Drunk...

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Il bar dove lavoro è sempre pieno, ma questa sera stranamente, non c'è nessuno.
Per questo sono seduta sul bancone a fumare una sigaretta indisturbata, servendomi un Mojito ghiacciato e fissando il vuoto, alquanto pensierosa.
Il capo non c'è e tra un quarto d'ora devo chiudere: è una di quelle serate morte in cui ammazzo il tempo così, sentendo musica spazzatura dal televisore al plasma fissato su una parete del locale.
Il Green Lights è un locale che mi è sempre piaciuto, è gestito da Greg, il mio vicino di casa, e ricorda molto una birreria irlandese. Si chiama Green Lights perché la luce soffusa che è presente nell'ambiente è di un colore verde salmastro, dato dai vetri delle più disparate sfumature di verde che coprono le lampadine gialle.
Ho frequentato questo posto per quasi sette anni, e lavorarci per me è un sogno che si avvera: mi sa tanto di familiarità, sebbene io alle volte debba servire clienti totalmente ubriachi.
Pulisco il bancone, mentre alla radio danno una canzone dei Beatles, che mi fa rilassare ed improvvisare qualche arrugginito passo di danza qua e là.
La campanella del portone mi fa scattare sull'attenti, spegnere al volo la sigaretta buttandola nel mio drink mezzo finito, e tornare dietro al bancone.
Un ragazzo che ha circa la mia età o giù di lì, si siede su uno sgabello dinanzi a me. Non alza lo sguardo e sembra piuttosto abbattuto.
«Un brandy senza ghiaccio.» borbotta, strascicando la voce. Dal tono che assume constato che è alquanto ubriaco.
«Giornata storta?» chiedo, mentre gli servo il suo liquore. Il ragazzo alza lo sguardo e mi fissa negli occhi: a quel punto, mi irrigidisco, per poi rilassarmi visibilmente ed esibire un sorrisetto sfacciato.
Il cliente non risponde, alzando gli occhi blu al cielo e bere tutto d'un fiato il brandy.
«Un altro.» ordina, battendo sul bancone di legno colorato di verde pino il bicchiere di vetro. «E poi non credo siano cazzi tuoi.»
«Problemi in paradiso, Taylor-Johnson?» chiedo, continuando indifferente a pulire il bancone ed il bicchiere contenente il mojito con la sigaretta mezza spenta.
«Solo Johnson, grazie.» borbotta, chiedendo un altro bicchiere del liquido ambrato che ha ordinato fino ad ora. Lo accontento decidendo di tacere. «Tu sai il mio nome, è evidente, ma io non so il tuo, perciò: come ti chiami?»
«Raven.» affermo, sciogliendo e rilegando i capelli in uno chignon disordinato. «Raven Watson.»
«Bene, io sono Aaron.» si presenta, porgendomi una mano. La afferro e la stringo saldamente, un po' perplessa. «E voglio ubriacarmi stasera, quindi basta domande, dolcezza.»
Scuoto lentamente la testa, cercando di non lamentarmi del nomignolo che mi ha affibbiato. Mi fa pensare ad un Haymitch Abernathy mezzo ubriaco che cerca di guidare due tributi inesperti in un'arena piena di gente pronta ad ucciderli.
«Facciamo che mi lasci la bottiglia, al prossimo.» dice, fissando l'ultima goccia color caramello del suo drink.
«Facciamo che se vuoi bere lo fai alle mie condizioni, ti va Aaron Taylor-Johnson?» chiedo, sorridendo sinceramente. Mi capita raramente di proporre questo gioco ai clienti, ma avere un attore famoso nel bar in cui lavori è un evento più unico che raro.
«Dipende.» afferma, assottigliando lo sguardo e riducendo quelle due pozze azzurre ad una linea sottile ed intensa. «Spara le condizioni.»
«Ti riempio il bicchiere e ne prendo uno anche per me, cercherò di indovinare qualche aspetto che caratterizza la tua vita, se sbaglio bevo.» spiego velocemente, prendendo da dietro il bancone una bottiglia di vino rosso, decidendo di fare questo gioco in pieno stile Game Of Thrones. «Se invece ho ragione, tocca a te bere. Che mi dici?»
«Ci sto dolcezza.»

Mezz'ora dopo sono in compagnia di un Aaron piuttosto ubriaco, che canta a squarciagola una canzone di Katy Perry che stanno passando in radio. Devo dire che sono piuttosto alticcia anche io: non ho indovinato l'esatto numero dei suoi figli, l'età dell'ormai ex moglie e il numero di film in cui è stato protagonista.
«Facciamo l'ultimo giro!» grida, spaccandomi quasi i timpani per l'enfasi che ci mette. Rido come una scema mentre riempio di nuovo i nostri bicchieri, rovesciando anche un po' del liquido rosso sul bancone che avevo pulito con tanta accuratezza poche ore prima.
«Okay signor Johnson, mi dica.» affermo, strascicando un po' le parole. Per quanto io sia abituata a bere, otto bicchieri di vino rosso fanno la loro parte, perciò mi ritrovo a biascicare mentre cerco di accendere inutilmente una sigaretta.
«Sei un'ingegnere.» dice abbassando gli angoli delle labbra verso il basso, ostentando sufficienza da tutti i pori della pelle. Mi ritrovo a tracannare il bicchiere di vino senza emettere fiato.
«Cosa mi ha tradita?» chiedo, pulendomi le labbra col dorso della mano, per poi sorridere ampiamente, fiera del mio ruolo.
«Nulla, ma ti chiami Raven.» afferma, quasi con fare ovvio. La mia faccia scioccata deve far ridere parecchio, perché ridacchia piano e decide di spiegarsi. «Hai presente Harry Potter? I Ravenclaw sono i più intelligenti, e poi, per la storia di ingegneria ho tirato ad indovinare.»
«Non fa una piega.» dico, scoppiando a ridere di cuore. Resta a fissarmi per qualche istante, gli occhi che si fanno più scuri e perdono l'allegria che li aveva accesi poco prima. «Ho detto qualcosa che non va?»
Lui scuote la testa e si stropiccia gli occhi violentemente, passandosi in seguito le mani sul viso, come a cancellare segni di pianto mai esistiti. Poco dopo si copre gli occhi con queste e lo sento singhiozzare.
Sgrano gli occhi preoccupata e mi avvicino a lui, che ormai si è abbandonato sullo sgabello in una posa più che scomposta.
Mi posiziono in piedi tra le sue gambe divaricate e con un grosso sospiro mi sposto alcune ciocche di capelli sfuggite allo chignon dietro le orecchie. Prendo le sue mani tra le mie e gli scopro gli occhi. Mi guarda con gli occhi afflitti, rossi e pieni di lacrime.
Sorrido intenerita e lo abbraccio di slancio.
Dapprima si irrigidisce e smette di singhiozzare, ma dopo qualche istante ricambia, stringendomi talmente forte da farmi mancare il fiato.
Adesso, per la prima volta durante il poco tempo passato assieme riesco a vedere Aaron, e non Aaron Johnson, il famosissimo attore che ha interpretato QuickSilver nell'ultimo film della Marvel.
«Che dici se chiudo un po' prima e ti offro un tea a casa mia?» chiedo sulla sua spalla.
Lo sento annuire e sciolgo l'abbraccio il più lentamente possibile, per poi guardarlo negli occhi ed accennare un sorriso incoraggiante.
Chiudo le varie bottiglie di alcol dietro il bancone e metto in frigo un cartone di latte per l'indomani mattina. Pulisco il bancone con uno strofinaccio bagnato ed ogni tanto lancio delle occhiate preoccupate ad Aaron.
Spazzo a terra e lavo i bicchieri che abbiamo utilizzato in precedenza, soffermandomi più del dovuto per colpa dei miei pensieri. Spengo la tv che nel frattempo sta dando una canzone dei Led Zeppelin e mi tolgo il grembiule, non prima di aver tolto il mio fedele pacchetto da venti di Marlboro rosse accompagnate da un accendino dalla tasca enorme presente sul davanti.
Mi sciolgo i capelli e cerco di districarli al meglio passandoci le dita attraverso.
Poi, spengo tutte le luci e chiamo Aaron, dicendogli di uscire. Lui si trascina fuori dal locale con aria fortemente depressa ed io comincio a dubitare del mio invito per la prima volta in mezz'ora.
Sebbene sia un attore di fama internazionale, nessuno mi dice che abbia la testa a posto, o che comunque non tenti di stuprarmi una volta varcata la soglia dell'ingresso di casa mia.
Sento un pizzico di ansia assalirmi, perciò dopo aver chiuso il Green Lights con due mandate di chiave ed aver tirato giù la saracinesca, mi accendo una sigaretta.
Gli passo il pacchetto indifferente, e lui ne prende una per poi accenderla con un accendino che tira fuori dalla tasca dei suoi blue jeans.
Fumiamo la nostra sigaretta in silenzio, ma mentre io sono a metà, lui ha giá finito la sua.
«Andiamo?» chiede, emettendo un grosso sospiro dalle labbra. Lo guardo di nuovo negli occhi e mi convinco a pensare che non potrebbe mai farmi del male in quello stato.
Perciò lo conduco dove ho parcheggiato la mia Smart nera opaca, e lo faccio salire in macchina.
Guido in silenzio per le strade di Londra, fino ad arrivare al mio appartamento ad Hoxton ed accendermi un'altra sigaretta. Salgo le scale seguita in silenzio da lui e mi preparo psicologicamente alla sua reazione alla vista del mio monolocale.
Cerco di prendere tempo nell'aprire la porta, mentre lui aspetta dietro di me, le mani in tasca e lo sguardo curioso di vedere qualcosa in più sulla mia personalità.
Apro la porta ed accendo la luce, alzo le braccia al cielo e le faccio ricadere mollemente sui fianchi.
«Benvenuto nella Raven-cave.» esclamo, accendendomi velocemente una sigaretta ed appoggiando il pacchetto mezzo pieno con le chiavi della macchina sul tavolino della cucina.
Scoppia a ridere come un idiota, indicando i vari poster appesi lungo le pareti della stanza.
«Tu?! Una mia fan!» sbotta, continuando a ridere, tenendosi per giunta la pancia dalle troppe risa. «Ti ho anche autografato un fottuto poster!»
«Non sono una tua fan.» preciso, indicando il resto dei poster riguardanti la Marvel. «Sono una fan della Marvel.»
«Certo certo.» svia il discorso con un gesto disinteressato della mano. «Cazzo! È la mia action figure!» esclama, prendendo il pupazzetto tra le mani.
«Sembra che tu venga da Marte.» affermo ridacchiando e mettendo a bollire l'acqua per il tea. Lo vedo afferrare e tocchicciare tutti i miei pupazzetti.
«Abbiamo anche una foto insieme! Non ti ricordo però.» dice, indicando una delle tante foto che ho appese in bacheca. «Perché non ti ricordo?».
«Perché è un fotomontaggio, genio.» dico ridendo. Quel fotomontaggio me l'ha regalato la mia migliore amica Michelle quando ci siamo incontrate la prima volta alla premiere del primo film di "The Avengers" nel 2012. «La mia migliore amica Michelle fa il grafico e me l'ha regalato qualche anno fa.»
«È la rossa nella foto?» chiede, prendendo tra le mani una cornice appoggiata sul comodino. Annuisco e mi spavento quando sento il bollitore fischiare sonoramente.
Metto dell'acqua calda in due tazze ed immergo le foglie di tea, lasciandole in infusione qualche minuto. Nel frattempo vedo Aaron indaffarato con un foglio ed una penna stilografica.
«Che fai?» chiedo, avvicinandomi per porgergli la tazza.
«Sul serio?!» chiede sorpreso guardando eloquentemente le due tazze. «Hai anche la tazza con il mio personaggio stampato sopra?»
«Come puoi ben vedere ce l'ho anche di Scarlett Witch, e nella dispensa le ho di tutti gli Avenger, ora la smetti di vittimizzarmi?!» chiedo, guardandolo male.
«Gesù, non ci credo: una mia fan sfegatata.» borbotta, bevendo dalla sua tazza.

Lo so, faccio alquanto schifo perché ho due storie in corso che non sto più aggiornando, ma capitemi: se io non avessi pubblicato questa storia Mitchiesgap non avrebbe pubblicato la sua, quindi insomma, dovevo.
Spero che a qualcuna di voi piaccia, anche se è la solita storia senza pretese.
Vi mando un bacio, Wen.

Ah, non fate i monelli e leggete la storia di Mitchie! 🌚

Drunk In Love || Aaron Johnson  [SOSPESA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora