Capitolo 10: Il vero David

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Ero di nuovo in quella maledetta stanza nera. Non vedevo niente, a parte una lieve luce che brillava davanti a me, la scritta USCITA in rosso come la notte precedente. Come la scorsa volta provai a raggiungerla, riuscendoci senza problemi. Nonostante l'intensità la luce era priva di calore, ma dentro brillava ancora quel pulviscolo dorato. Quando allungai una mano sentii ancora quella sensazione di solletico, ma non vi badai. Volevo lasciare quella stanza nera e cupa.

"Perché te ne vai?" Non era la stessa voce dell'altra volta: questa era più suadente, da ragazzo, ma comunque familiare. Mi voltai e nel buio ritrovai due occhi, di un indaco meraviglioso, che mi guardavano divertiti, intonati al sorrisetto che aveva sul volto. Non appena incastrai il mio sguardo nel suo la porta di luce scomparve e la stanza prese fuoco, divampando come se qualcuno avesse acceso una miccia invisibile. Gridai terrorizzata e mi riparai il viso per non bruciarmi, ma subito mi accorsi che le fiamme che mi lambivano i vestiti e la pelle non erano calde, ma fredde come il ghiaccio.

"David?" dissi, aprendo leggermente gli occhi e mettendo a fuoco la sua figura avvolta nelle fiamme.

"Mi lasci solo." Provai ad avvicinarmi a lui e il fuoco me lo permise, aprendosi in una piccola strada lastricabile.

"No. Non credevo ci fossi anche tu." dissi, prendendogli una mano una volta raggiunto. Lui abbassò lo sguardo e le fiamme si spensero, annullando il bagliore sanguigno. La stanza ritornò buia e David scomparve dalla mia vista, ma sentivo che era ancora davanti a me, sentivo la sua mano.

"Non mi lasciare qui al buio." La sua voce era bassa e triste, quasi come quella di un bambino terrorizzato.

"Non lo farò. Vieni. Andiamo via." Lo guidai verso il punto dove prima avevo visto la porta, ma l'unico effetto che ottenni fu quello di sbattere alla parete. "Non capisco. Era qui." dissi, tastandola con la mano libera. Dietro di me sentii una risata sommessa e triste, quasi amara. Mi mise i brividi e, come se non bastasse, veniva da David.

"Nessuno mi può aiutare. Nemmeno tu." Continuò a ridere rassegnato e io cominciai a spaventarmi. Preferivo di gran lunga la sua versione da sveglio, con gli occhiali e le magliette scolorite e i capelli che seguivano una loro logica.

"Smettila di dire così. Usciremo da questo posto."

"Ma io non posso uscire." disse tranquillamente, come se fosse la cosa più normale del mondo.

"Cosa dici?" Lui mi lasciò la mano e la porta riapparve, alta e splendente, davanti ai miei occhi. "Dai, vieni." David non dava segno di volersi muovere, ma continuava a sorridere amaramente.

"Non capisci? Io non posso uscire." insistette lui, e mi riprese la mano. In quell'istante, la porta scomparve così come era venuta.

"Perché?" chiesi al limite dell'incredulo, appoggiandomi sulla parete scura. Anche per tutta la luce del mondo non gli avrei lasciato la mano. Non lo avrei lasciato solo.

"Tu mi lasci sempre indietro." Scostò la mano, lasciando che la luce lo illuminasse interamente: vidi chiaramente la cicatrice sull'occhio sinistro, quello dall'iride macchiata di viola, e lui si affrettò a coprirla con una mano. "Mi hai lasciato solo. Io mi fidavo di te. Credevo fossi come me, invece hai preferito vivere tra gli... umani." Ma di cosa stava parlando? Arretrai di un passo, visibilmente spaventata, e lui allungò un braccio verso di me. "Allora sai cosa ti dico?" urlò, afferrandomi per le braccia e scuotendomi forte. Mi avvicinò al suo viso quel tanto che bastò per farmi sentire il suo odore: fuliggine, come se fosse appena scampato ad un incendio.Il suo sguardo aveva una cattiveria che non mi sarei mai aspettata di vedere. Non da degli occhi così belli. "Va all'Inferno, ibrido." Mi lanciò indietro e sentii quel pulviscolo avvolgermi mano a mano che entravo nella porta. Tendetti le mani verso David, ma la sua immagine scomparve in un'esplosione di luce.

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