Capitolo 4

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Dylan

Paul dice che Reading è una bella cittá in cui vivere, diversa dalla realtá a cui ero abituato, un buon posto in cui ricominciare e scegliere chi voglio essere davvero. Non so ancora quanto possa essere vero ma sono fiducioso, fiducioso di recuperare anni e anni della mia adolescenza in cui non ho potuto capire cosa significa guadagnarsele, le cose. Mio padre è un uomo cosí ricco e pieno di principi che è difficile da capire. Lo rispetto, ma per tutti questi anni ho dovuto poggiare i piedi solo sulle impronte che aveva lasciato, per questo voglio ripartire da solo.
Mi sono trasferito qui da mio zio appena dopo il diploma in Italia. Tutto ció di cui son certo è che voglio costruirmi il mio futuro mattone dopo mattone, usando ció da cui ho tratto degli insegnamenti, e non un libretto d'istruzioni da seguire alla lettera. Voglio avere la mia cultura, voglio sapere tante cose e poter colmare i vuoti che mi inondano la mente. Mi sono iscritto all'università di oxford. Inizieró il prossimo semestre e nel frattempo ho trovato lavoro in un pub a poca distanza da casa. Voglio fare un po' di soldi per comprare un appartamento mio. Ho anche messo in vendita su un sito internet alcune copie di miei vecchi appunti di storia e filosofia, non so quanto possa servire, è stata un'idea di Paul. Sono sempre stato bravo a scuola, per come la vedo è l'unica possibilità che ho per continuare da solo, la mia cultura, le mie informazioni, le mie idee, loro formano il ragazzo che sono ora, queste piccole cose accumulate negl'anni mi hanno fatto aprire gli occhi e voglio continuare ad accumularle. Il fatto é che non studio per una laurea, non ho bisogno di un certificato che mi confermi di essere laureato, perchè anche dopo quello, io continueró a cercare qualcosa, sempre.

Sono le sei del pomeriggio, devo andare all' O'Neill's , decine di persone a momenti faranno  a botte per impadronirsi dei tavoli e di litri di birra; del resto dopo una lunga giornata di lavoro...
Mi infilo una canotta nera e una felpa grigia dalle scritte sfilacciate. Non amo mettere in mostra il mio corpo, o meglio.. Ció che sta sopra il mio corpo. Ho un po' di tatuaggi.
Potrà sembrare strano che un ragazzo con il mio aspetto, tipico di chi viene ripudiato dalla societá, possa avere interesse per l'istruzione. Io non mi sono "marchiato" per moda, per bellezza o per protesta, l'ho fatto per ricordarmi chi sono e cosa voglio. Non é una frase fatta, non é una scusa o qualcosa del genere, perchè sono di certo a conoscenza dell'esistenza dei diari, o di altri aggeggi per ricordarsi le cose. È un bisogno che ho come tutti hanno bisogno di mangiare. É una sicurezza, una delle mie poche: tatuare ció che decido di portare con me per tutta la vita, il fatto di essere indelebile.

Concludo con un paio di jeans neri e delle vans. Appena metto piede fuori casa mi accorgo delle nuvole nere che si diramano per l'intera cittá. Pioverà a momenti, e anticipando il tempo, mi alzo il cappuccio sui capelli. Mi piace la pioggia, piú di quanto possa sembrare. In effetti non do mai l'idea di essere un ragazzo con gusti strani, sono semplicemente Dylan per la maggior parte della gente. Nulla di speciale, nessun merito da attribuirmi, nessuna grande impresa, niente che mi renda diverso.
Da una parte mi va bene ma dall'altra è come se la mia persona sia già stata costruita e non abbia altre possibilità se non essere "il figlio di Clyde Edwards". Altro motivo per cui mi sono trasferito.
Centinaia di gocce iniziano a scagliarmisi contro con furia e mentre la mia giacca si ostina a proteggermi da quei piccoli brillantinii che riempiono il cielo, io metto in ripetizione alcune canzoni dei linkin park.
Riesco a vedere il bar da lontano. I vetri appena lavati vengono rigati dalla pioggia e dentro di me si inalza un sentimento di afflizione considerando che li avevo lucidati il giorno prima.
Sono dall'altra parte della strada e mettendo a fuoco le persone della sala da bar intravedo Emily, il mio capo, servire birra nera in grandi coppe a un tavolo appartato ma da cui, considerano gli ampi gesti e la "bear foam" sparsa qua e la, sembra provenire una grande cagnara, schiamazzi e versi di ogni genere. Emily mi vede e mi fa segno di entrare (subito) con uno sguardo di rimprovero. La raggiungo al bancone e mi accoglie con dolci parole: "Che aspettavi a entrare, un invito? Lavori qui da una settimana, hai la sfortuna ch'io non mi sia ancora affezionata a te e posso cacciarti quando voglio. Un altro ritardo del genere e per mettere piede qui dentro ti servirá davvero una prenotazione".  "Scusa Emily, ora servo io" mi limito a rispondere mentre lancio la giacca sull'appendi abiti.

Emily ha almeno quindici anni più di me, ma ne dimostra un po' di piú. Lavorare in questo bar l'ha consumata, o meglio, lo stare a contatto con i nostri clienti. Quando cala il sole almeno la metà dei presenti diventano sbronzi e piú di una volta la ragazza ha rischiato di cacciarsi in brutti guai nel servire certi tavoli. Vedere ogni sera uomini spanciarsi dalle risate per poi finire a vomitare nei nostri bagni, non è un toccasana. Per un po' di tempo ha avuto un cliente con brutte intenzioni nei suoi confronti. Quando Emily una sera scese in magazzino se lo ritrovó davanti sul punto di rimettere e lo vide abbassarsi i pantaloni con un sorriso abominevole. La polizia lo arrestó qualche giorno dopo, in effetti, aveva dei precedenti. Da quando sono arrivato io le acque si sono molto calmate. Detesto dirlo, ma qui dentro c'era proprio bisogno di una figura maschile. Gli uomini ubriachi (di lavoro e di alcool) diventano troppo approfittatori di donne come Emily, la quale non farebbe male ad una mosca.
Al contrario di come mi vuole far credere, non è affatto cattiva, anzi ha un cuore buono. Mi vede  un po' come un figlio o un fratellino da proteggere, a modo suo. Lo so perché mi chiede sempre come sto, come mi trovo nella nuova città, se ho conosciuto qualcuno finalmente o se arrivano novitá da Oxford. E alla fine è bello avere qualcuno che si preoccupi per me, che voglia assicurarsi che vada tutto bene, con cui non devo fingere perché non mi  deve e non le devo niente. Con lei posso parlare per il semplice gusto di sfogarmi.

La porta si apre e un gruppo di 5 ragazzi si fa strada verso di me. A naso, non penso debbano solo ordinare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 09, 2016 ⏰

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