Il giorno in cui Gabry mi riacchiappò fuori la porta

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Alias: How I met Gibbirilli con la frangetta 

«Voglio fare teatro perché...

Boh! »

Il teatro non è qualcosa che cominci perché hai un progetto ben preciso. Cioè, non lo inizi per diventare attore, nella maggior parte dei casi. Lo incominci perché magari hai perso la bussola e non sai orientarti. Magari per gioco, perché c'è quel tuo amico, o quella tua amica. Magari ci va qualcuno che ti piace... O ancora, hai sentito dire che fa bene all'autostima, e sei uno di quei timidi, che appena qualcuno gli rivolge la parola, scoppiano in lacrime e scappano. Insomma, non si sa per quale ragione, un giorno, ci si trova tutti insieme ad un bel corso di teatro. E qui inizia il bello. Che è solo l'inizio. Perché? Perché come per i professori (ma attenzione, perché professori non sono), i maestri di teatro sono tutti diversi: professori che lo fanno per hobby, perché lo amano, professionisti scocciati, perché odiano insegnare. C'è chi scende dal palcoscenico, perché troppo anziano, magari, e cerca di trasmettere l'amore che solo le vecchie assi del palco sanno dare. Ero preparata a tutto questo. Avevo già fatto teatro. E sapevo che più o meno, gli istruttori erano calmi e controllati. Insomma, sono istruttori. E quindi dovrebbero comportarsi da maestri. Non sapevo quanto avevo sbagliato.

Innanzitutto, io non iniziai il teatro per una di quelle ragioni, elencate all'inizio di questo sclero. Lo iniziai per saltare il pranzo, e non restare a sentire mia madre che diceva cose tipo «devi uscire il sabato, devi farti una vita sociale...»

Quello che ogni figlio bramerebbe sentirsi dire. Ma io non sono "ogni figlio". E poi, c'era il fatto, del tutto secondario, di mia nonna, che era la proprietaria del mio liceo (dove facevamo lezione) e dell'associazione che promuoveva i festival francofoni e gli spettacoli. Insomma, ero raccomandata da far schifo.

Quel giorno di ottobre, ero nervosa. Era la seconda volta che tentavo quella follia. Lo ricordavo bene, l'altro primo giorno. La corsa verso il cancello verde, l'emozione. Poi mi aveva assalito un panico irragionevole. Vedevo le persone li davanti. C'era una bionda che rideva. Solo il guardare quella ragazza mi ansieggiò ancora di più.

E se, e se, e se... decine di possibilità apparvero nella mia mente, offuscandola insieme alle lacrime. Dovevo andare via di lì. Così, abbassai la testa e corsi difilato a casa. Quel giorno ero nervosa. Per questo arrivai in ritardo. Per non avere la possibilità di scappare. Chiesi del teatro, e mi dissero "aula sei" percorsi il corridoio, e poi misi l'orecchio appoggiato alla porta, cosa che faccio pure ora.

Sentii delle voci, ma non come un corso di teatro. Chiusi gli occhi, e bussai piano, praticamente appoggiai il palmo alla porta. Poi sfrecciai via nel corridoio. E poi la porta si aprì. Mi voltai spaventata, e mi trovai davanti una ragazza di ventotto anni. La ragazza che avrebbe sconvolto una vita.

«Devi fare il corso?» domandò.

Non ebbi tempo di pensare: «Si si!»

«Entra, veloce» quasi stesse dicendo con voce intrisa di celata complicità "sbrigati, che altrimenti questa porta si chiude, e non vedrai mai questo magico mondo!" 

...

Okay forse voleva solo dire qualcosa di molto simile ad un "Non c'ho tempo da perdere qua fuori, muovi il culo ed entra"... ma sono famosa per travisare le cose. Così sfrecciai dentro, lasciando che chiudesse la porta alle mie spalle. Mi guardai intorno. Poi mi concessi il lusso di guardare lei. La mia istruttrice. Era una di quelle persone, che lo capisci subito che sono speciali. La mia nuova istruttrice era, innanzitutto bella. Cavolo, lei...

È bella, mi piace un sacco. È una di quelle bellezze che noti subito, perché capisci che se l'è guadagnata con la forza, e per questo è ancora più bella perché ne ha il diritto. Ma questo passava in secondo piano, quando parlava. Ti incantava, innanzitutto, era giovane, e aveva uno sguardo deciso. Uno sguardo che poteva leggerti dentro. Aveva la capacità di dire la cosa giusta al momento giusto, che fosse una cosa capace di risollevarti, o una battuta racchiusa in un tempo comico fantastico. Sclerava, oh se non sclerava. Era meravigliosa. Non era affatto il genere di persona che se non sai fare qualcosa ti dice 'okay, tesoro, guarda gli altri e la prossima volta lo rifai'. No, no. Lei ti valutava. Capiva quanto potevi fare, e insisteva per arrivare ai tuoi limiti. E spezzarli lentamente, senza che te ne accorgessi. Lei era il tipo che se la facevi arrabbiare, una sedia avrebbe potuto tirarla, eccome!
Batté le mani, e continuò col suo giro. Ah, già, ci eravamo messi in cerchio. Tenni gli occhi puntati su quella strana ragazza, o donna, che in breve sarebbe diventata una mamma per me. Stava chiedendo a ognuno il nome e perché facevano teatro. E ora? Avrei dovuto parlare?! Oddio, cosa dico, cosa dico! E nel frattempo lei era già arrivata da me. 

«E... Ehm mi chiamo Federica, e... e voglio fare teatro... Perché Boh!» qualcuno rise.

Io pregai il signor Ade di richiamarmi nelle profondità dell'inferno. Ma la mia istruttrice passò avanti. Ci fece salire su delle sedie, e ci iniziò a spiegare cose. C'erano delle persone sedute sui banchi vicino a lei. Sedute, in piedi. Capii che erano quelli più vecchi. Quasi come mi avesse sentito, lei li chiamò. Chiamò una ragazza con una cresta, che si chiamava Monica, ed un'altra bionda. Mi colpì subito, come un fulmine. Bella, e decisa. La vedevo chiaramente, le labbra strette in una linea decisa, lo sguardo a sfidare l'orizzonte. Era particolare, non riuscivo a smettere di fissarla. Non capii come si chiamava, e non la vidi più, se non l'anno dopo, ma questa è un'altra storia. Fecero un'improvvisazione che mi lasciò i brividi addosso. Erano bravi. Non avevo mai visto un livello così elevato. Poi Gabriella, o Gabri o Gibbi, ci fece gridare dei numeri.

Gridai il mio numero, quarantuno, più forte che potei. Volevo sapesse che ero lì. Chi? Non lo so. Forse tutti. Volevo lo sapessero. 

Alla fine dell'ora, la mia istruttrice salì sulla sedia, ed esclamò qualcosa. Io uscii rapidamente, osservandola mentre diceva: «Perché quest'anno mi sposoooo!» la osservai, i capelli lunghi, la frangetta.

Sarei tornata, pensai. Perché quel posto era speciale. Già dalla prima lezione, capii che mi trovano davanti a qualcosa di completamente nuovo. Qualcosa che, nel corso del tempo, avrebbe modificato la mia vita in modo irreversibile. Qualcosa che avrebbe fatto divenire la mia...

Sopravvivenza, qualcosa chiamata vita.

Qualcosa, qualcuno, che mi avrebbe insegnato cosa fosse "Fare teatro"    

Fu lì che che lo incontrai...

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