The Secrets.

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Ero convinta che mia madre fosse soffocante, una spina nel fianco. Non potevo fare mai nulla, voleva sempre sapere dove fossi, voleva persino che la avvertissi dei miei spostamenti. Se la chiamavo dicendo che andavo in un negozio con una mia amica poi dovevo avvertirla quando andavo in un altro negozio. Era assillante e insopportabile. Ma la capivo, si preoccupava soprattutto perché ci vedevamo poco e niente.

Non era mai a casa a causa dei suoi orari di lavoro. Lavorava in un ospedale fuori dalla contea, ma non avevo mai capito cosa facesse di preciso. Non glie l'avevo mai chiesto e lei non aveva mai accennato nulla.

Certo, parlava spesso di alcuni pazienti, a volte un po' pazzi e ci facevamo quattro risate. Altre volte mi raccontava storie più tristi, di qualche paziente a cui si affezionava ma purtroppo che non ce la faceva. Pensavo che lo facesse per rendermi partecipe della sua vita, visto che io l'avevo praticamente esclusa dalla mia.

Una volta le raccontavo tutto. Era la mia migliore amica, crescendo però io mi ero distaccata. Lei era troppo soffocante, non avevo i miei spazi. Molte volte l'avevo beccata leggere di nascosto il mio diario e in quei momenti la odiavo. La odiavo perché il diario era una cosa privata, dove scrivevo tutto ciò che sentivo, che provavo e che non volevo dire a nessuno, perciò le confidavo a quelle pagine bianche per sfogarmi, sapendo di non poter essere giudicata, ma soltanto ascoltata.

Per questo avevo smesso di confidarmi con lei, perché lei era talmente ossessionata dal sapere tutto di me, tutto ciò che provavo, da spiarmi e invadere la mia privacy. Aveva perso la mia fiducia, e lo sapeva. Doveva aspettarselo, no?

Avevo anche smesso di scrivere sul mio diario e avevo deciso di bruciarlo, così che non potesse leggere nient'altro. Aveva sempre avuto questa ossessione di controllarmi, ma non ero più una bambina e lei di certo non era la mamma modello.

Lei ci provava a fare la mamma, ma io non credevo proprio che fosse così. Non le riusciva. Non apprezzavo nulla di ciò che faceva per me. Ero arrabbiata e me la prendevo sempre con lei, mi sfogavo su di lei, sfogavo la mia rabbia e il mio dolore, pensando solo a quello. Pensavo solo a me, a quello che provavo, non mi aveva mai sfiorato il pensiero di come si sentiva lei o perché si comportava così. Mi comportavo da narcisista e quelle poche volte che era a casa litigavamo.

«Vado a dormire da Julia» le dissi. Conoscevo da poco Julia, era la prima amica che mi ero fatta in quel buco di posto. Ci trasferivamo spesso, per motivi di lavoro. Anche per questo non sopportavo mia mamma: ogni volta che riuscivo a integrarmi e a farmi degli amici dovevamo trasferirci. Col tempo avevo imparato a non affezionarmi troppo alle persone e a tenerle una certa distanza, così da non soffrire per il trasferimento successivo.

Lei alzò lo sguardo su di me. Sul suo viso leggevo la preoccupazione, l'ansia, non riuscivo mai a capirla.

«Cosa? No. Dormi qua» disse lei. Io ero già pronta, con indosso dei comodi leggings neri, una canotta bianca e una felpa nera. Non ero una ragazza appariscente, ero normale. Non mi curavo dell'aspetto fisico, non mi interessava. Mettevo ogni tanto un po' di mascara sulle ciglia, niente di più. Non mi piaceva truccarmi, mi piacevo al naturale. Ero una ragazza acqua e sapone, si può dire.

«Te l'ho detto due giorni fa che sta notte avrei dormito da lei, non cominciare» dissi irritata.

«Non ti ho dato il permesso!» mi schernì.

«Non te l'ho chiesto» dissi senza degnarla di uno sguardo. Ero intenta a rispondere a un messaggio di Julia, che mi avvisava che era quasi arrivata. Ero ormai grande, non poteva più rinchiudermi in casa, per chissà quale ragione.

«Detto io le regole qua, e tu non vai a dormire proprio da nessuno!» urlò, alzandosi dal divano.

«Ho l'età per fare ciò che voglio!» urlai di rimando.

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