1. Jesus of Suburbia

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- Ma guarda un po' chi si vede! Addirittura dopo una settimana! A quanto pare si sta bene a casa con mamma! - a sputare quelle parole era stato un ragazzo alto e robusto, i capelli verdi ritti in una cresta da mohicano. Parlava con una sorta di ironia arrogante, accentuata dalla sua postura baldanzosa: appoggiato con la schiena ad una colonna di cemento del vecchio edificio.

- Phil! Non parlargli così! Lui è il "Gesù della periferia" e ci farà tutti suoi discepoli! - rincarò la dose il ragazzo sedutogli accanto, sul muretto diroccato - come tutto del resto - con le gambe abbandonate a terra. Buttò indietro la criniera di un fucsia sgargiante che si trovava come capelli, lasciandosi trasportare da una risata forzata, che si perse nell'eco degli spazi vuoti del luogo. Li circondava un parcheggio ormai in disuso, le cui pareti erano adorne di graffiti. Le scritte e i disegni nuovi coprivano quelli vecchi, cancellando le tracce di quel passato di cui a nessuno importava. Nell'aria aleggiava un misto di voglia di ribellione e di dolce libertà, che andava facilmente confuso con la puzza di alcool e fumo. Ma loro ormai c'erano abituati. Erano i punk. Gli scarti della società. Quelli che volevano cambiare il mondo senza averne i mezzi. Quelli che venivano etichettati per ragazzi che campavano di alcool, fumo e droga e ci facevano i soldi, con quello.

E quei due ragazzi facevano parte della categoria, così come il diciottenne preso di mira. Si avvicinava a grandi falcate sulle sue gambe esili. I vestiti gli cascavano addosso come se fossero stati ereditati da un fratello maggiore. Ma chiunque al posteggio 7-11 sapeva che era figlio unico. Anche se in realtà nessuno lo conosceva veramente. Nessuno gli era veramente così vicino da poter superare la barriera invisibile che si era costruito attorno col passare del tempo. Aveva imparato la legge della sopravvivenza, fin da quando era un bambino, tirato su a sangue e veleno. Ma infondo non era colpa di nessuno in particolare. E questo voleva dire che era colpa di tutti.

Continuò a camminare a testa bassa, il cappuccio calato sugli occhi, superando con le mani in tasca i due ragazzi. Ma non ci riusciva. La rabbia era troppa da contenere. Doveva dire qualcosa, la minima cosa. Forse non l'avrebbe fatto stare meglio, ma non poteva farne a meno. Così dalle sue labbra uscì in un soffio un "emeriti idioti". Non così forte da essere distinto chiaramente, non così piano da non essere sentito. Forse non era il massimo delle offese, ma si era dovuto trattenere. Si sentì afferrare e strattonare da dietro mentre il cappuccio gli scivolava via, scoprendo una chioma color pece di capelli che esplodevano in aria. Girò la testa solo per trovarsi di fronte il viso di Phil, il "mohicano". Cercò di concentrarsi sui suoi piercing e sull'orecchino appuntito e scintillante sull'orecchio sinistro. Si ricordò che un paio di anni prima era stato proprio lui ad insegnargli "Se ti fai un orecchino a destra ti prendono per frocio". Ma la mano robusta di Phil costrinse il ragazzo a fondere i suoi occhi di smeraldo con quelli grigi dell'aggressore.

- Cosa vuoi? - chiese infine, stufo di essere costretto in quella posizione, ma anche consapevole di non poter ottenere la libertà semplicemente tacendo.

- Sei solo un moccioso, Jimmy - fu il ringhio di risposta, accompagnato da uno sputo, dritto in faccia al ragazzo. Poi finalmente uno spintone lo liberò. Cercò di andarsene il più velocemente possibile, senza però correre come un codardo e perdere una postura dignitosa, cosa abbastanza difficile, dal momento che anche l'altro ragazzo - che aveva assistito alla scena con un ghigno - gli aveva appena sputato sulle scarpe di tela. Camminò senza fermarsi, i pugni che si stringevano da soli. Continuava a ripetersi che doveva calmarsi e contava i respiri irregolari. Con disgusto si pulì il viso con l'orlo della manica. Man mano che avanzava i ragazzi aumentavano. Chiome sgargianti, risate sguaiate, molti bevevano e fumavano - Jimmy in quel momento non voleva nemmeno sapere cosa - certi si fermavano a guardarlo, ma ormai non gli importava. Se a loro non importava di lui allora a lui non importava di loro. La legge della sopravvivenza, la traccia non scritta che guidava la sua miserabile esistenza. L'unica cosa importante era la certezza di trovare una certa persona in quel parcheggio. E non si sbagliava.

Son of rage and loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora