Ero lì, in piedi, su un palco e con una corda appesa al collo, e il crocifisso che si nascondeva dietro la camicia di flanella a quadri che indossavo, come se anche lui avesse paura.
Il mio sguardo era rivolto verso il nulla, certo, davanti al nulla che stavo guardando c'era un numero non definibile di persone che mi guardava assumendo gli atteggiamenti più disparati: Chi mi guardava con uno sguardo perso nel vuoto come il mio, chi godeva come una prostituta a vedermi in quello stato, chi sperava soltanto che giustizia fosse fatta, e addirittura chi mi guardava come se provasse uno strano senso di pietà. I miei occhi cercavano di incrociare il meno possibile i loro. Ero completamente indifferente e sapevo che sarei rimasto su quel palco ancora un bel pò ancora, con una botola sotto i piedi e la gola ristretta come un tubo di caucciù. Ogni tanto qualcuno, preso dal nervosismo, mi imprecava contro addirittura saltando e gettandomi contro le cose più improbabili.Mentre guardavo l'orizzonte sembrava stessi contemplando il mio futuro, o almeno quello che ne sarebbe rimasto: il cielo era nero e sulle montagne che avevo dirimpetto stava già piovendo; era questione di tempo che l'acquazzone sarebbe arrivato anche qui. Quello che mi circolava in testa quegli istanti...mbè, erano un miscuglio di idee e pensieri, e tra questi erano pochi quelli che riuscivo a distinguere più nitidamente nella testa. Tra coloro che assistevano a quella che sarebbe stata la mia fine, c'era lei, lei che più di qualsiasi altra persona è stata la mia timoniera di vita: era mia madre. Con quell'aspetto un pò goffo che la caratterizzava tra le più anziane della città: un vestito lungo che terminava con la gonna, le sue ciabatte, ridotte abbastanza male ma che però avrebbe messo anche al più formale degli eventi e i suoi capelli, una volta neri corvini e lunghi, ora corti e bianchi. è stata la persona più importante della mia vita in assoluto, e non potevo permettere che rimanesse li, a vedere quel figlio sciagurato con lo sguardo distrutto come il suo. Ero suo figlio...il suo unico figlio. Mi consideravo ormai figlio unico in quanto mio fratello era soltanto un avanzo marcio di galera: fu capace di uccidere a fucilate un'intera famiglia soltanto per uno stupido e misero debito di gioco. Egli aveva ottenuto il permesso quel giorno per assistere alla mia esecuzione. Era distante una dozzina di metri da mia madre: non aveva il coraggio di incrociare il suo sguardo addolorato, almeno non quella sera, per evitare di avvelenare ancor di più il sangue che ribolliva nelle vene ormai stanche di nostra madre. I tuoni dall'alto volevano la loro voce in capitolo, facendo sobbalzare le centinaia di persone presenti, tutti, ma non mia madre, rimasta impietrita ed immobile come uno scoglio in mezzo ad un mare mosso. Le prime gocce si cominciarono ad infrangere sui sanpietrini, ormai danneggiati dal tempo, e su di me. Mi entrarono nella camicia e arrivarono a bagnare il crocifisso nascosto nella camicia. Insieme alla sempre più regolare pioggia invernale, dai miei occhi cominciarono a colare le prime lacrime, le quali non ebbero neanche il tempo di arrivare fino alle guance che subito furono catturate dalle pesanti gocce di pioggia e trascinate lungo il corso della faccia fino a scolare a goccioline dai miei residui di barba.
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Cronache Di Una Morte
HorrorChe cosa potrebbe passare nella testa di una persona cosciente che tra 30 secondi potrebbe non esserci più?