Capitolo 3

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Il teatro era un vecchio edificio di un piano dall'aria malandata affacciato su un ampio piazzale, al di sopra di tre porte di legno c'era una grande insegna in marmo che indicava di cosa si trattasse. Delle panchine in ferro battuto ornavano l'esterno con vasi di fiori dai colori sgargianti. La luce proveniente dai lampioni era insufficiente per illuminare interamente l'ingresso, ombre scure e sinistre si allungavano dagli spigoli dell'edificio. Superati gli scalini posai la mano sul freddo legno della porta centrale, spinsi e questa si aprì scricchiolando.
L'atrio era semplice. Pareti bianche come il pavimento, in marmo; un bellissimo lucernario spiccava al centro del soffitto, dei tavolini erano appoggiati qua e là per la stanza. Come l'ingresso, c'erano tre porte, due coperte da tende porpora legate con una corda d'oro che conducevano ai palchi e al loggione, l'altra al centro semplice che conduceva alla sala. Optammo per la sala. Lo spettacolo era già iniziato. I palchi erano pieni, così come la sala ad eccezione dei pochi posti dietro, quelli che occupammo. ≪Sarà divertente≫ mi aveva detto Dalila, che nel frattempo si era già appoggiata con la testa su una mano con gli occhi chiusi. Perfetto. Adesso dovrò sorbirmi tutto da sola. Mi abbandonai contro la poltrona di velluto rosso rovinata e attesi che lo spettacolo, che sarebbe poi diventato lo spettacolo degli orrori, finisse.

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≪Papà papà! Vieni a bagnarti i piedi vicino al ruscello insieme a me! Oggi è una bellissima giornata.≫ Un uomo dalla carnagione chiara e i capelli d'oro si sedette lentamente su una pietra attento a non scivolare. Raggiunse la figlia e tolse gli scarponi per bagnare i piedi. Osservava con sguardo assente il cielo. Dopo diversi minuti posò l'attenzione sulla bambina. Giocava freneticamente con le mani con due treccine bionde che le incorniciavano il viso paffuto. Anche lei si girò a guardarlo. Sorrise e prese a schizzare acqua con i piedini. Vederla ridere era un sollievo, per quei pochi attimi in cui non era a lavoro. Era stanco, di una stanchezza che non poteva essere colmata dal riposo; quel ruscello, quel posto apparteneva a loro solo, lì trovava pace. Si stava ammalando e lo sapeva. Voleva essere forte per tutta la famiglia, non doverli abbandonare e poter regalare loro una vita serena. Il sole prese a calare, il cielo si tinse di un rosso ardente; l'uomo prese la mano della figlia, la strinse e una volta riallacciate le scarpe si incamminarono verso casa. ≪Papà io e te sempre insieme, giusto?≫ Alzò lo sguardo e strinse ancora di più la mano dell'uomo che per un attimo indugiò sulla risposta. Odiava le false promesse. ≪Le cose non vanno sempre come vogliamo, Alexis.≫

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Nei momenti in cui rimanevo da sola i ricordi si facevano largo nella mia mente, affilati come coltelli. Affondai le unghie nei braccioli della poltrona rovinata, mentre un sapore amaro mi inondava la bocca e gli occhi si inumidivano. Mai permettevo ai sentimenti di sopraffarmi, specialmente in pubblico, con Dalila al fianco che riposava beatamente appoggiata
con la testa su una mano e i capelli davanti a un occhio. I ragazzi e gli insegnanti presenti in sala iniziarono ad applaudire, la luce si accese. Lo spettacolo era terminato e io mi ero persa il finale, non che avessi seguito attentamente anche l'inizio. Diedi una gomitata a Dalila che tornò alla realtà spostando la ciocca di capelli dietro l'orecchio e gli occhi puntati sul palco. Un ragazzo era sgattaiolato fuori dalle quinte, in un elegante completo che faceva risaltare la carnagione chiara, gli occhi neri come la notte e i capelli lisci color platino. Gli zigomi alti proiettavano ombre scure sul volto pallido. Era molto bello, di una bellezza sinistra; erano tutti concentrati sul suo viso che non si accorsero della mano che lentamente sfilava dalla giacca una lucente pistola.

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