Una pessima idea. Sì, era stata decisamente una pessima idea andare al lago per quel fine settimana. Bisognava certo sottolineare però che ovviamente non era stata una sua idea: lui non aveva mai pessime idee; semmai la sua unica colpa era stata quella di aver acconsentito a quell'idiozia. Eppure non gli era parsa tanto male quella proposta di andare in vacanza per qualche giorno. L'aria del lago di sicuro avrebbe potuto fargli bene ed inoltre non si era nemmeno troppo allontanato dalla sua dimora cosicché, in caso di necessità, avrebbe potuto fare un rapido rientro. Era un posto incantevole a dire il vero: circondato da boschi freschi e odorosi, il lago cristallino era specchio delle basse montagne attorno e godeva di una bella spiaggia sassosa collegata direttamente al piccolo villaggio annidato tra le colline. Certamente un luogo in cui rilassarsi al sole... Se non fosse stato per quel diluvio che non accennava a fermarsi e che infradiciava ogni centimetro dell'intera zona.
Ciel guardò di nuovo fuori dalla finestra, sconsolato. Più che una vacanza, quei giorni stavano diventando una dura prova per i suoi nervi: non sopportava di essere lontano da casa sua e dalla sua routine e soprattutto odiava il fatto di non poter fare ritorno fino a che quel dannato tempaccio non si fosse assestato e la stradina sterrata in mezzo al bosco non fosse stata di nuovo agibile. Era bloccato lì in pratica! Bloccato lì senza poter nemmeno svagarsi con degli scacchi o dei libri di suo gusto perché in quel posto sperduto dimenticato da Dio, a quanto pareva, non c'era una dannatissima scacchiera in tutto il villaggio e gli unici libri presenti erano di una noia tale che avrebbe persino preferito andare a farsi una nuotata sotto la pioggia al posto di sfogliarli. E dire che quel posto faceva pure parte della sua contea... Avrebbe donato a quel paesino quantomeno una biblioteca decente una volta tornato.
Il piccolo albergo dove lui e il suo maggiordomo dimoravano aveva messo loro a disposizione uno degli appartamenti più ampi, in modo che servo e padrone potessero essere vicini anche nel sonno, che vantava una vista invidiabile sul paesaggio e sul lago grazie all'ariosa portafinestra che dava sul raffinato balcone. Di certo però al momento occorreva a poco vedere per l'ennesima giornata di fila la pioggia abbattersi incessante sui vetri che producevano quell'irritante ticchettio al tocco delle gocce fredde. E pensare che era quasi estate! Una sola giornata di sole sarebbe stata davvero troppo da chiedere? Non tanto perché gli piacesse, ma solo per poter uscire per una passeggiata ed evitare le cupe riflessioni che spaziavano dai servi a casa ai suoi possibili assassini.
Fu solo quando piegò la quindicesima barchetta con la carta intonsa dello scrittoio che si convinse di non poter resistere un minuto di più in quel modo e sbuffò buttando la testa sulla scrivania.
-Sebastian...- esalò, ben sapendo che il maggiordomo era in piedi a pochi passi da lui e che lo osservava da più di due ore accartocciare fogli -Trovami qualcosa da fare.-
Il servo si permise di avvicinarsi di più al padrone e di chinarsi sulla sua sedia per arrivare a guardarlo negli occhi.
-Noioso, nevvero?- mormorò prendendo una barchetta dal tavolo e allargandola alla base per ricavarne un cappellino e posarglielo in capo.
Ciel sbuffò e se lo scrollò di dosso -Non sono in vena. Voglio qualcosa da fare. È colpa tua se sono qui, sei stato tu ad insistere perché mi prendessi una vacanza!-
-Con tutto il rispetto signorino, era piuttosto frustrato a casa. Le avrebbe fatto bene uno stacco a mio parere.- si giustificò Sebastian, per nulla turbato da quelle accuse.
Il giovane sbuffò sonoramente una seconda volta; lui non era frustrato dal lavoro! Eppure dovette riconoscere che non appena si era trovato nella carrozza per lasciare la villa si era abbandonato ad un lungo sospiro di sollievo. Era davvero stancante stare dietro ad ogni cosa e, nonostante Sebastian si occupasse di buona parte delle faccende, la parola definitiva toccava sempre a lui; non lo avrebbe mai ammesso, ma forse il suo corpo era davvero troppo piccolo per sopportare un tale carico di lavoro. Tuttavia quella non era certo la vacanza che aveva immaginato, per nulla! Stare al chiuso alla residenza o stare al chiuso in albergo aveva ben poca differenza; anzi, così forse era ancora più frustrato ed irritabile di prima.
-Ma piove. Potevo benissimo restare alla villa.- obbiettò quindi Ciel, il tono della voce era stanco però; troppo annoiato persino per discutere.
-Posso proporle qualche gioco?-
L'offerta del maggiordomo destò immediatamente l'interesse del giovane conte.
-Che tipo di gioco?- domandò con fare inquisitore.
-Carte?- consigliò Sebastian tirando fuori un mazzo da briscola e gettandoglielo sul tavolo. Ciel osservò attentamente le suddette, studiandole, poi le prese tra le mani prendendo a mescolarle; accennò alla sedia dello studiolo di fronte alla sua.
-Accomodati.- gli disse. Non che fosse entusiasta di giocare con un servo, ma la noiosa alternativa rendeva la prospettiva di essere sorpreso da qualche cameriera di servizio a trastullarsi amichevolmente con il suo maggiordomo molto allettante.
Per nulla titubante, Sebastian scostò la poltroncina rossa e vi si sedette spostando con un unico movimento fluido le code della giacca all'indietro e tirando su la stoffa davanti dei pantaloni per evitare che il tessuto nero tirasse una volta accomodatosi. La postura perfettamente eretta da lui assunta e lo sguardo attento ad ogni mossa per qualche istante interdirono il ragazzino; erano seduti allo stesso tavolo da pari a pari... E allora perché Ciel si stava sentendo terribilmente inferiore? Quell'uomo, che sapeva essere un demone, lo metteva in soggezione solo sedendosi con lui? No, non era soggezione: era piuttosto la consapevolezza che senza i ruoli prestabiliti non erano altro che preda e predatore. Gli lanciò una fugace occhiata, che venne subito catturata dagli occhi pronti dell'altro, e, un attimo prima di servire le carte, un'idea gli balenò nella mente. Posò il mazzo sul tavolo e giunse le mani quasi come in atto di preghiera; sorrise malevolo mordendosi il labbro inferiore ed alzò lo sguardo verso il demone che ancora lo osservava immobile. Un solo incrociò di occhi bastò ad entrambi per capire di essersi intesi.
-Facciamo una scommessa.- propose Ciel. Indifferente cosa fossero senza ruoli, erano ancora nelle parti in quel momento e poi lui non avrebbe mai permesso a nessuno, nemmeno al suo carnefice predestinato, di vederlo sottomesso.
-Di che genere, signorino?- chiese Sebastian sollevando appena un sopracciglio.
Ciel sorrise audace e lo osservò con l'occhio scoperto -Chi perde subirà una penitenza.-
Il maggiordomo non si scompose e non lo fece nemmeno quando il conte specificò -Il perdente si spoglierà.-
Nonostante fosse un bell'azzardo, Ciel era certo di poter vincere, dopottutto lui era un asso nei giochi e il pensiero di vedere l'altro nella sua forma umana totalmente scoperto di fronte a lui lo attizzava. Finalmente avrebbe potuto prendersi la rivincita su tutte quelle volte in cui il demone aveva ribadito qual era la sua natura, avrebbe sottolineato nella maniera più umiliante possibile chi era il suo padrone e quale potere aveva su di lui.
-Come desidera, mio signore.- acconsentì Sebastian con semplicità sorridendo al suo solito.
Ciel schioccò la lingua contro il palato e riprese il mazzo di carte in mano cominciando a dirstribuirle; glielo avrebbe tolto lui quel sorriso idiota dalla faccia. Oh, se gli sarebbe piaciuto vederlo con un'altra espressione... E ci sarebbe riuscito.
Le carte da gioco erano italiane, Ciel le riconobbe come un vecchio regalo di un affarista veneto; Sebastian doveva averle prese con sè per previdenza e, come al solito, era risultata la scelta giusta. Il giovane distribuì tre carte a testa e poi ne posò una quarta sul tavolo: il sette di bastoni. Adagiò su di essa perpendicolarmente il restante mazzo e sollevò le sue carte studiandole attentamente così come il maggiordomo aveva cominciato a fare. Gli era capitata una mano abbastanza buona per iniziare. Prima che il demone potesse aprire il gioco annunciò -Tre partite e il perdente subirà la penitenza.-
-Sì, signorino.- assentì Sebastian gettando sul tavolo la prima carta con un sorriso.
Ciel osservò attentamente, memorizzando e studiando l'impassibile volto del servo. Il re di denari, eh? Sorrise: il gioco era appena cominciato.
***
La polvere depositata sulle inferiate della finestra che aveva osservato a lungo in precedenza con noia era improvvisamente diventata estremamente interessante. Il legno laccato di vernice bianca ormai scrostata racchiudeva il vetro in rettangoli proporzionati sui quali ogni bordo inferiore aveva sparso un generoso dito di polvere grigiastra. Dal vetro provenivano alcuni spifferi se vi si ci avvicinava troppo e la fredda pioggia si infiltrava nelle fessure creando condensa e appannando la superficie trasparente cosicchè dall'interno ogni cosa pareva annebbiata. Aveva voltato lo sguardo per qualche istante; doveva ancora capacitarsi di aver davvero vinto e soprattutto di aver davvero dato l'ordine che la scommessa fosse rispettata. Inaspettatamente le guance gli si erano imporporate alla dichiarazione di resa dell'altro che aveva alzato le mani e ad aveva annunciato di essere stato battuto; aveva dovuto distogliere lo sguardo per evitare di essere sorpreso imbarazzato. Di sicuro se lo avesse visto in quel modo, Sebastian avrebbe goduto nel fare ciò che era obbligato e l'umiliazione sarebbe stata di Ciel. Questo non poteva permetterlo; aveva pensato quella sfida appositamente per sottometterlo e non si sarebbe fatto sfuggire l'occasione da un po' troppo afflusso di sangue in punti sbagliati.
Con la coda dell'occhio vide Sebastian alzarsi in piedi e per un attimo riprendere la sua perfetta e composta postura da maggiordomo. In quel secondo il giovane riacquistò sicurezza e sorrise malevolo: l'avrebbe umiliato stavolta. Voltò lentamente il capo convinto di poter cominciare a cantar vittoria quando vide l'altro sfilarsi uno dei guanti con i denti dalla punta del medio. Non era la prima volta che lo vedeva in quel atteggiamento, ma in quel momento Sebastian stava tirando la stoffa bianca con estrema lentezza, gli occhi socchiusi lussuriosamente, liberando la pelle chiara poco per volta, sollevando al contempo il capo lievemente riverso; l'angolazione concedeva una spendida visuale del niveo collo esteso e scoperto al giovane spettatore. Rivelò le unghie nere e il contratto, si osservò la mano libera dall'indumento prima di lasciarlo cadere a terra come se nessuno lo stesse guardando.
Il respiro di Ciel si era mozzato e, nonostante le labbra fossero serrate strettamente per impedire a qualunque espressione di uscire, l'occhio liquido lo tradiva, vittima della palese tentazione del demone. Lui, lui! C'era riuscito dunque a metterlo in soggezione prima che il suo piano d'umiliazione potesse compiersi! Ma non era ancora tutto perduto; Ciel Phantomhive non avrebbe ceduto per così poco. Riprese il controllo di se stesso e puntò lo sguardo sul maggiordomo ancora intento ad osservarsi la mano. Sorrise serafico guardandolo intensamente negli occhi.
-Continua.- gli disse con voce soddisfatta.
Dal guizzo che colse negli occhi di Sebastian capì immediatamente di aver fatto centro; nemmeno il demone si aspettava una così alta resistenza a quella deliberata provocazione. Riprese dunque a svestirsi tirando la cravatta nera e gettandola ai piedi del padrone che non mosse un muscolo; sfilò anche il secondo guanto continuando ad osservare il ragazzino per coglierne una qualsiasi reazione, ma invano: Ciel aveva indossato una spendida maschera che copriva ogni sua emozione. Gli fece cenno con la mano di proseguire, all'apparenza per nulla turbato, al che il maggiordomo mise da parte il riserbo e obbedì come doveva. Sbottonò gli indumenti che gli occultavano il torace marmoreo, se li fece scivolare ai piedi e questi andarono a coprire le scarpe. Un lampo che non sfuggì di certo al conte folgorò i suoi occhi; rapido, sollevò una gamba e posò il piede su uno dei braccioli della poltrona su cui era accomodato il padrone. Svolse con due dita l'asola che lo teneva stretto nelle scarpe e attese. Ciel osservò la sua gamba incapace di far altro, deglutiva a fatica in effetti per quell'inaspettata troppa vicinanza; vide l'altro in attesa e nulla di meglio gli venne in mente che agguantare delicatamente il retro della scarpa e sfilargliela. Si costrinse a guardare in faccia il demone che lo scrutava da vicino: era ancora in attesa. Il giovane allora pizzicò la punta della calza nera che fasciava il piede del servo e questi cominciò a ritirarlo facendosi in tal modo sfilare l'indumento. Non appena la calza fu vuota del suo contenuto, Ciel la strinse forte nel pugno e la studiò. Non poteva cedere alle sue provocazioni, non doveva! Gettò la stoffa di lato con fare sdegnoso, ma ecco che già la sua gemella di presentava sopra il suo bacino in attesa di essere eliminata. Con mano ferma, il bambino aiutò l'altro a togliere anche quell'ingombro e, una volta che il servo fu ritornato al suo posto, finalmente riuscì a reidratare la gola che era priva di saliva tale da dolergli. Non osò staccare gli occhi glacialmente impassibili all'esterno nemmeno per un secondo dalla figura di Sebastian che andava ad eliminare l'ultimo indumento rimasto. Non doveva guardare in basso, doveva resistergli, continuare a fissarlo negli occhi, a sfidarlo o sarebbe andato tutto perduto. Sentì il rumore dei bottoni, la stoffa scivolare: ogni impedimento alla vista ora era eliminato. Con la stessa posa di ogni giorno, il maggiordomo ora lo guardava totalmente scoperto a lui per la prima volta da quando lo conosceva. Non era scoperto solo in senso fisico; oh, quello sarebbe stato il minimo. Era denudato di ogni potere di fronte al suo padrone, privo di ogni decisione, di qualsiasi forma di libertà, senza nemmeno l'abilità di sedurre di fronte alla preda che l'aveva umiliato a tal modo. Notando lo sguardo lievemente incupito di Sebastian, Ciel sorrise sornione, vittorioso, e si prese la licenza di lasciar vagare liberamente i suoi occhi per il corpo dell'altro. Totale soddisfazione e appagamento erano ciò che aleggiavano nel suo animo in quel momento. Un demone, spoglio, di fronte a lui, in balia dei suoi capricci, nella più umiliate forma per uno come lui: la forma delle sue prede. Gliel'avrebbe fatta pagare questa, alla fine, insieme a tutto il resto, ne era certo, ma nessun uomo avrebbe mai potuto vantare di aver giocato un demone. Sorrise di nuovo, quasi trattenne a stento una risata spontanea davvero crudele nei confronti dell'altro, e gli fece cenno di avvicinarsi. L'avrebbe definitivamente umiliato, sottomesso, gli avrebbe impresso il suo ricordo nella mente millenaria cosicché anche dopo la sua dipartita la sua anima sarebbe stata per lui la più prelibata, la più succulenta e la più desiderata.
Quando gli fu abbastanza vicino, Ciel sollevò una mano e senza indugio gliela posò sul petto glabro, così strano per un uomo di quell'età. La lasciò vagare, carezzando la pelle setosa; dedicò qualche minuto a quel trattamento per poi continuare alzando però lo sguardo ed incatenandolo a quello rosso del maggiordomo.
-Hai perso.- sussurrò senza sforzarsi di trattenere il tripudio celato in quelle parole -Non ci sei riuscito, demone.-
-Non intendevo sedurla.- replicò Sebastian con lo stesso tono suadente dell'altro.
-So cosa volevi fare. Lo hai già fatto altre volte... Forse ti è riuscito con altri umani...-
-Con chiunque in effetti.-
Il giovane sorrise: era proprio la risposta che cercava.
-Allora farai bene a ricordare...- lo avvisò inasprendo il tono e passando la mano dal petto alla guancia per farlo avvicinare di più al suo volto -... Che io non sono chiunque.-
Il demone sorrise appena e si permise di posare una mano su quella che gli stava sfiorando delicatamente la guancia con lente carezze circolari delle dita affusolate e piccole.
-No di certo.-
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Titled Miscellanea
FanfictionRaccolta di racconti basati sui personaggi di Black Butler incentrate sui protagonisti Ciel e Sebastian. Principalmente a sfondo d'indagine e