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Pelava le patate in silenzio, e io continuavo a fissarla perduto in quella postura piegata così tranquilla. I suoi due occhi neri profondissimi sembravano fessure dall'angolazione che prendevo io, faceva quasi tenerezza messa china sul secchio. Avrei voluto dirle qualcosa, non so ... forse salutarla e basta. Sapevo però che non mi sarebbe convenuto farlo: mio padre non voleva che i suoi figli si "infettassero" con quegli "esseri" (parole sue), mia madre era lì e nonostante tutto non si era accorta di niente, come del resto la giovane, e Mia sorella ... chi se ne frega di lei? Tanto per lei sono assente!
Qualcosa mi risvegliò dalla trance, era mia madre che chiudeva la sua rivista per andarsene.
" Harry .. attento a quello che fai." mi disse, notandomi mentre ero chiaramente voltato verso la ragazza. Io mi risedetti composto e annuì deglutendo. Lei si voltò, andò nell'atrio e indossò la sua giacca marrone. Stava uscendo, l'autista la stava aspettando fuori.
Ora in cucina c'eravamo solo io e il numero 15674. La trovai un'ottima occasione per poterle parlare. Diedi un'ultima occhiata in giro con lo sguardo, per vedere se stesse arrivando qualcuno, e vista la via libera, mi alzai dalla sedia, la rimisi senza fare rumore e avanzai verso la ragazza. Lei, dal canto suo, si accorse della mia presenza, sobbalzò stringendo la patata nel pugno della mano sinistra e mi guardò spaventata.
Solo allora mi accorsi di quanto .. fosse bella: non era una bellezza immacolata, ma innocente, quel suo sguardo unito alle sue sottili labbra violacee sapeva di castità, di innocenza, insomma .. di purezza. Fu anche allora che mi accorsi che dal collo le pendeva la stella della sua religione.
Mi chinai, lei invece si ritrasse verso il muro del camino pieno di cenere e mi guardò supplicante. Io cercai di tranquillizzarla a gesti:" Non voglio farti del male ..."
" Vai via ..." disse lei in un filo di voce. Aveva una timbro delicatissimo, dolce e melodioso. Lo adorai e le mie orecchie vennero investite da quel flebile richiamo.
" Ascoltami ... voglio solo ... conoscerti."
" Voi ci odiate .." fece lei con tono più convinto guardandomi negli occhi:" perchè dovrei fidarmi di ... lei?"
" Dammi del tu .." tentavo in qualche modo di aprire la conversazione con lei:" Io .. sono Harry.. tu?"
Lei inarcò il sottile sopracciglio bruno, e voltò la testa verso il suo braccio tatuato:" 15674". rispose atona.
" No, intendo il tuo vero nome." le dissi cordiale.
Lei esitò un attimo, poi disse debolmente:" Mi è stato ordinato di dimenticarmi del mio nome."
" Ma ci sarà ancora un flebile ricordo di ciò, no?" feci io cercando di convincerla.
Lei allora mi scrutò con i suoi grandi occhi neri senza espressione. Erano solcati da lievi borse di insonnia. Pensai che al campo la vita fosse davvero tremenda e mi stupii di come lei fosse ancora in buono stato.
La ragazza respirò a fondo, e riprese a pelare la patata e sussurrò:"Deborah."
" Deborah .. davvero un bel nome." risposi io. Lei abbozzò un sorriso forzato.
Si chiamava Deborah, un nome tipicamente ebraico. Suonava così bene pronunciato da lei, mi innamorai di quel suono così soave. Tentai di continuare la conversazione.
" Deborah ... la tua famiglia dov'è?" chiesi titubante. Deborah arrestò ciò che stava facendo, e alzò gli occhi verso di me. Rilucevano, la bocca le tremava, e aveva fremiti in tutto il corpo; stava per mettersi a piangere, sicuramente.
"Oh santo .. no lascia perdere non sei obbligata a dirmelo!" feci come per rimediare alla cavolata che avevo appena fatto. Ricordandole dei familiari, che sapevo più o meno che sorte avessero avuto, l'avevo fatta piangere. Stupido!
" No ... è solo che non ci sono abituata ..." fece lei cercando di scusarsi, con la voce rotta dai singhiozzi deboli:" Mia madre è al campo ... mio padre è ... stato arrestato ..." e qui un singhiozzo più forte l'interruppe e vidi una lacrima solcarle le guance. Mi si strinse il cuore.
" Non sei obbligata a continuare .. tieni." estrassi dalla tasca un fazzoletto pulito e glielo porsi. Lei mi osservò e tremante prese delicatamente il panno. Le nostre dita ebbero un contatto, sentii allora un brivido scorrermi lungo la schiena. Lei era come arrossita, si terse le lacrime e sussurrò un grazie. Il discorso si interruppe lì, animato solo dai suoi singhiozzi post - pianto.
Sarei voluto rimanere ancora per poterla consolare a dovere, ammirare quegli occhi ancora per un pò. Ma un bussare frenetico mi risvegliò. Lei sobbalzò e divenne pallida in volto, come se avesse riconosciuto quel tocco così brusco alla porta. La guardai mentre mi alzavo mogiamente per poter aprire alla porta, lei continuava come a nascondersi su se stessa, come un riccio davanti al predatore.
Andai ad aprire raccomandandole di restare lì, e mi trovai davanti un soldato robusto che mi guardò con cipiglio presuntuoso. La sua corporatura davvero muscolosa mi faceva impressione, ma mi spaventarono gli occhi; penetranti e malvagi, di un azzurro più pallido del ghiaccio stesso.
Lo salutai militarmente, e lui poi parlò:" la numero 15674." Il suo tono di voce era freddo.
Io lo guardai accigliato e poi mi volsi verso Deborah. Lei sentì quella voce spaventosa e si avvicinò:" Vengo." Poi uscì fuori tremando dalla paura e io stetti a guardarla, mentre quello strano soldato le metteva ... il braccio attorno alle spalle.
Che fosse ... No, non volevo pensarci. Non potevo pensare che a lei potesse toccare un compito simile. La guardavo allontanarsi e uscire dal cancello del cortile accompagnata dal quel soldato che non aveva certo l'aria amichevole.
Salii in camera mia pensieroso e mi buttai sul letto, e guardando il soffitto mi venne agli occhi la sua immagine. La sua innocenza. La sua bellezza.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 20, 2016 ⏰

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