Un mese prima.
E' difficile arrivare preparati alla propria morte. Alcuni sono pronti, e più o meno se lo aspettavano da dieci anni a questa parte, ...altri invece no. A voler essere del tutto sinceri, osservando il cadavere in terra, nessuno era arrivato meno preparato alla propria fine di quel poveretto che le stava di fronte. La defunta vittima era in condizioni discutibili. Non che la morte migliorasse l'aspetto generale delle cose. Ma c'era modo e modo di morire. E quel tizio se n'era andato in modo inconsueto quanto doloroso.
La caviglia sinistra, angolata innaturalmente verso l'alto, ed entrambe le gambe erano state rotte in più punti. La parte superiore del corpo era in condizioni perfino peggiori: morsi, unghiate profonde e interi lembi di carne asportata suggerivano che a compiere quello scempio fosse stato qualche tipo di animale selvatico.
Qualcosa però non tornava. C'erano fin troppe incongruenze tra i morsi e la quantità di orme lasciate in terra. Chiunque se ne sarebbe accorto.
Jenn aprì e richiuse le mani a pugno, sgranchendosi le nocche. Respirò con la bocca e fu un errore. L'aria pregna di sangue e residui intestinali, le lasciò un retrogusto spiacevole sulla lingua.
Andava bene, ma non benissimo.
Si appoggiò con i gomiti alla transenna metallica e cercò di concentrarsi solo sull'uomo di fronte a lei. Avevano gli stessi capelli scuri e lo stesso colore degli occhi, neri come la fuliggine. Anche la bocca dalle labbra sottili ed il fisico - alto ed asciutto- erano praticamente identici.
Suo padre, Abraham Cander, si avvicinò al corpo senza vita. Facendo attenzione a non calpestare nemmeno una delle impronte, si chinò ad esaminare alcune tracce lasciate sulla scena del crimine. Anche con i piedi infilati nei due ridicoli copriscarpa bianchi dall'aspetto informe della scientifica, mantenne un portamento sicuro ed autoritario.
Il medico legale lo aveva chiamato d'urgenza per effettuare la valutazione del corpo, ma niente del suo volto lasciava trasparire la minima fretta. D'altronde Jenn non ricordava di averlo mai visto innervosito o a disagio. Suo padre era sempre padrone di sé stesso.
Sarebbero dovuti andare a pranzo assieme quel giorno. Vista la situazione, però si immaginò che avrebbero dovuto rimandare.
Di nuovo.
Un lieve ronzio le si accese in mezzo alle orecchie e si massaggiò la tempia. Era sempre così. Era inutile arrabbiarsi per qualcosa di così stupido; eppure cercare di calmarsi non avrebbe migliorato le cose. Si tenne la propria collera e il proprio sdegno, ed espirò a fondo.
Non le importava, decise. Non gliene fregava proprio nulla.
Un movimento repentino, simile ad un'ombra nera ai lati del suo campo visivo, la fece voltare di scatto. Si trovavano su una strada sterrata, ai confini di Houlgate Creek Park. La manciata di alberi che costeggiava la strada apparteneva alle ultime propaggini del Capilano River Regional Park, nelle periferie nord di Vancouver. Le abitazioni più vicine si trovavano a parecchi metri di distanza, sulla strada parallela di Rabbit Lane.
Jenn osservò il sottobosco terroso, ricco di arbusti, cespugli e piante basse. In quell'afoso pomeriggio estivo, il vento era a malapena un debole alito tra le ampie fronde degli alberi. Non una singola foglia avrebbe dovuto muoversi. Invece lì dove il sottobosco si faceva più incolto ed intricato, alcune piante stavano ondeggiando lentamente, quasi qualcosa le avesse appena smosse. Jenn si irrigidì e aguzzò la vista.
Qualche scoiattolo aveva smosso i rami. Tutti lì. Niente di particolare. Tenne d'occhio le piante fino a quando non fu certa che niente si stesse nascondendo nelle loro ombre, poi tornò a guardare suo padre.
Osservò l'angolo del suo polso mentre misurava l'ampiezza e la profondità dei diversi morsi. La curva della schiena mentre si piegava per studiare più da vicino alcuni lembi di carne maciullata. L'espressione concentrata mentre analizzava le costole biancheggianti in mezzo ai fasci muscolari recisi del busto.
Un uomo corpulento alla sua destra berciò con tono irritato: «Allora, Cander?»
«Maschio. Circa trent'anni.» replicò Abraham Cander, con voce atona. «Probabile frattura bimalleolare e lesione della sindesmosi alla caviglia sinistra. La traumatologia si compone di vaste aree lacero-contuse, con ferite multiple dai bordi irregolari e frastagliati; frattura scomposta della nona, decima e undicesima costola da trauma violento, con conseguente foratura del fegato. Interessanti sono la rottura del corpo e processo xifoideo che si... »
«So che ti piace un sacco darti delle arie, Cander, ma gradirei che ti spiegassi in modo più conciso.»
Jenn si piegò col busto in avanti, e spostò la sua attenzione sul detective William Glock senza nemmeno cercare di mascherare la sua smorfia irritata. Non le piaceva quell'uomo.
Era un metro e novanta di muscoli, arroganza gratuita e cipiglio corrucciato. Si muoveva sempre in modo deciso, quasi che ogni cosa - perfino camminare - dovesse essere fatta con prontezza ed efficienza. I capelli castani, corti a spazzola, ed il velo di barba sul mento accentuavano la sua mascella pronunciata, rendendo il suo volto squadrato in modo quasi caricaturale.
Era il capo della squadra investigativa affidata a quel caso. La stampa aveva bollato l'iniziativa come uno dei casi più difficili degli ultimi decenni. Molti titoli dichiaravano a chiare lettere che "La polizia continua ad investigare sugli ultimi omicidi che si sono verificati in città e nei dintorni senza avere la benché minima idea o indizio cosa possa esserne la causa." E queste erano solo le parole più garbate. Alcuni giornali online avevano usato parole ben più pesanti, definendo la polizia incompetente e lenta nel dirigere le indagini. Di sicuro Glock doveva aver pestato i piedi sbagliati di qualcuno nel suo dipartimento, altrimenti non sarebbe stato assegnato di recente a quella squadra.
Questo però non bastava affatto a renderglielo più tollerabile, pensò Jenn.
«Ha la caviglia rotta, il petto squarciato e lo sterno fracassato.» chiarii Abraham Cander, assecondando la richiesta del detective Glock. «Stavo dicendo che è interessante proprio perché alla sua superficie interna si attaccano i legamenti sternopercardici che fissano...»
«Cander. »
Suo padre fece una pausa prolungata, lasciando intendere che non avrebbe tollerato altre interruzioni. Lui e il detective Glock non erano mai andati molto d'accordo, ma in quegli ultimi giorni il loro rapporto era diventato perfino più ostile.
«La traumatologia è molto simile a quella dell'altro cadavere. Ad ucciderlo è stato certamente un animale selvatico. Se sia lo stesso non saprei ancora dirlo con sicurezza.»
«Dei morsi, che mi dici?»
«Sembrano anche questi gli stessi. Spaziatura, disposizione, e arcata dentale di canis lupus linnaeus. Con alcune analisi di routine si potrebbe essere più sicuri.»
«Canis lupus? Ti devo forse ricordare che non si sono visti lupi grigi in questa zona da quasi cent'anni, Cander?»
Abraham Cander si tolse i guanti sporchi di sangue. Una bava di brezza tardo-pomeridiana spazzò il terreno, portando con sé l'odore di legno umido e sangue rappreso. Arrotolato intorno ai tronchi di cinque alberi per delimitare la scena del crimine, il nastro giallo della polizia ondeggiò pigramente.
«No, affatto detective. Per quello ho detto che sarebbe meglio aspettare i risultati di laboratorio.»
Il detective Glock sibilò qualcosa a fior di labbra e andò dritto a consultarsi con il suo braccio destro, Nichols, senza aggiungere altro. Abraham Cander si allontanò dal cadavere con la stessa flemma con la quale si era avvicinato. Un giovane poliziotto alzò il nastro giallo così che potesse passarci sotto.
«Grazie per il suo aiuto, dottor Cander.»
Glock indurì lo sguardo e gridò: «Voglio essere il primo a sapere quando quei risultati di laboratorio saranno pronti, Cander. E porta via tua figlia dalla scena del crimine, per la miseria. Non siamo ad un parco giochi.»
Jenn sentì la rabbia inondarle di nuovo il petto, scura e liquida. Il ronzio nelle orecchie divenne più insistente e capì che non se ne sarebbe liberata tanto presto. L'antipatia del detective per suo padre a volte si estendeva anche a lei. Eppure in passato aveva preso le sue parti ed era stato lui a chiamare suo padre dalla centrale tutte le volte che si era messa nei guai. Quelle volte non era stato troppo indisponente, quasi fosse segretamente soddisfatto di avere sottochiave la figlia di Abraham Cander.
Jenn si raddrizzò, si ficcò le mani dalle nocche screpolate nelle tasche dei jeans e si stampò sulla faccia il sorriso più amabile che le riuscì di fare. Non avrebbe dato alcuna soddisfazione al detective Glock.
«Jennifer. Andiamo.» Suo padre la lanciò una singola occhiata e la invitò a girarsi per andarsene. I suoi occhi freddi e distaccati non combaciarono con le parole gentili che uscirono dalle sue labbra. «So che ti avevo promesso di pranzare assieme ma, come vedi, dovremo rimandare. Devo passare dalla Clinica, quindi ti posso dare uno strappo in macchina fino a lì. Da lì a casa puoi arrivarci a piedi.»
Alcuni uomini depositarono un telo sopra al corpo senza vita. Noer e Ramirez della BPA - specialisti in Bloodstain Pattern Analysis - fecero loro delle occhiate di commiato quando li superarono.
«Aspetta. Devo parlare con loro.» disse suo padre, con una curiosa inflessione nella voce. «Vai alla macchina intanto. Ti raggiungo tra un paio di minuti»
Normalmente Jenn avrebbe cercato di origliare quello che aveva da dir loro, ma in quel momento il ronzio dentro alla sua testa si era trasformato in puro e semplice dolore. L'aveva sentito spesso nelle ultime settimane, ma mai intenso come quel giorno.
Una giornata così splendida non accadeva da...
Di colpo, si premette sulla bocca il dorso della mano e soffocò un conato di vomito. Scacciò l'immagine delle ossa spezzate dalla mente e deglutì più volte. L'odore di sangue le aveva impregnato i vestiti e non aiutava a diminuire la sgradevole sensazione di umido che si sentiva sulla pelle. Giusto per tenere la mente occupata su qualcosa di diverso, camminò per qualche metro sul battistrada. Il bordo era mangiato dalle margherite e dall'erba selvatica, e la vegetazione che lo ombreggiava era ricca di querce, aceri e betulle.
Le voci della polizia e della scientifica le giunsero stranamente distanti, come se si fosse allontanata parecchio.
O forse era rimasta più sconvolta di quanto avesse immaginato. Aveva visto abbastanza cadaveri alla morgue dell'Ospedale o perfino alla Clinica privata di suo padre. Aveva reagito decisamente meglio le volte precedenti. Decisamente. Solo con il cadavere di sua madre era stato diverso.
Si fermò e chiuse gli occhi.
Un rumore di acqua vicino, poco più di un ruscellare quieto, la distolse dai suoi pensieri. L'idea di potersi rinfrescare almeno i polsi ed il collo, la convinse a scendere il crinale rialzato della strada e ad addentrarsi tra gli alberi. Dopo qualche passo, in un dolce declivio nel terreno sconnesso, vide un rigagnolo dai riflessi argentati. Serpeggiava in mezzo alle rocce coperte di muschio, ai rami spezzati e alle piante infestanti.
Invece di avvicinarsi all'acqua, si accucciò e rimase in silenzio. In mezzo al fango e agli steli schiacciati d'erba, c'era una sorta di impronta. Sovrappose la propria mano e sollevò un sopracciglio. Era grande il doppio del suo palmo aperto. Che diavolo di animale imprimeva un'impronta del genere?
Un rametto alle sue spalle si spezzò con uno schiocco sonoro. Si girò di scatto. Lì dove si aspettava di trovare solo vegetazione verdeggiante, vide due ragazzi.
Fu il semplice fatto che pure loro sembrassero sorpresi di vederla lì, a colpirla. Avrebbe dato loro forse vent'anni o qualcosa in più. Dal loro aspetto era chiaro che non appartenevano né alla polizia, né alla squadra scientifica. Aveva sentito dire da qualcuno, poco prima, che c'era un piccolo campo da golf nelle vicinanze, ma quei due non sembravano golfisti o escursionisti neanche per scherzo.
Quello più vicino a lei era alto con i vestiti in disordine ed i capelli scuri arruffati; l'altro era più basso e più muscoloso, ma dall'aspetto altrettanto scompigliato. Quello di corporatura più massiccia aveva perfino delle foglioline verdi -intrappolate tra una ciocca castana e l'altra- nei capelli lunghi fino alle spalle.
Fu proprio quest'ultimo ad indicare qualcosa al compagno. Jenn seguì con gli occhi la stessa direzione e notò che di orme non ce n'era solo una. C'è n'erano diverse. A distanza ragguardevole l'una dall'altra.
Nascoste com'erano dalle piante basse e dalle erbacce nei dintorni, non le aveva notate.
I due ragazzi si scambiarono un rapido sussurro, inudibile alla distanza a cui si trovava.
Jenn controllò rapidamente le orme e poi di nuovo i due sconosciuti. Qualcosa nella loro postura non le piacque per nulla. Se suo padre non avesse detto che era stato un animale selvatico ad uccidere quel poveretto, avrebbe potuto pensare che quei due fossero coinvolti in qualche modo.
Chiuse le mani a pugno e si alzò in modo da dar loro solo il fianco. Stava diventando paranoica. Magari la loro vicinanza alla scena del crimine era solo una sfortunata coincidenza.
Uno dei bisbigli le arrivò vagamente intelligibile all'orecchio.
«Eppure lo senti anche tu, Markus. L'Es qui intorno è alto in modo anomalo.»
«Lo sento, ma non ha alcun senso, Noah.»
O forse erano solo scemi.
Si rilassò in parte e sollevò un sopracciglio.
«Non dovreste stare qui.» disse loro ad alta voce, ottenendo la loro attenzione. Si rese conto che il suo tono di voce era suonato piuttosto minaccioso anche se aveva cercato di essere pacata. «Finirete nei guai, se vi beccano a gironzolare qui nei dintorni.»
I due ragazzi si guardarono l'un l'altro. Quello alto -Markus, se aveva capito bene- scosse la testa. Jenn scorse l'ombra di una risata sulle sue labbra e si chiese che cosa avesse detto di così divertente.
Markus tenne gli occhi abbassati. Aveva un volto allungato, con zigomi alti e linee d'espressione verticali ai lati della bocca che gli davano un aspetto spigoloso ed incavato. Aveva assunto una posa neutra, le spalle rilassate e le braccia distese lungo i fianchi.
L'altro giovane -Noah- dai lineamenti più dolci ma con la muscolatura di un lottatore, non fu altrettanto bravo a mascherare i propri sentimenti. Si passò le grosse mani sui pantaloni e con occhi nervosi scandagliò i dintorni.
A che gioco stavano...
«Ehi, VOI! Questa è un'area ad accesso limitato!»
Jenn si rimangiò la domanda che aveva sulla punta della lingua.
A parlare non era stata lei ma un poliziotto di servizio. Dopo averli individuati in mezzo alla boscaglia, l'uomo si stava avvicinando a loro a passo sostenuto. Doveva esser stato incaricato di controllare il perimetro così che i passanti non si mettessero a curiosare lì intorno. Persone come quei due stramboidi che le stavano di fronte. Ovvio.
«Levatevi di torno. Subito! E' vietato l'accesso: c'è un accertamento di polizia in corso!»
«Va bene. Va bene.» disse Markus, mostrando le palme delle mani. «C'è ne andiamo.»
Jenn osservò il poliziotto -basso e dalla pancia prominente- e questi, di colpo, assunse un'espressione più amichevole.
"Ah, Jennifer. Tuo padre ti stava giusto cercando. Che cosa sei venuta a fare qui? Dai, torna da lui."
Jenn strinse le labbra e fece un rigido cenno d'assenso del capo. Non ricordava né la faccia, né il nome del poliziotto, ma si guardò bene dal dirglielo.
Rimasta in sottofondo per tutto quel tempo, un'improvvisa fitta di dolore -più forte delle altre- le staffilò la testa. Serrò la mascella e si massaggiò la pelle in mezzo alle sopracciglia. Imprecò sottovoce e attese che il dolore si attenuasse almeno in parte.
Fantastica giornata. Spassosa, perfino.
Per la prima volta da quando era entrato nello spiazzo erboso, Markus alzò gli occhi e li puntò dritti su di lei. Presa in contropiede, Jenn corrugò la fronte. Quel balordo aveva gli occhi con l'iride più chiara che avesse mai visto in vita sua. Di una tonalità così eterea da ricordarle l'acqua cristallina di una sorgente, ghiacciata da un rigido inverno.
Perfino da quella distanza, era impossibile non accorgersene.
Il poliziotto accelerò il passo e si piazzò di fronte a quei due ficcanaso, ordinando loro con ancor più veemenza di levare le tende.
Mentre quei due si allontanavano, Jenn notò che avevano qualcosa di rigido nel modo di camminare, come se i loro muscoli fossero in costante tensione.
Scosse la testa e tornò a guardare di fronte sé. Che gran coppia di deficienti. Ma almeno non erano più un problema suo.
Ritornò sui propri passi e risalì il declivio da cui era arrivata. Arrivò alla macchina di suo padre e venne accolta dalla sua espressione inflessibile e vagamente irritata: "Dove ti eri cacciata? Sali, dai. Non farmi perdere altro tempo.".
.
.
ANGOLO AUTORA:
Rieccomi. Fun fact: ho fatto ricerche sulla differenza tra medico legale, medico forense e specialisti della scientifica. A quanto pare sono tre lavori differenti e metà delle serie tv li confonde o li mischia assieme. A nessuno importerà, ma volevo essere precisa precisina (*flanders help*)
A suo tempo (nella prima stesura di questo librociccio) avevo anche fatto ricerche per diversi giorni su pagine mediche prima di scrivere quel paragrafo sulle aree contuse del cadavere. Spero si capisca che non ho inventato metà dei nomi di sana pianta T_T
Per i personaggi ho cercato di far capire che il padre di Jenn è uno molto sicuro di sé e difficilmente si fa impressionare da qualcosa. Questa parte del suo carattere si vedrà anche più avanti quindi prendetevi nota di quello che dice. Ho messo pezzi importanti, stile uova di pasqua, nel discorso. :D yay. Per Jennifer ho ridimensionato il carattere quasi del tutto perché nella prima stesura era un po' diluita e in certi punti un po' troppo "cosetta scema" da libri de melma. Incontriamo anche Markus, e ho deciso di dare più spazio anche a Noah. Entrambi sono un po meno "cosetti scemi" hopefully
L'idea è ripubblicare un capitolo a settimana. Sto giro mi segno e faccio la croce sul cuore. **prega in vitruviano di non farsi prendere da ansie da prestazione* come l'ultima volta* Ahem Sono perfezionista e le fosse, signori e signore, me le scavo da sola :D yippee
STAI LEGGENDO
Wolfed Down ***RIPUBBLICAZIONE***
Про оборотней***STORIA IN REVISIONE*** Si, lo so, la vita è dura per tutti. Brindiamo con cioccolata e rum, che è meglio.