18 || Alex

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It is no use pretending. I love you and I'll love you 'till death. And if there's a life after death, I will love you even in that.

     Il rumore degli armadietti che venivano richiusi con violenza è il ricordo più imminente del mio ritorno a scuola.
Metallico, forte, assiduo.

I corridoi erano occupati da ragazzi che correvano, spingevano, parlavano di cose che non riuscivo a capire. Sembravano tanti sussurri troppo forti.

Colsi anche qualche sguardo spaventato su di me che venne scostato un secondo dopo.
Persone di cui non sapevo niente mi guardavano con disgusto, rancore.

Ero mancato per tre giorni, ma la leggenda del mostro che ero non si era disfatta.
Non mi sarei mai tolto quell'etichetta di dosso. E la colpa era solo mia.

Passai la folla tra sguardi, occhiatine, commenti sussurrati. Avrei gridato ad ognuno di loro di smettere di guardarmi, di farsi una vita, parole che erano smaniose di uscire dalla mia bocca, ma dovevo mantenermi calmo.

Mi concentrai sui miei passi.
Non sentivo lo stridio della suola contro il pavimento nella confusione della mia mente, così me lo immaginai.
Finsi di sentire il modo in cui la plastica delle mie scarpe schricciolava. Un suono lungo, irritante.

Il pavimento si interruppe di colpo, nascosto dalla base degli armadietti blu.
Sollevai lento lo sguardo verso il mio, rigato dalla rugine che mangiava la vernice.

Sussultai quando presi tra le mani il lucchetto freddo, ispezionando la serratura con sguardo attento.

Lasciai il metallo e frugai tra le mie tasche quasi vuote. Le mie dita si chiusero su qualcosa con la punta aguzza e dentellata.

Tirai fuori la chiave con un sospiro di sollievo e la infilai nella toppa, la girai tra le mie dita tremanti.
L'armadietto si aprì con uno scatto, misi le mani all'interno e tirai fuori il libro di letteratura, chimica e biologia. Li riposi nello zaino, tra l'astuccio e qualche quaderno rotto.

-Dove cazzo è? Dov'è Ostuni?-

La mia testa si voltò di scatto a quel richiamo, con la reattività di una molla.

Riconobbi il tono, la voce, il timbro.
Capii che non mi cercava solo per parlare o discutere.
Stavolta, però, non sarebbe finita come due anni prima.

Feci scivolare giù dalla mia spalla lo zaino, scaraventandolo dietro ai miei piedi con un calcio.

-Sodano. Sono qui.-

Chiusi l'armadietto con tutta la forza che la mia mano mi permise. Volevo fare rumore, farmi sentire, attirare l'attenzione.
Era la mia occasione di riscatto e dovevano saperlo tutti.

Poi, però, ricordai le parole di Victoria.

'Se ti azzardi a picchiare di nuovo qualcuno non sarò più in grado di fare qualcosa per te'

Un soffio sul mio castello di carta.
Sciolsi i pugni che avevo stretto.
Avevo dei seri problemi a gestire la rabbia, mi lasciavo prendere troppo da quel forte sentimento, vedevo tutto nero e sentivo solo il mio braccio colpire, colpire e colpire ancora.
Ero come uno di quei prodotti facilmente infiammabile.

-Che cazzo hai fatto alla mia ragazza?!-

Il ragazzo mi gettò adosso gli occhi scuri con sprezzo, benzina sul fuoco che cercavo di spegnere.
Avanzò verso di me intimidatorio, i pugni stretti lungo i fianchi e la mascella pronunciata serrata.

-E la tua che ha fatto alla mia?- sbottai.

Mi fu davanti, talmente vicino che sentivo il suo respiro scorrermi sul collo, calore fastidio che provocò i miei sensi. Un brivido esplose nel mio petto e risalì la mia schiena.
Misi le mani sulle sue spalle e lo allontanai con una forza che non avevo premeditato.

Indifferent↝Lorenzo Ostuni.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora