Seduta in macchina sul posto del passeggero, Jenn lanciò uno sguardo svogliato allo specchietto retrovisore. I capelli le si erano appiccicati alla nuca per il caldo esterno e ora, con il freddo del climatizzatore, aveva l'impressione che tante dita gelide le solleticassero il collo ogni volta che muoveva la testa. Il ronzio tra le orecchie si era affievolito ma lo sentiva ancora in agguato, pronto a ripresentarsi alla prima occasione.
Poggiò le ginocchia nodose contro la portiera e si afflosciò contro lo schienale. Avrebbe voluto chiedere a suo padre quanto tempo ci avrebbe messo in Clinica, ma l'espressione corrucciata di lui la convinse a non tentare nemmeno. Nelle ultime settimane lo aveva visto dormire sempre più di rado a casa. Sembrava avesse più lavoro del solito e le occhiaie scure sotto i suoi occhi erano solo il segno esterno più evidente.Fuori dal finestrino, il traffico era scorrevole. Jenn alzò la mano per toccarsi la catenella al suo collo. Un gesto pigro, dettato dall'abitudine. Si passò le dita sulle sporgenze delle clavicole e trovò solo la sua pelle. Sorpresa, si raddrizzò e spostò il colletto della maglietta con l'indice, prima che un ricordo di quella mattina la colpisse all'improvviso.
Non se l'era messa. La catenina era ancora sul comodino di camera sua. Maledizione.
Suo padre mormorò: «Che succede? Hai perso qualcosa?»
«No. Mi sono solo dimenticata la catenina a casa.»
Suo padre le lanciò un'occhiata di lato, solo con gli occhi, senza muovere la testa. «Quella di tua madre?»
Ah. Eccolo. L'unico vero momento in cui suo padre non riusciva a mantenere la sua proverbiale compostezza. Quando si parlava di lei.
«Jennifer.»
Suo padre smise di tamburellare con gli indici sul volante dell'auto. Era arrabbiato.
Jenn evitò di proposito di guardarlo. «Non l'ho persa. L'ho solo dimenticata a casa. Non è la fine del mondo.»
«Avevi detto che te ne saresti presa cura.» Le dita di suo padre si strinsero sul volante: non gli piaceva proprio rivangare il passato. «Anche in queste piccole cose, non posso mai fidarmi di te.»In passato era stato estremamente contrario al fatto che lei tenesse quella catenina. Jenn aveva dovuto insistere per far si che gliela lasciasse. Con quella al collo, le sembrava di poter avere lei al suo fianco, anche se solo nella sua testa. Adesso, ogni volta che per qualche motivo sua madre o quella catenina entravano nella conversazione, lui si irrigidiva come un maledetto stoccafisso.
Jenn ripensò a sua madre, così come se la ricordava. Il che era ben poco. Capelli vaporosi, un fantasma di sorriso, il suo nome pronunciato a fior di labbra quando le dava il bacio della buonanotte. Jen-ny. Con la n debole, in un sussurro appena udibile.
E poi... quello. Gli occhi spalancati verso il nulla, tondi come uova. Le mani con le unghie spaccate e il volto dalla bocca deformata in un grido senza voce.
In fondo lo capiva. Anche lei evitava in modo quasi automatico di parlare di lei. In ogni caso, non c'era modo di sapere cosa suo padre pensasse davvero. Aveva provato a chiederglielo, ma lui non le aveva mai risposto con una frase di senso compiuto. Jenn ci pensava ancora. A volte, non sempre in modo razionale, immaginava come sarebbe stato se lei fosse stata ancora viva.
Sarebbe andato tutto meglio, se sua madre fosse stata ancora lì.
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Wolfed Down ***RIPUBBLICAZIONE***
Werewolf***STORIA IN REVISIONE*** Si, lo so, la vita è dura per tutti. Brindiamo con cioccolata e rum, che è meglio.