3 cap. Non posso pensare a me

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Una ragazza normale sarebbe tornata a casa con espressione trasognata, buttandosi sul letto a sorridere al soffitto e a ripensare alla voce del ragazzo della biblioteca incontrato in spiaggia. Ma Asia non era di quelle ragazze. Tornò a casa con il solito broncio da solitaria e da "non mi aspetto nulla", il tempo di levarsi il costume e si buttò in doccia come se la salsedine avesse reso più pesante il suo corpo.

Non era una di quelle diciottenni che si illudevano al primo incontro improvviso con un ragazzo, lei il tempo per pensare a quelle cose non ce l'ha mai avuto. Doveva capitare qualcosa che assomigliasse ad un film o ad un romanzo, qualcosa di forte per destare la sua attenzione e distrarla dai suoi soliti pensieri che si portava dietro ovunque come una palla di piombo al piede.

«Anche l'acqua ghiacciata ci voleva! Per fortuna è estate! Mamma?» chiamò ad alta voce per farsi sentire, e il rimbombo della doccia arrivò a destinazione.

«Che c'è?» Anna arrivò dopo pochi secondi. La loro casa non era poi così tanto grande, non dovevano di certo attraversare corridoi e scalinate per raggiungere le stanze.

«C'è l'acqua fredda, sto gelando!» esclamò abbracciata a se stessa con la mandibola ballerina.

«Non ho acceso lo scaldabagno stamattina, pensavo fosse rimasta dell'acqua calda da ieri» confessò richiudendo la porta. Un attimo dopo la spia dello scaldabagno si accese, ma ci sarebbe voluto troppo tempo perché si riscaldasse e Asia sarebbe sicuramente morta di freddo molto prima.

«Va bé ho capito!» si sciacquò velocemente e si mise addosso l'accappatoio rimanendo per almeno dieci minuti ferma immobile sul tappeto come di consueto.

Dieci minuti buoni per pensare al senso della vita.

Perché non succede niente in me? Perché non mi ha fatto né caldo né freddo incontrare quel ragazzo? Sì, non è di certo come il ragazzo dei miei sogni, ma perché non mi importa? Si chiese cercando di analizzare da capo che tipo di emozioni avesse provato quella mattina.

Ma d'altronde era fin troppo abituata a questi incontri casuali che poi finivano con una sola uscita e silenzio eterno. Forse era questo il motivo della sua "non reazione", e questo la irritava.

Si concentrò invece su un altro dettaglio. La voce di sua madre e sopratutto lo sguardo. Cos'era successo? Ogni giorno c'era qualcosa che non andava. Da quando suo padre le lasciò sole per sindrome adolescenziale con effetto a vita, lei cominciò a pensare al futuro come se un cronometro si fosse posizionato sulla sua schiena e suonasse ad ogni ora.

Era la classica voce e sguardo d'allarme che faceva capire ad Asia quanto fosse in ritardo col trovare una soluzione per restituire a sua madre almeno un sorriso e un po' di voglia di vivere. Un pensiero fisso che fin da bambina l'attanagliava giorno e notte.

«Cosa posso fare se non mi vuoi ascoltare?»

«Ma io ti ascolto. So cosa vuoi che faccia, ma non me la sento, io ho chiuso con gli uomini, sono destinata a restare a casa a godermi gli ultimi anni di vita senza aver fatto niente.»

«Ma perché devi dire sempre le stesse cose? Quante volte ti ho chiesto di uscire con me, di iscriverti a qualche corso di cucina orientale odi quei fogli giapponesi, come si chiamano...»

«Origami...»

«Ecco, origami. Non puoi stare sempre a casa a pensare e a distruggerti il cervello, ti fa male cazzo»

«Asia,allora non hai ancora capito che se faccio quei corsi del cavolo, che nemmeno mi interessano, noi non mangiamo.»

Silenzio totale. Asia si chiuse in camera e sua madre davanti alla solita finestra della cucina a mordersi i polpastrelli e a pensare.


"Mi hai rovinato la vita papà, e non lo capirai mai."

"

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