Capitolo 4

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La sala era sprofondata in un silenzio surreale. Tutti gli sguardi ormai erano puntati sulla mano pallida e ossuta che andava alzandosi di quel misterioso ragazzo. Alcune persone in prima fila intuirono cosa stesse per accadere e indietreggiarono per poi iniziare a correre. Il panico si diffuse rapido come un veleno mentre le urla riecheggiavano fra il rumore di spinte e cadute. Vidi persino amici, compagni di una vita abbandonarsi pur di salvarsi. La paura cieca aveva reso gli animi dei presenti egoista. ≪Basta poco per spezzare il filo che ci lega alla nostra umanità Alexis.≫ La voce di mio padre squillò nella mia mente come un campanello d'allarme. Afferrai il polso sottile di Dalila che come me era rimasta immobile a fissare lo spettacolo dell'orrore. Partì il primo colpo dall'arma ben mirato. Lo sentii non poco lontano dal mio orecchio sinistro e quando mi girai di scatto avrei preferito non guardare. Davide era riverso a terra con la mano sulla gamba destra e perdeva copiosamente sangue. Sul pavimento lucido della sala al di sotto del suo corpo si stava allargando una pozza di liquido rosso. Scattai e buttai Dalila a terra, dovevo risparmiarle quella visione, per quanto forte fosse non avrebbe mai sopportato la vista di lui in quello stato. Secondo colpo. Questa volta lo udii più vicino e fortunatamente andò a vuoto. Sussurrai alla mia amica di strisciare verso l'uscita, osservandola notai i suoi occhi colmi di terrore e le ci volle qualche secondo per annuire. Terzo colpo. Lo sentii. Il sibilo del proiettile che mi sfiorava l'orecchio e si conficcava nella poltrona su cui ero poggiata. Un brivido freddo lungo la schiena mi fece alzare di poco la testa permettendomi di vederlo. Era sceso sinuoso e silenzioso dal palco e come un cacciatore si era messo a osservare le prede scappare in preda alla paura più folle. Alzando la testa feci il suo gioco, i suoi occhi neri mi avevano catturata, scacco. Perché so che è me che cercava. So che è il mio sangue riversato in quella sala ciò che voleva vedere. Spinsi Dalila più forte che potevo facendola ruzzolare verso l'uscita e urlandole di scappare. Mi alzai e corsi via da lei. Mi avvicinai sempre più a lui, spinta da non so quale emozione. Vedo tutto a rallentatore. I pochi studenti che sono rimasti mi spingono mentre mi dirigo dalla parte opposta alla salvezza. È come nuotare in un fiume in piena controcorrente. Quarto colpo. È vicino. Troppo vicino. I ragazzi fuggono impazziti facendomi cadere, ricevo calci e ancora spintoni. Le mie mani però sono bagnate e rischio di scivolare nuovamente nel tentativo disperato di rialzarmi. Il pavimento dove poco fa giacevo è tinto di rosso. Giro lo sguardo a sinistra. Sotto folti capelli neri di una minuta ragazza si espande un'aureola di fuoco. Non ho idea dove sia stata colpita, vedo però il suo petto alzarsi e abbassarsi seppur debolmente. Sto per avvicinarmi per aiutarla, quando due ragazzi che ancora non sono riusciti a scappare mi spintonano, cerco di non cadere. Non avevo affatto notato la scalinata che si ergeva davanti a ma come un baratro. Io scivolo, picchio la testa e cado. L'ultima cosa che vedo è il nero, così somigliante agli occhi di lui.

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L'odore di farmaci e di disinfettante non le era mai piaciuto. Le ricordava troppo il filo sottile su cui camminava, era sicura che se avesse fatto un passo falso sarebbe precipitata. Non era più preoccupata del se, ma del quando. Perché sapeva che sarebbe successo. Sperava almeno che cadendo in quel vuoto per una volta non avrebbe sentito dolore. Toccò la fredda maniglia d'acciaio e aprì la porta cercando di non far rumore. Come sospettava stava riposando. Era sempre così negli ultimi giorni. Il silenzio era interrotto solamente dai ritmatici tic di una macchina. Posò le primule viola che aveva raccolto lungo il fiume sul comodino accanto al letto e riempì d'acqua fredda un vaso verde. Accarezzò il viso dell'uomo disteso sul letto come a volerne memorizzare ogni singola ruga. Ma lui nonostante il tocco leggero e delicato di quelle dita che ben conosceva non si svegliò.

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La ragazza attraversò velocemente il corridoio. Questa volta non fu tanto garbata da aprire silenziosamente la porta con la maniglia d'acciaio. La stanza era vuota. Le lenzuola erano state lavate, piegate e riposte al bordo del letto. Le primule erano appassite e giacevano ormai morte nel vaso verde. Lo prese prima delicatamente, poi lo strinse e lo scagliò contro la finestra con tutta la forza che aveva in corpo. I frammenti e l'acqua schizzarono riempiendo ogni angolo della stanza altrimenti vuota. Gridò. Se n'era andato. L'aveva lasciata. Nonostante tutto lei aveva continuato a sperare, era arrivata la primavera e quell'aria dolce le aveva portato speranza. La primavera è vita che rinasce. Non morte. Aveva tanto sperato di non provare dolore quando il filo su cui camminava si sarebbe rotto e sarebbe precipitata. Eppure anche in quel freddo vuoto, la morsa di quel mostro l'attanagliava.

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≪Cosa mi rimarrà di te, papà?≫ chiese la ragazza con ormai gli occhi lucidi nonostante cercasse di dimostrare forza.
≪Il ricordo tesoro, il ricordo.≫ le accarezzò la guancia pallida accennando un sorriso poi chiuse gli occhi e si addormentò con il nome della figlia Alexis che gli riecheggiava nella mente.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 09, 2016 ⏰

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