4. Can i ?

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La classe come al solito era piena di un odoro di ascelle puzzolenti, mai nessuno che si lavasse in quella classe, arrivavo a credere che nelle loro case l'acqua fosse qualcosa di vietato che per loro farsi la doccia avrebbe significato donare l'anima al diavolo.
Frustrata, appoggiai i libri sul mio banco e scivolai sulla sedia appoggiando in seguito la testa sulle braccia conserte ormai fuori dal controllo morboso della mia mente.
Ecco che la professoressa Stain fece la sua entrata nell'aula, insegnava arte e sobrietà per lei era un vocabolo a dir poco insulso, come se non facesse parte del dizionario.
I suoi capelli rossi spiccavano tra quelle teste vuote che mi facevano compagnia durante l'ora, sopratutto quanto un raggio di sole puntava su di lei, sembravano una parrucca, una brutta parrucca.
Il mascara e L'eyeliner cercavano di allargare quegli occhi neri troppi piccoli per chiunque, ma capaci di vedere qualsiasi cosa.

"Lasciate che l'arte entri nei vostri cuori" eccola, quella frase, immancabile come sempre.
Era convinta che tutti noi avessimo del potenziale e che era un peccato non mostrarlo al mondo, quando io disegnavo e coloravo solo nella sua ora perché ero costretta ad andarci a causa dei crediti per alzare la media.

Sostanzialmente passavamo 60 minuti a settimana a sporcare fogli di carta bianca con matite spuntate che ti facevano bestemmiare dopo che nel momento successivo che le posavi sul foglio ti ritrovavi a scrivere senza la punta, perché ovviamente non perdeva tempo e si buttava a capofitto sul pavimento sparendo dalla tua visuale.
Janette Jansen, seduta al primo banco ogni tanto si girava per poi rivoltarsi e ridere; alla quarta volta le alzai il dito medio, mostrandole tutto il mio amore verso di lei.

Quando suonò la campana, mi affrettai ad uscire da quell'aula; in pochi secondi mi imbattei in un Cameron più bello del solito, non credevo di aver visto un essere umano più bello di lui.
Era con la squadra di basket, rideva e scherzava con i suoi compagni e mentre passó davanti a me, fece un occhiolino che terminò i collegamenti nervosi del mio cervello per le restanti 4 ore.

"Oggi il signor Bieber mi ha chiesto di passare a casa sua per aiutarlo con un progetto" papà posò la forchetta nel piatto e si pulì le labbra con un tovagliolo.

"Oh e di cosa si tratta" ecco la mamma curiosa che ho sempre conosciuto.

"Non ha voluto dormi nulla, ha solo detto che è molto importante..ah e Maya, mi ha chiesto di portarti con me, vuole che tu inizi subito a leggere qualche suo libro." Il mio cuore fece un balzo di gioia, sulla faccia mi spuntò un sorriso mai visto e ripensai a quanto fosse stato gentile con me il signor Bieber.

"Certo, per che ora?" Spostai la sedia per alzarmi e andare in camera.

"Per le 8 circa." Mio padre urlo dal soggiorno perché ormai mi ero già chiusa la porta della camera dietro le spalle.

Mi buttai sul letto e in poco tempo lasciai che il mondo dei sogni prendesse il sopravvento su di me.

"Maya" preso il cuscino e me lo misi in testa, coprendo le orecchie, ma in poco tempo venne strappato via.

"Maya, dobbiamo andare alzati." La luce entrò prepotente nella mia stanza, sicuramente mio padre aveva aperto le tende.

"Ancora 5 minuti pa." Mi girai sul lato sinistro dove il buio aveva ancora un po' di spazio nella stanza.

"Non ne abbiamo nemmeno 2. Il signor Bieber vuole che andiamo ora, subito, quindi alzati." Sentendo il suo nome scattai sul letto e mi strofinai gli occhi.

My father's employer Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora