale si spense appena capí in che situazione si trovava: la mia mano era chiusa sul suo polso, mentre il mio piede sinistro era puntato sopra al suo stomaco, pronto a respingerla.

La sua bocca si serrò in una linea sottile e i suoi muscoli si rilassarono. Si raddrizzò, sistemandosi i capelli arruffati.
<<Certo che non riesco mai a coglierti di sorpresa.>>

I miei lineamenti si distesero quando riconobbi la mia unica amica. Era la sola che avesse resistito all' addestramento oltre a me. Eppure la sua specialità non era il combattimento, bensì l'intelletto. Non c' erano segreti che non riuscisse a svelare, numerose sue scoperte avevano salvato la vita di molti nostri simili.

Ero rimasta parecchio stupita quando, circa 5845 maree prima, mi aveva proposto di partecipare ad un nuovo progetto. Il progetto Beta.
Avevo pochissimo tempo per scegliere: l' esperimento sarebbe stato avviato, infatti, la marea dopo. Inizialmente accettai solo per la nostra amicizia.

Il piano prevedeva di infiltrarsi in un pianeta ed estrapolarne tutti i segreti. Poi distruggerlo.

Non era un problema per me: erano già numerose le distruzioni planetarie a cui avevo assistito.

Eppure, rimasi alquanto stupita quando seppi che il nostro obbiettivo era il nostro mondo fratello, l'unico che era sopravvissuto, oltre a noi, alla Grande Guerra.

Per noi era il pianeta B4257.

Per i suoi abitanti, invece, Terra.

AlienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora