1 -Il guardiano dei pesci-

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Salve Irenegobbi e Rebecka_Serafyni , ecco che cos'ho combinato pensando a questa immagine! Le parole sono 1344 e

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Salve Irenegobbi e
Rebecka_Serafyni , ecco che cos'ho combinato pensando a questa immagine! Le parole sono 1344 e... boh, adesso vedo pesci ovunque.

-Ecco perché amo la mia patria!- biascicò qualcuno, entrando nella locanda Antilles con la calma di un uragano. La Antilles era sia il luogo più schifato dalla nobiltà parigina ottocentesca, che il luogo più gettonato da quella gamma di persone anche definibile volgo. Si andava all'Antilles per giocare a carte, per conversare con amabili e ridanciane signorine, per cospirare contro nobili grassoni oppure, semplicemente, per ubriacarsi in santa pace, da soli nel proprio angolino felice e sporco, con i gomiti sporchi su tavoli sporchi, ad osservare in modo decisamente sporco il viavai delle esuberanti donzelle.

Tutti questi uomini - e donne - di ogni categoria citata avevano riconosciuto quella voce maschile che urlava di amare la propria patria e quindi avevano prontamente interrotto ciò che stavano facendo, fissando con un misto di paura, curiosità ed ammirazione il ragazzo dai capelli scuri e ribelli accasciato sullo stipite della porta. Sembrava quasi che volesse rimanere lì, con la sua bottiglia di vino in mano, a delirare finché non si fosse stancato o non fosse svenuto.
Invece si mosse. Si mosse per raggiungere il bancone, sbattere la bottiglia su di esso e sbottare: -Ma chi l'ha fatto fare, alle madri, di concepire simile gente?

Una ragazza a qualche metro da lui, dall'altra parte del bancone, decise di rompere la calma: si lisciò la lunga gonna marrone con le mani, raddrizzò la schiena e gli si parò di fronte, il giovane volto piegato in un'espressione austera. -Mio padre, il signor Renard, vi aveva bandito.

Il ragazzo guardò da sotto le lunghe ciglia quel viso dalla pelle liscia e pallida, le guance spruzzate di lentiggini, i capelli rossi e ricci stretti in una treccia e gli occhi scuri e seriosi, dopodiché, ghignando, replicò: -Mi pare giusto.

-Benissimo.- La ragazza annuì, alzando un sopracciglio in maniera interrogativa. -E dunque, cosa state aspettando?

Tutti stavano osservando la scena, infatti nella locanda non volava una mosca. Yves Lemoine - poeta scapestrato, aizzatore di folle ed incosciente dongiovanni - contro Marie Renard, la responsabile e seria primogenita del signor Renard, il vecchio e stanco proprietario dell'Antilles. Nulla accomunava questi due individui, così tanto diametralmente opposti.

-Aspetto che questa primavera raggiunga l'apice della propria bellezza e che poi lasci il posto alla torrida sorella estate, la quale fa puzzare ancora più di morte i letamai che chiamiamo amorevolmente strade.- Il sorriso di Yves si accentuò mentre posava il mento sul dorso della mano e osservava con i brillanti occhi verdi il volto teso di Marie. -Aspetto... che la mia vita si svuoti di quell'effimero senso di potenza e di... di invincibilità che caratterizza le giovani esistenze, per poi diventare un vecchio, inutile, invisibile bacucco ubriacone che urla le proprie eroiche gesta a passanti dagli occhi vitrei, occhi puntati verso quel niente che chiamiamo futuro. Amo la Francia, Marie, ma odio cosa diverrà. Dio salvi i bordelli. Ah, e comunque starei anche aspettando la mia birra! Per cui, gentilmente...- Yves fece un eloquente gesto con il braccio, indicando il barile di birra posto contro la parete.

Marie corrugò la fronte, incrociò le braccia e sbottò: -Sparite, poeta da strapazzo.

-Marie, sto ancora attendendo il momento in cui mi dimostrerete che siete misericordiosa quanto la donna a cui avete rubato il nome.

-Attendete e sperate, allora...

-Siete meravigliosa e perfida, come Parigi.

-E voi siete tremendo ed irritante, come un mal di denti.- replicò prontamente Marie, che sbattè le mani sul bancone, si chinò sul ragazzo e sibilò: -E ora sparite.

I due ragazzi si fissarono per un lungo minuto, immobili e senza fiatare. Tutti credevano che Yves se ne sarebbe finalmente andato, lasciandoli nuovamente liberi di tornare alle loro faccende.
E invece...

-Sapete, ho fatto un sogno, di recente.- riprese allegramente il ragazzo, mentre Marie si staccava dal balcone ed alzava gli occhi al cielo, chiedendo disperatamente venia. -Insomma, o era un sogno oppure una favola che la mia mente ha riesumato affidandosi totalmente al caso.- Yves guardò il vuoto per un istante, meditabondo, dopodiché, scuotendo la testa, mormorò: -Che curiosa bizzarrìa...

-Non mi interessa!- esclamò Marie, rossa dalla rabbia.

-D'accordo, allora ve la racconto a mo' di favola!
Tanto tempo fa, un gentiluomo di nome Georges faceva il guardiano dei pesci. Non confondiamolo con la professione del pescatore, perché era tutt'altro lavoro, il custodire i pesci.
Un giorno Georges, intento a fissare annoiato i suoi amati amici dotati di pinne nella tinozza apposita, si ritrovò d'un tratto nell'acqua. In barba a tutte le leggi fisiche, l'uomo panciuto respirava come soleva normalmente fare, così, superata la sorpresa, cominciò a nuotare a cagnolino in quel mare che pareva infinito.
Un grosso pesce, dal muso piegato in una perenne smorfia insoddisfatta, notò Georges nuotare in quel modo ridicolo e sbottò, offeso nel profondo: -Per quale motivo ti sposti con codesti movimenti canini? Forza, bipede: sali in groppa e andiamo a salvare la tua principessa!
-Quale principessa?
-Quella che devi aiutare!
-Ma... Perché io?
-Solo tu puoi, io... non ho le mani...- disse il pesce agitando tristemente le pinne.
Una volta salito in groppa al pesce, Georges sospirò sognante: -Chissà com'è bella, la principessa!
-Bah.- sbottò l'animale.
-... Ella non è di tuo gradimento?
-Cerco solo qualcuno come me, sai... con una coda, scaglie lucenti e una propensione alla riproduzione.
-Capisco, amico...
-Non troverò mai un pesce con queste qualità!- e cominciò a singhiozzare, quasi disarcionando il passeggero. -Dovrò fare da padre ai gamberetti orfani e non avrò mai figli miei! E allora a che servo io, in questo mondo? I calamari sono più affascinanti di me, insomma, mi hai visto?- Le lacrime del pesce, che diventavano bolle, andavano a finire dritte in faccia a Georges, costretto a mulinare le braccia per allontanarle da sé. Fortunatamente, la corrente marina fu clemente con l'uomo e trasportò fino ai due un lungo e sottile ramo, con il quale spostare le bolle del triste animale. -Mi dispiace, amico!- urlava mentre faceva saettare il ramo a destra e a manca, il viso tondo arrossato dallo sforzo e la lingua fuori dalla bocca per la concentrazione. Non poteva ordinare al pesce di smettere, aveva paura che l'animale si sarebbe offeso e l'avrebbe mollato lì, come una solitaria e succosa esca per pescecani.
-... E non avrò nessuno che a fine giornata mi massaggerà i piedi...
-Ma tu non hai i piedi...
-No, infatti!- strillò il pesce, in lacrime, -Un altro motivo per il quale morirò solo!
-Mi dispiace...
-E poi nessuno mi chiamerà "padre". Non vedrò... non vedrò mai uno dei miei figli mentre viene mangiato da un qualche orrendo pescecane...
-Questo mi sembra positivo!
-Non proverò mai i dolori di un padre!- si lagnò ancora più forte. Georges imprecò, reggendosi all'animale con tutta la forza che aveva.
-Heilààà... heilààà...- una signora con un cestino in fiamme dimenava le braccia, saltellando sul fondale sabbioso per attirare l'attenzione del pesce.
-Oh, guarda... la principessa...- mormorò l'animale in tono mogio, dopodiché nuotò verso il fondale.
-Ho portato il cestino!- esultò la donna, scuotendo il cestino pieno di fiamme e fumo come se fosse un trofeo.
-Bene... e io ho portato qualcuno con le mani.- replicò il pesce, abbassando tristemente lo sguardo.
-Meraviglioso, finalmente riuscirò a salire sul tuo dorso senza precipitare dalla parte opposta!
Georges allora comprese il significato della sua vitale missione ed aiutò audacemente la principessa, dopodiché legò al ramo il cestino infuocato e ripresero felicemente a navigare. Beh, "felicemente"... il pesce era ancora depresso, ahimè.
Ad un tratto, la principessa lanciò uno strillo disumano e Georges si svegliò di soprassalto, capendo che aveva sognato tutto il tempo e che sua moglie gli stava sbraitando addosso.
Fine.- Yves sospirò tristemente, scuotendo speranzoso la bottiglia di vino al suo fianco. Sapeva che era vuota, ma avere un po' di fede non gli costava nulla.

Un calice colmo di birra scivolò sul bancone, per poi fermarsi a qualche centimetro dal suo braccio. Il ragazzo, incredulo, guardò l'oggetto ed infine il mittente. -A cosa lo devo?

Marie strinse le labbra, cominciando a pulire il bancone con uno straccio. -Ho trovato di mio gradimento la storia.- sbottò. -Ora bevete e poi scomparite. Rapido.

~Contest~ Crociata D'InchiostroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora