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Era una stupenda estiva di fine giugno. Ormai avevo preso le vacanze da scuola, avevo compiuto diciassette anni pochi giorni prima, precisamente il venticinque giugno, (essendo anticipataria) ed ero molto felice... Fra poche settimane sarei dovuta andare in tournée con la mia scuola di danza e la mia insegnante mi aveva scelta come prima ballerina nel "Lago dei Cigni". Ero al settimo cielo. Dopo essere uscita per fare una passeggiata, mi incamminai verso casa con Christian, come tutti i giorni, tenendoci per mano. Arrivati vicino casa mia, ha mollato la sua presa e mi ha detto -ciao amore, a domani.
-a domani- ho risposto io. Poi mi ha dato un bacio e l'ho osservato sparire dietro l'angolo. Quanto desideravo passare ogni singolo attimo della mia vita con lui... L'unico che mi facesse sentire al sicuro. Adoravo quando mi prendeva per mano. Quando ero triste, mi portava sempre in una parte del parco dove non andava mai nessuno ma che era meravigliosa: mi stringeva forte con le sue braccia meravigliose e mi dicava di continuo che ero fantastica e meravigliosa. Non ci ho mai creduto veramente, ma il fatto che me lo dicesse lui cambiava tutto. Così ho sorriso, guardando l'angolo dietro al quale era sparito e sono entrata a casa serena e felice.
-ciao papá- ho esclamato. Ma non sapevo che ben presto avrei desiderato di non aver mai varcato la soglia di quella porta. Mi ha risposto con tono calmo -Kate siediti a tavola, ti devo parlare-
La cosa mi spaventava. L'ultima volta che mi ha parlato così è stata per dirmi che mamma era morta. Posai delicatamente lo zaino sulla poltrona in soggiorno, ho percorso il lungo corridoio e infine sono arrivata in cucina, con una faccia che poteva sembrare quella di un cadavere. Mi sono seduta lentamente sulla sedia, cercando di guadagnare tempo... Non volevo sentire quello che aveva da dire. Ma era inevitabile.
-ho avuto alcuni problemi con il lavoro- ha detto abbassando lo sguardo -perciò siamo costretti a trasferirci a New York. Il suo tono si era fatto più duro. L'aria pesante. Quelle parole risuonarono nella mia mente lasciandovi una tristezza infinita. -ma papá- ho obbiettato io. Non potevo crederci. Non poteva farmi questo. Con una frase era riuscito a distruggere la mia vita. Il suo sguardo a quel punto era cambiato, si era fatto più serio e meno compassionevole, poi ha aggiunto -ho deciso così punto e basta. Partiamo fra una settimana. Ora mangia- ha detto indicando il piatto davanti ai miei occhi. Ero rimasta paralizzata. Mi alzai dalla sedia di scatto e gridai -ti odio.
Poi corsi in camera mia. Avrei voluto piangere, ma non volevo dargliela vinta... Per tanti anni sono cresciuta senza una mamma e senza un papa e nonostante tutto non mi sono mai fatta vedere come un "bersaglio facile", come una persona fragile. Ma non appena ho chiuso quella porta alle mie spalle, non ho potuto oppormi al volere del mio corpo: mi sono gettata sul letto ancora sfatto e ho pianto, affondando la testa nel cuscino. Ho pianto talmente tanto che i miei occhi marroni erano ormai un pozzo senza fondo pieno d'acqua. Per la prima volta da quando mia madre era morta, ho pianto. Quando non ne potevo più (gli occhi mi stavano per saltare fuori dalle orbite) mi sono stesa a pancia in su e ho fissato il soffitto nel più totale silenzio. Ho cominciato a riflettere. D'istinto ho pensato a Christian... Cosa sarebbe successo? Non potevo sopportare un'altra perdita così grande, non un'altra volta. E poi Lucy e Teresa... Come avrei potuto trovare altre amiche come loro? E la danza... Quest'anno ero prima ballerina, era arrivato il mio momento, quello che aspettavo da anni, e che in un secondo è volato via. Come sarei riuscita ad ambientarmi? Come sarei riuscita a creare un'altra vita? Non potevo farcela, non da sola. Sarebbe stato tutto diverso. Ed il peggio era che avevo solo una settimana per fare tutto ciò che mi restava e per dire addio alla mia vita. Il mio cellulare squillava, ma non ho voluto risponedere: per un po' volevo stare da sola, con me stessa, senza essere disturbata. Fuori dalla finestra si vedevano i tipici colori del cielo estivo. Mio padre non si era più fatto sentire: da quando ero scappata in camera mia l'ho solo sentito dire "le passerà", forse rivolto a mio fratello. Poi non mi ha più chiamata. Si sentiva solo l'insopportabile rumore del suo cellulare che squillava di continuo per problemi di lavoro. Ma non potevo restare sul letto all'infinito... Dovevo fare qualcosa e guardare il soffitto non faceva che peggiorare la situazione. Ho preso il cellulare, dei soldi, i trucchi e gli ho messi in un vecchio zaino nel quale c'erano già un quadernetto rosa e una penna. Ho aperto la porta della mia camera e ho sospirato: per la prima volta ero sollevata nel vedere che mio padre non stava facendo caso a quello che stavo combinando. Ho sceso velocemente le scale e sono arrivata all'ingresso di casa. Ho sentito mio padre chiedere -dove vai?- ma non gli ho risposto. Ho aperto quella porta e ho varcato quella soglia, senza rimpianto, senza preoccuparmi di ciò che sarebbe accaduto.
Uscire fuori mi ha fatto sicuramente stare meglio. Mi sono fermata, per qualche istante, a guardare il cielo. Poi ho preso il cellulare: erano le cinque del pomeriggio e non avevo molto tempo. Dovevo sbrigarmi. Così sono andata a casa di Christian con passo abbastanza veloce. Arrivata, mi ha aperto la porta sua madre.
-ciao Kate- mi ha detto. Come posso aiutarti?
-in veritá, ecco, emh... Cerco Christian. Devo parlargli.
-okay- mi ha risposto. Poi gridando lo ha chiamato e ci ha lasciati soli sulla soglia della porta.
-ciao amore- mi ha detto.
-ciao- ho risposto io -Christian ti devo parlare di una cosa importante. Puoi venire al parco con me, per favore?-
-si certo, ma mi fai preoccupare... Cos'è successo?-
-ti spiegherò tutto là- ho detto io - ora andiamo.
Christian si è infilato una giacca, ha preso le chiavi della moto e ha chiuso la porta. Poi ha messo in moto la sua "due ruote", sono salita dietro e siamo partiti. Il parco era lontano e lui correva forte con la moto. Conoscendolo, era sicuramente preoccupato e voleva arrivare subito al parco per sapere cosa avessi. Per tutto il tragitto, l'ho stretto all'addome e non l' ho mai lasciato. Sentivo il suo respiro pesante e il battito del suo cuore, molto più veloce del normale. Era stupendo essergli così vicino e volevo che quell'attimo non finisse mai.
Ci mettemmo circa un quarto d'ora per arrivare. Sono scesa, mi sono tolta il casco e siamo andati verso il parco, proprio in quel posto nascosto di cui eravamo a conoscenza solo noi due. Poi ci siamo seduti sul prato. C'è stato qualche attimo di silenzio che ho rotto io. Ho cominciato a parlare in modo insicuro: avevo come un nodo alla gola, ed ero tremendamente preoccupata per come l'avrebbe presa. Ma mi sono fatta coraggio -allora, ecco, emh... Ti prego di non parlare finché non finisco. È molto difficile per me, ma devo farlo. Oggi, tornata da scuola, mio padre mi ha detto che avuto problemi con il lavoro- la mia voce a quel punto si era fatta sottile. Avevo le lacrime agli occhi, ma avevo promesso di non piangere davanti a Christian, dovevo essere forte. Mi sono alzata impiedi e mi sono fatta coraggio.
-mi ha detto che dobbiamo trasferirci a New York.
Non credevo al coraggio che avevo avuto. Sono scoppiata a piangere. Mi ha sorpreso la reazione di Christian che d'apprima è rimasto pietrificato, ma appena mi ha vista piangere mi ha consolata. -Ehi,ehi- mi ha detto con tono rassicurante. Mi ha preso la testa fra le mani e me l'ha appoggiata sul suo petto, stringendolo talmente tanto forte da riuscire a sentire, ancora una volta, il suo respiro e il battito del suo cuore. Non ha detto niente, mi ha semplicemente stretta e fatta sentire sicura, tutto qui. Con le mie lacrime gli ho bagnato la maglietta, ma a lui non importava: non voleva lasciarmi andare. Mi sono fatta cullare da quella dolce sensazione di protezione. Siamo stati fermi in quella posizione per circa cinque minuti. Poi ci siamo stesi entrambi sull'erba, uno affianco all'altra. Lui ha cominciato a parlare -non voglio vederti mai più così, chiaro? Devi essere forte-
Mi ha stretto la mano. Ho continuato io - ho paura. Ho paura di non rivederti mai più, di non poterti più stringere tra le braccia. Ho paura di non riuscire a farmi una nuova vita, di essere esclusa dalla società. Ho paura di distruggere tutto ciò che sono riuscita a crearmi... Ho paura di perderti.
Ha sorriso. Sapevo benissimo che era un sorriso che si era sforzato di fare giusto per farmi stare meglio, ma lui soffriva: glielo si leggeva negli occhi. -non devi avere paura. Vedrai che tutto si sistemerà, che tutto andrá per il verso giusto. Riuscirai a farti una nuova vita e io non ti abbandonerò mai... MAI. Hai capito? Mai.
Ha alzato il busto, ha piegato le ginocchia e se le è portate al petto. Io ho fatto la stessa cosa. Il sole stava tramontando ed era uno spettacolo fantastico. Cominciava a fare freddo. Christian se ne è accorto. Così, sorridendo, si è tolto la giacca e me l'ha appoggiata sulle spalle. -prenderai un raffreddore- ha detto. Si è sempre preoccupato molto per me e potevo solo immaginare quanto stesse soffrendo. Guardando il tramonto, mi ha detto -tornerò da te, vedrai, e saremo felici insieme- poi mi ha avvicinata a lui e mi ha baciata. Io ho chiuso gli occhi e ho appoggiato la mia mano sulla sua guancia. Mi sono fatta prendere da questa forte emozione e portare su nel cielo, con la fantasia, solo io e lui e nessun'altro. Poi si è alzato in piedi, mi ha presa e mi ha fatto capire che dovevamo andare. Così siamo tornati indietro e mi ha accompagnata a casa. Arrivata sulla soglia della porta, mi sono ricordata che avevo la sua giacca. -Christian dimentichi la giacca-
-tienila tu- mi ha risposto -portala con te a New York. Me la ridarai quando ci rivedremo- mi ha sorriso ancora una volta. Mi ha dato un bacio sulla fronte , è montato sulla moto ed è partito, lasciandomi con la sua giacca ed il ricordo di quest' impetuosa giornata.

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