Capitolo 3: Run fast for your life

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Un tonfo sordo, il cozzare del metallo, lo stridere delle ruote sull'asfalto. Lo schianto fu tremendo, Aubrey sbandò e perse conoscenza. Quando sfarfallò le ciglia alcuni minuti dopo, percepì un cerchio alla testa stringerle con poca cura le tempie. La ragazza portò la mano destra allo zigomo, nel tentativo di asciugare un rivolo di sangue che cadeva impertinente dall'attaccatura dei capelli. Nell'urto doveva aver battuto la fronte contro lo sterzo, ma urto con cosa?

Cazzo! La macchina! Aubrey si precipitò fuori dall'auto per constatare i danni. Il cofano era decisamente messo male, come se avesse preso un alce. Aubrey si tirò indietro i capelli.

-Porco... - quell'imprecazione così poco femminile venne bruscamente interrotta mentre, scalciando una pietra in direzione della strada, Aubrey notò il corpo riverso tra i cespugli. -Cazzo!- ripeté, sta volta ad alta voce. Non poteva essere, no decisamente, ci doveva essere un errore. La ragazza mosse dei passi veloci verso la sagoma dell'uomo, concentrandosi sui guanti potenziati che sporgevano dalle sue braccia. I capelli scuri di lui, così lunghi, lisci e lucidi, corrispondevano alla descrizione che gli era stata fornita.

Ho ucciso il clone che dovevo portare a mio padre. Quel pensiero si fece strada nel suo cervello, insinuandosi tra le pieghe dei sensi di colpa. Tutto sarebbe andato a puttane, venticinque anni di lavoro nel cesso. Ruben non l'avrebbe perdonata. Mai.

Qualcosa dentro Aubrey la riscosse. Magari aveva ancora la possibilità di salvarlo e se solo esisteva la minima probabilità, doveva tentare. S'inginocchiò nella terra polverosa, incurante del trench nuovo, ormai ridotto a uno straccio pieno di sangue. Con delicatezza portò l'uomo in posizione supina e lo ispezionò con attezione.

Era decisamente ridotto male: Aubrey poté scorgere un braccio e una gamba fratturati e anche le costole non sembravano a posto. Il suo cervello passò in rassegna le possibilità per cavarsi da quella situazione. Lasciarlo lì e mentire? Ruben non le avrebbe creduto. Portarlo in ospedale? Impossibile, avrebbero chiesto le sue generalità e sarebbe finita in gattabuia all'istante. No, l'unica cosa che poteva fare era portarlo da Ruben. Sarebbe stato meglio di nulla.

Aubrey scattò in piedi, corse verso la sua bambina ancora incastrata tra i cespugli. Girò la chiave nel quadro sperando che partisse. Il motore diede due rantoli nient'affatto rassicuranti.

-E muoviti!- al terzo tentativo la Citroen ruggì il suo canto di guerra. Il sistema idraulico sollevò l'auto, Aubrey inserì la retro e schizzò verso l'uomo. Con fatica la ragazza lo sollevò da sotto le ascelle.

È pesantissimo, dev'essere colpa dei guanti. Devo toglierglieli. Aubrey guardò atterrita i pugni ronzanti. Sapeva che c'era un dispositivo per poterli togliere in tutta sicurezza. Il governo aveva dotato i cloni di quel gadget tecnologico come test, arrivavano le prime suite da guerra e quale migliore prova della loro efficacia di un vigilante? Un'espressione disgustata si dipinse sul volto della ragazza, poi le sue sopracciglia si arricciarono. Cosa le aveva detto Ruben? "Se si forza la rimozione dei guanti, viene rilasciato un liquido volatile, che a contatto con l'aria ha lo stesso effetto del gas nervino, ma dieci volte più rapido e potente", queste erano state le sue parole. Non aveva spiegato come procedere a togliere i guanti però.

Aubrey osservò la superficie articolata. Non c'era indizio di come fare. L'uomo mandò un rantolo e solo allora Aubrey lo guardò realmente in faccia. Aveva il naso lungo e aquilino, un viso triangolare e le orecchie piuttosto grandi.

No, per nulla sexy, ma nemmeno noioso. Cazzo Aubrey, concentrati o questo povero stronzo ci lascia le penne! Se non altro il clone era ancora vivo, ma se avesse avuto un polmone perforato, come lei sospettava, aveva poco tempo. I suoi occhi tornarono sui guanti, scivolando sul corpo magro e affusolato del clone. Poi Aubrey la notò. C'era una piccola vite, all'altezza del dorso della mano.

Aubrey posò i polpastrelli sulla superficie scanalata dei guanti. Inspirò con calma, come se posasse ogni grammo d'aria nei suoi polmoni di sua volontà.

Iniziò a svitare la vite di sinistra, prima con lentezza, poi fremendo d'ansia. La vite venne via e Aubrey poté facilmente aprire il guanto e sfilarlo dalla mano del clone. Aveva mani bianche e dita sottili, da pianista.

Aubrey liberò anche l'altra mano, quindi caricò l'uomo sul sedile posteriore. Poi tornò a osservare i guanti nella polvere.

E ora che ci faccio con questi? Non posso lasciarli qui...

Aubrey prese il primo guanto e, approfittando dell'aridità sabbiosa del terreno, lo fece scivolare fino allo sportello del passeggero. Digrignò i denti, mentre tirava su il pesantissimo oggetto, per poi ripetere la stessa operazione con l'altro guanto. Chiuse gli sportelli con troppa veemenza, saldandoli quasi con la carrozzeria. Diede gas, mentre sgommando e sollevando una nuvola di terra, si dirigeva verso casa.

Spazio autrice:

ciao ragazzi! Oggi non riuscivo a dormire, quindi mi sono detta perché non provare a scrivere? Ditemi che ne pensate! :* 

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