Capitolo 4: shooting gallery

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L'auto entrò sbandando nel vialetto dell'abitazione. Aubrey centrò con precisione millimetrica il piccolo garage. Tirò il freno a mano con forza e si catapultò fuori. Aprì la porta che metteva in comunicazione la stanza con la cucina, tornò all'auto e prese il clone tra le sue braccia. Lo trascinò in casa col respiro spezzato.

Un rivolo di sangue insozzava quel viso affilato.

Aubrey scese le scale che portavano al seminterrato.

-Ruben!- chiamò – Ruben prepara il tavolo operatorio!- ripeté, perentoria. Percepì un tramestio alle sue spalle, l'uomo doveva essersi alzato dalla sua postazione di lavoro.

-Che cazzo hai combinato?- le urlò addosso con tutto il veleno di cui era disposto.

-L'ho preso con la macchina, non è evidente?- abbaiò lei.

-Sei un'incapace! Una cosa sola dovevi fare: prelevarlo. Hai voluto strafare, Aubrey, non è vero? "Colpiamo il paparino con qualcosa che lo farà incazzare come una bestia!"-

-Non è stato intenzionale, mi è sbucato davanti all'auto- sussurrò lei. Per la prima volta nella vita Aubrey era mortificata, annientata dal senso di colpa. Aiutò il padre a disporre il ragazzo sul tavolo, quindi lo lasciò fare, pronta a porgergli gli strumenti di cui aveva bisogno.

La propria piccolezza la schiacciò: non capiva molto di medicina, era buona a ricucire alla meglio tagli più o meno profondi, ad estrarre pallottole, ma in una situazione in cui il danno non era palese poteva fare ben poco. Si disse che quel dannato tuttologo almeno era buono a qualcosa in queste situazioni. Stronzo.

Aubrey osservò il proprio padre scansionare il corpo dell'uomo con uno strumento simile ad una lampada a ultravioletti. Ruben spostò lo sguardo su di un monitor.

-Gli hai perforato un polmone, rotto un femore e procurato un trauma cranico- affermò, quasi con gusto, per poi indossare un camice e avvicinare un carrellino con vari strumenti.

-Cosa farai?- chiese lei, esitante.

-Lo opererò alla vecchia maniera e lo incuberò fino a quando non sarà guarito- disse lui armeggiando con il bisturi. –Poi starà a te convincerlo- aggiunse con un ghigno soddisfatto.

Aubrey chinò il capo ed uscì.

***

Tirò una lunga boccata dalla sigaretta. Gli occhi rivolti al cielo che si andava rannuvolando, i capelli mossi dal vento. Aveva dovuto lottare per accenderla. Ora quella speranza si andava affievolendo. Stava sparendo di nuovo agli occhi di Ruben, era di nuovo un'inetta.

Aubrey si portò i capelli dietro l'orecchio. Quell'attesa interminabile le sarebbe costata cara e avrebbe di certo reso ancora più amaro il rapporto col padre.

Convincere il clone. Ora aveva una missione da compiere.

Aubrey sorrise a quel pensiero. Sapeva che sarebbe stato come restar sola sulla collina dello scontro, contro il mostro che aveva abbattuto tutti gli altri. Come si chiamava quel racconto? Non poteva ricordarlo di preciso. Sapeva solo che la protagonista era una tipa a posto, senza nessun super potere, ma che faceva la sua parte in quel grande macchinario.

Le era piaciuta quella storia, anche se non amava i fantasy. L'aveva sentita un po' come una metafora della sua vita: sempre qualche mostro da combattere, sempre a lottare col proprio riflesso e con le proprie debolezze.

Beh, doveva pur ammettere di averle cavalcate quelle debolezze. Sì, forse non era mai stata dal lato buono della barricata, ma di certo era da quello giusto.

Schiacciò il mozzicone col tacco dello stivaletto e si torturò le mani. Aubrey sbuffò e pensò che forse sarebbe stato meglio distrarsi. Si portò istintivamente la mano al fianco, laddove sotto al giaccone di pelle teneva la pistola.

Sorrise tra sé. Ruben non aveva mai approvato quella sua passione per le armi, ma Aubrey aveva sempre avuto un'amore viscerale per tutte le cose che esplodono. Come me, si disse soddisfatta.

A soli sedici anni aveva allestito un piccolo tiro al segno nel boschetto dietro casa. Con le sue stesse mani aveva preparato i congegni che facevano scattare i bersagli. Anche solo il cadere di una foglia nel punto giusto avrebbe azionato il meccanismo, consentendole di allenare tutti i sensi.

La ragazza si infilò tra gli sterpi. Doveva ammettere che quel boschetto era alquanto tetro. Gli alberi parevano scheletri appesi alla gogna, il sibilo del vento un lamento. Tutto, nell'outerland, era stato ridotto all'ombra di quello che era. Il regime aveva pompato le sue industrie senza alcun ritegno, passando sopra ad ogni convenzione internazionale, pur di poter pagare i progetti militari. E d'altro canto i soldi erano arrivati, assieme alle nuvole nere e male odoranti.

Uno scatto dietro al suo orecchio sinistro la fece sussultare. Aubrey si morse un labbro, mentre prendeva la mira e sparava.

Spazio autrice:

scusate l'assenza prolungata ragazzi ma mi sono appena trasferita e sto ancora cercando di ambientarmi. In più il 22 ho un colloquio per il quale mi sto facendo sotto XD Nel frattempo per farmi perdonare vi ho lasciato una piccola chicca in questo capitolo! A (spero) presto,

Wendy


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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 11, 2016 ⏰

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