Drawings||Jean Kirschtein x Reader

2.4K 138 33
                                    

N.A. Ecco un'altra storiella che ho totalmente rivisitato ma senza allontanarmi dall'idea originale. Ah Jesoò non ce la faccio con me stessa, perché scrivevo se non sapevo scrivere?
VABBÈ BASTA COMPLESSI D'INFERIORITÀ CHE MO NON CI SERVONO

Dopo la caduta del Wall Maria, vivere a Trost, o nelle terre del Wall Rose, era diventato un inferno, tutti, che fossero bisognosi o meno, erano pronti addirittura a uccidere, a tradire, per assicurarsi qualcosa da mettere sotto i denti, perciò, per tutelare la sopravvivenza del genere umano, vennero mandati più di centomila uomini al massacro fuori dalle mura.

Tutto sembrò calmarsi, almeno per un po', l'umanità poteva ancora sopravvivere.

Furono pochi a rientrare in città e tra questi c'era una ragazza, si chiamava (T/N). Lei non era forte fisicamente e, come tutti gli uomini mandati al massacro, non aveva esperienza in combattimento, nemmeno sapeva organizzare una strategia. Non era che una pedina in un gioco di merda.

Dopo essere tornata miracolosamente viva dalla spedizione non fu più la stessa. Teneva costantemente la porta della sua camera chiusa e restava tutto il giorno, a volte anche la notte, a guardare fuori dalla finestra malandata. Osservava meticolosamente la vita procedere sotto di lei, la vita che, purtroppo, non avrebbe potuto più riavere. Durante la spedizione, le sue gambe vennero mangiate da un gigante, riuscirono a portarla in salvo, fermarono l'emorragia per miracolo. Nessuno, nemmeno lei, si spiegava come potesse essere ancora viva.

Non sorrideva più e piangeva, ogni morte, le sue gambe. Perché non l'avevano lasciata morire? Cosa aveva fatto di male per rimanere ancora in vita?

Un giorno, mentre guardava quella stradina poco affollata sotto casa sua, un ragazzo si sedette ai margini della strada con la schiena poggiata al muro della casa di fronte, si chiamava Jean.

Jean era originario di Trost e viveva con i suoi genitori, non era che un ragazzino, aveva portato con sé una tavola di legno, dei fogli, una matita e una gomma da cancellare, (T/N) lo guardava curiosa mentre lui si preparava per disegnare. Quella mattina, Jean, dopo una discussione con sua madre -l'ennesima-, era andato alla ricerca di un luogo tranquillo dove poter disegnare, la stradina vicino la casa di (T/N) era ottima, non passava quasi nessuno di lì.

Lei, dalla sua finestra, seguiva meticolosamente ogni suo movimento, non l'aveva mai visto prima, (T/N) veniva dal Wall Maria ed aveva un tetto sulla testa solo perché dei parenti vivevano nel Wall Rose, sotto questo aspetto, era stata molto fortunata. Jean alzò il capo e guardò il cielo azzurro, il sole era così caldo che lo faceva sudare, ma nel vicoletto passava un venticello piacevole che lo rifrescava. Abbassando lo sguardo, incontrò gli occhi di (T/N), nessuno dei due osò distoglierli l'uno dall'altra, fino a quando Jean non iniziò a parlare
«Non credo di conoscerti»
Esordì con nonchalance
«Infatti, non ci conosciamo»
Rispose a tono (T/N)
«Vieni dal Wall Maria, dico bene?»
«Sì»
«Perché mi stai guardando?»
Domandò Jean, (T/N) si strinse nelle spalle
«Perché ho gli occhi»
L'altro sorrise sghembo
«Be', non è male essere guardato da bellissimi occhi come i tuoi»
Lei lo guardava con un'espressione sbigottita prima di lasciarsi scappare una risata, che fosse un complimento o una presa in giro, l'aveva messa di buon umore.

I loro incontri continuarono da quella mattina, Jean portava sempre con sé il materiale da disegno e sedeva sulla strada mentre lui scarabocchiava qualcosa, parlavano della loro vita confrontando idee e punti di vista, (T/N) quasi si dimenticò dei fantasmi delle sue gambe, inoltre, sorrideva di più e persino i suoi parenti lo notarono, solo Dio sapeva quanto gli faceva bene vederla più serena.

Un giorno, però, Jean non arrivò sotto casa sua, lei lo attese invano per ore sperando che dall'angolo comparisse la sua figura snella, ma nulla, di lì, se non qualche bambino, non passò nessuno.
 
I suoi pensieri furono interrotti dallo bussare alla porta in legno
«Cosa?»
Urlò la ragazza per farsi sentire dall'altro lato della porta
«(T/N), tesoro, c'è un ragazzo che vuole vederti, deve darti una cosa»
Senza aspettare il permesso della ragazza, Jean entrò nella stanza, lasciandola spaesata
«Ciao»
Sorrise timidamente Jean, un lieve rossore colorava le sue goti, lei ricambiò il saluto e lo invitò a sedersi sul letto mentre lei sedeva sulla sedia di fronte alla finestra.

Jean aveva in mano una cartella su cui picchiettava nervosamente i polpastrelli, la zia di (T/N) era uscita dalla stanza per lasciare ai due un po'di privacy. Dopo un breve silenzio, il giovane porse la cartella alla sua amica
«Questi sono per te»
Esordì con la voce tremante, lei lo guardò interrogativa ed esitò a prendere la cartella, quando l'aprì, non si aspettava che al suo interno ci fossero dei disegni che la raffigurassero, tremava.

I capelli erano i suoi, gli occhi erano o suoi, il viso era il suo, il naso; in alcuni sorrideva, in altri sembrava una divinità e, senza nemmeno rendersene conto, iniziò a piangere
«Perché piangi?»
Domandò preoccupato Jean, lei sorrise
«Sono... fantastici»
Ammise commossa, asciugandosi qualche lacrima prima che cadessero sulla carta e rovinassero la carta
«Nessuno aveva mai fatto qualcosa di tanto carino per me»
Jean si fece scappare un sorriso sincero, poi i suoi occhi caddero sulle gambe di (T/N), allora il suo volto assunse un'espressione indecifrabile
«Fa male?»
Il ragazzo fece cenno con la testa agli arti mancanti, la giovane non ci mise molto a capire e mostrò un sorriso compiaciuto
«No, non fa male»
Lui si limitò ad annuire.

(T/N) ripose i disegni nella cartella che teneva poggiata sulle sue cosce, guardava Jean con dolcezza
«Grazie»
Mormorò la giovane, lui scosse il capo
«Non devi»
«Sì, invece»
Insistette
«Mi hai ricordato cosa significasse essere felice, ti ringrazio»
Jean sorrise imbarazzato abbassando lo sguardo sulla punta delle sue scarpe
«Abbracciami»
Esordì (T/N) lasciando il povero ragazzo spiazzato, quando lui alzò la testa, lei protendeva le braccia verso di lui
«Posso davvero?»
Chiese incerto
«Sì».

Titubante, Jean lasciò la comodità del letto e raggiunse la sua amica, la avvolse nelle sue braccia con cautela, aveva paura di rompere un'altra parte del suo corpo e non aveva intenzione di farla soffrire più di quanto facesse già.

Rimasero abbracciati per un tempo indeterminato, inalando i loro profumi e perdendosi in quell'abbraccio che, se fosse stata una musica, sarebbe stata una melodiosa sinfonia.

||Amore & Psiche|| AOT (Reader Insert) [One-shots]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora