Tredici giorni prima
Trenta piastrelle.
Dieci su ambo i lati e dieci alle mie spalle.
Un pavimento in resina, un'orchidea che aveva visto tempi migliori messa in bella mostra in un angolino e i ben venti sciacquoni che avevo contato. Uno ogni trenta secondi. Il che dimostrava che ero nascosta in bagno da dieci minuti buoni. Se avessi dovuto timbrare il cartellino ogni volta che lasciavo il mio ufficio per scappare in bagno, a quest'ora sarei già stata licenziata per negligenza.
Ero seduta sul water, con le braccia intorno alle gambe strette al petto, i piedi sulla tazza abbassata a dondolarmi, facendo scattare continuamente il sensore dello sciacquone. L'aspetto asettico del bagno e l'orchidea ormai appassita potevano essere il triste e squallido equivalente di come mi sentivo.
Uno schifo.
«Vada a New York e si riprenda mio nipote.»
Come poteva Sabrina chiedermi una cosa del genere? E poi chi ci credeva alla versione Fata Madrina della Rottweiler? Dovevo ancora riavermi dallo shock. Avrei dovuto sentirmi felice di volare a New York, sarebbe stata una splendida occasione di lavoro, una gratifica per tutti i mesi che avevo sgobbato come ultima arrivata. Magari al mio ritorno avrei avuto un ufficio con vista e un aumento di stipendio, così avrei potuto rinnovare l'abbonamento alla tv via cavo. Ma avrei rivisto Christian, lo sguardo malizioso dei suoi occhi, le sue labbra carnose piegarsi in quel suo sorriso illegale che aveva un effetto devastante, nel senso distruttivo del termine, nelle mie zone basse.
Doveva essere uno scherzo, uno scherzo di pessimo gusto. Quando oggi nell'ufficio di Sabrina mi ero girata verso di lei e avevo incontrato il suo sorriso materno e i lineamenti del viso addolciti, credevo di essere in una candid camera.
Insomma, Sabrina non sorrideva mai, quindi tutte le attenuanti per un pessimo scherzo mal riuscito ci stavano tutte.
Invece poi mi aveva liquidato con una scrollata di mano ed era ritornata a fissare lo schermo del suo computer con quel suo ghigno perfido stampato in viso.
Aveva lanciato la bomba e io avevo iniziato il countdown.
Tre giorni. Quarantotto ore di tempo prima di ritrovarmi faccia a faccia con lui.
E ora erano ben dodici minuti, secondo gli ultimi quattro sciacquoni, che cercavo di non andare in panico.
Respira, Gioia! Respira!
L'ultima e-mail di Christian mi perseguitava, giorno e notte.
Ho deciso di tornare con lei.
Sei parole che mi avevano colpito in pieno petto come una lama affilata. Solo una settimana prima di quella dannata e-mail aveva avuto il coraggio di dirmi che non era troppo tardi, ma solo troppo presto. Che entrambi avevamo bisogno di trovare i nostri tempi.
Balle! Mi aveva preso in giro.
Ero stata una stupida a crederci.
A credere in lui.
Il suo curriculum da sciupafemmine parlava chiaro, perché avevo pensato che potesse appendere il suo sorriso da strage al chiodo? Che io ne valessi la pena?
Si era divertito per tre settimane con la sciocca ragazza del karaoke. Magari facevo parte di una scommessa tra lui e i suoi amici. «Scommettiamo che riesco a portarmela a letto e farla iscrivere al Team Kelly?»
Ero stata un'altra tacca nel suo letto. Stupida! Stupida! Stupida!
Arrabbiata, aprii il palmo della mano e mi ritrovai a fissare il lettore musicale che lui mi aveva lasciato. La colonna sonora delle nostre tre settimane insieme.
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Il mio lieto fine sei tu
ChickLitTrovarsi a New York, circondati dal fascino magico e dall'energia della città dalle mille luci, per di più a San Valentino... Può esserci qualcosa di più eccitante e romantico? Sbagliato. Per Gioia Caputi, brillante copywriter in trasferta negli Usa...