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Giorno prima della partenza. Tanti pensieri per la testa. Sveglia alle 8:00. La valigia: cavolo ancora dovevo fare la valigia! Mi sono affrettata e sono scesa in pigiama per fare colazione, con i capelli arruffati e disordinati. Trovata la valigia, sono tornata in camera mia e mi sono vestita. Poi l'ho riempita. Dentro c'era anche la giacca di Christian. Ho preso la lista:
-valigia: sistemata
-trucchi e fon per i capelli: presi
-lenzuola: prese
-oggetti della camera: quasi tutti presi
-andare a danza: "ma dove ho la testa" ho pensato.
Mi sono completamente dimenticata della danza. La mattina la sala era chiusa, sarei andata la sera. Mi sono ritrovata di nuovo sul mio letto, in quella camera che non sarebbe stata più la mia, che ha conosciuto i miei pensieri, le mie risate, le mie lacrime. In quella camera c'era di più. Mi aveva accompagnata per diciassette anni. Avevo già nostalgia. In un attimo mi trovai assorta nei miei pensieri. "Eh già vecchia mia... Non pensavo di doverti abbandonare così presto" pensai. Mi guardavo intorno. Sul comodino c'era ancora la foto di me e mio fratello. Ah, Dylan era una fonte di salvezza. È stato sempre il mio principe azzurro, per molti versi il papá che non ho mai avuto. Ricordo ancora quando, da piccoli, giocando in bicicletta, siamo caduti e ci siamo fatti molto male. Eravamo lontani da casa e senza telefono. Io avevo le ginocchia sanguinanti e lui lo stesso. Solo che io non riuscivo ad alzarmi: avevo una caviglia fratturata. Pensavo che per noi fosse la fine. Invece, non so dove a trovato la forza e il coraggio, mio fratello si è alzato in piedi con fatica e mi ha consolato dicendo che sarebbe andato tutto bene. Poi mi ha presa, facendomi passare il braccio dietro il suo collo e trascinandomi così fino a casa. Arrivati, mio padre, per una volta, si è preso cura di noi, portandoci all'ospedale più vicino per farci medicare e, per quanto riguarda me, anche ingessare il piede. Tornati a casa, sono stata un mese a letto senza potermi muovere. Essendo estate, non ho perso giorni di scuola, come invece avrei preferito. Dannate estati. Ogni anno, per un motivo o per l'altro, qualcosa rovinava tutto. Quell'anno avevamo progettato di fare una crociera, ma ciò non è accaduto a causa del mio piede. Ma quello che mi ha consolata è stato, ancora una volta, mio fratello. Ogni giorno, puntualmente, veniva in quella camera, si sedeva a terra affianco a me e mi teneva compagnia. Che sogno. Penso che poche persone siano così fortunate nell'avere un fratello così beh... Perfetto. Quella foto, in quella cornice, racchiudeva il ricordo di un bellissimo pic-nic in famiglia, quando ancora c'era mamma. Sono sicura che alla sua morte l'abbia presa male, ma no, non l'ha dimostrato: ha saputo essere forte, tenere duro in un momento che, per qualsiasi altro bambino, sarebbe stato traumatico. Avendo all'epoca solo cinque anni, ci saremmo aspettati di avere un bimbo traumatizzato, e invece no: lui, durante il momento di sepoltura della persona più importante della sua vita ha detto "sono sicuro che lei è già in paradiso". È già in paradiso. Brividi. Quella frase è riuscita a trasmetterli forza. E quando ha saputo della partenza, certo, era triste ma non l'ho mai visto piangere.
Girando sbadatamente la testa, ho notato il resto della stanza:era strano vederla così vuota. Come il mio cuore in quel momento. Vuoto. Quelle foto e quei ricordi ormai non avevano più un senso. Bruciati nel fuoco, erano volati via. "Cavolo non avrei mai pensato di dover gettare un intera vita nel cesso" dissi fra me e me.
Quel pomeriggio passò in fretta. Guardai l'orologio: erano le sei del pomeriggio. Dovevo andare a danza per parlare con Roberta, la mia insegnante. Lei per me ha rappresentato la mamma, nel momento in cui quella vera è venuta a mancare. Praticavo danza da quando avevo sette anni. Ho iniziato a quell'età perchè... Beh, non c'è un vero motivo. Rimane comunque il fatto che ero già grande per iniziare a danzare: non avevo le basi delle altre ragazze di sette anni, che già utilizzavano la sbarra. Il motivo per il quale ho scelto di praticarla? In molti film o cartoni si vedono ballerine così eleganti, sontuose e delicate nei movimenti. La figura della ballerina mi ha sempre affascinato. Qualcosa è cambiato quando, da piccola, mi misi a ballare davanti allo specchio dopo un'arrabbiatura. Anche se lo facevo in modo molto impacciato, mi sentivo meglio. Nel mio cuore la danza era un senso di sfogo. E in qualsiasi momento in cui io provavo un'emozione molto forte, bella o brutta che fosse, andavo in camera mia e ballavo davanti allo specchio. Un giorno mia madre notò questa passione e divenne il mio primo pubblico. Insisteva nel volermi mandare alla scuola di danza, ma io non volevo: troppo timida per potermi presentare su un palco. Mi convinsi solo all'età di sette anni. La mia insegnate, chiamata appunto Roberta, era una ragazza bionda dagli occhi verdi. Appena entrai in sala la prima volta, non potei far altro che rimanere incantata dal suo portamento, anche nel semplice parlare o camminare. Era... Meravigliosa. Mi ha presa da subito in simpatia e ha fatto crescere la mia passione. Ho iniziato a vincere gare e premi. A lei potevo dire tutto, mi potevo fidare: se mi piaceva un ragazzo, se ero felice, triste, se avevo trovato una nuova amica. È sempre stata comunque molto severa. Ricordo le tante volte in cui avrei mandato tutto al diavolo, e lei mi spingeva ad andare avanti. Fare la ballerina comporta tanti sacrifici. Tutte le volte che la pregavo di farmi togliere le punte perché avevo i piedi doloranti e pieni di sangue, e lei a insistere, a spingermi al limite, sgridandomi. Tutte le volte che piangevo perché pensavo di non essere degna di assumere un determinato ruolo in un'opera, tutte le volte che mi sono messa sotto con gli esercizi solo perché delusa di essere stata sbattuta in ultima fila. Tutto questo però aveva uno scopo: arrivare a interpretare Odette ne "il Lago dei Cigni". Dio, quando l'ho saputo avrei voluto dividere in due il mondo per la gioia. Purtroppo nel mio vocabolario mentale questa parola non esiste, o se c'era, era destinata a durare poco. Come volevasi dimostrare, infatti, quell'estate sarei dovuta partire per New York. Penserete che sono una bambina viziata, lagnosa, che avrei dovuto essere felice di andare a vivere in una città che comunque mi avrebbe dato un futuro migliore. Sfortunatamente io non sono come tutte le altre. Avrei preferito vivere sotto i ponti a Washington più tosto che vivere in una villa a New York, lontana dalle persone a me più care. Ma il mio destino era inevitabilmente segnato: non potevo cambiare il corso degli eventi.

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