Ero a bere la mia tisana ai frutti di bosco e a leggere il libro. Non appena finii di leggere, indossai il mio grazioso pigiama a pois e andai a dormire. Intorno alle 2 di notte arrivò mia madre, che andò a dormire in camera sua.
Non riuscivo a chiudere occhio, fissavo lo schermo e le mie conversazioni sul cellulare, mi sentivo sempre più sola.
La luce del telefono pugnalò il mio viso ed i miei occhi sempre più assonnati.
Spensi il cellulare e lo appoggiai sul comodino.
Fissavo il soffitto, all'improvviso urlai.
Mia madre dormiva ancora, aveva un sonno profondo.
Mentre riuscivo a vedere tramite le tapparelle semichiuse il palo della luce, il lampione e la lampada tremarono, scrutai più da vicino e notai un cadavere a testa in giù, i piedi erano legati tramite una fune attaccata al collo del lampione, e la corda era posizionata in modo che il cadavere penzolasse davanti ai miei occhi.
Il cadavere indossava semplici pantaloni beige, senza maglietta, il petto intriso di sangue e la testa mancante.
Le mie gambe cedettero a quella visione alquanto oscena e mi inginocchiai ai piedi della tapparella con l'ansia e la paura che il killer fosse sul mio balcone. Il mio cuore palpitava ed io tremavo come una foglia. Scrutai ancora sul balcone in cerca della testa, perché nonostante quella scena macabra ero curiosa.
Vidi un'ombra muoversi, mi spaventai e corsi in salotto.
Decisi di dormire sul divano, dopo aver chiuso tutte le porte e le finestre, sperando che tutto quello che avevo appena visto fosse frutto dell'insonnia.
Mi addormentai.
Il giorno dopo tutto il condominio era sotto casa mia per essere interrogato dallo sceriffo.
- Ciao Lydia, abiti qui? - mi chiese Stiles, ovviamente si ricordava il mio nome, la mia mente impazziva.
Io ero messa male, ero in pigiama, con i capelli disordinati ed assonnata.
Mi limitai ad annuire e Stiles mi portò dal vice sceriffo Parrish a parlare nell'androne.
- Lydia Martin, secondo piano? - chiese il vice sceriffo, Stiles era accanto a lui .
- Si. - risposi annuendo.
- Intorno alle tre meno venti ha sentito qualcosa? - mi chiese mentre prendeva appunti.
- No. - risposi velocemente.
- Altri abitanti di questo condominio mi hanno detto che hanno sentito un urlo disumano, confermi?
Presi tempo per rispondere, quell'urlo disumano era il mio.
- Non confermo. - mentii al vice sceriffo.
- La sua stanza è vicino al palo della luce, scena del crimine, e delle impronte di piede 38 si trovano sulla scena del crimine, quanto calzi? - mi chiese.
- 37 e mezzo, quasi 38. - risposi tremolante mentre Stiles fissava il colloquio ed il vicesceriffo prendeva appunti.
- Il suo ultimo accesso su whatsapp è stato alle? - chiese Jordan.
- Tre meno un quarto. - rispose mia madre fissando il suo smartphone, Parrish prese appunti.
- So che era presente nel bosco nel momento in cui successe lo scorso omicidio. - mi rispose Jordan Parrish.
- Si, facevo parte delle tigrotte quella sera. - risposi titubante.
- Le tigrotte non mi hanno raccontato bene di te, sai? - Jordan Parrish faceva un rumore con la penna a sfera.
- E te pareva. - mormorai.
- Sai chi è morto? - mi chiese il vice sceriffo mentre Stiles mi fissava.
Scossi la testa, le mie vocine mi ripetevano il nome di Mark Queen, insistentemente.
- Mark Queen. - risposi ascoltando le mie vocine.
La omicidi pochi secondi dopo trovò la testa, era Mark Queen. Tutti mi guardarono male, fissandomi.
- Sa, proprio dal suo numero ieri è stato chiamat.. - Stiles mise un dito davanti alla bocca di Jordan Parrish e lo fece zittire.
- Lydia, puoi andare. - disse Stiles e lo sceriffo acconsentì.
Ritornavo a casa, mia mia madre mi guardava disgustata come se fossi stata io ad uccidere Mark Queen, ma non ero stata io.
Andai in camera da letto e aprii la tapparella e le finestre notando la omicidi che lavorava, aprendo la porta mi fissarono male.
Mi raggomitolai come una palla tra le coperte, con il cuscino stretto a me che piangevo.
Non può essere vero, tutto ciò è frutto della mia immaginazione.
Piansi tutto il tempo, e mia madre era dietro la porta come per spiarmi, la odiavo non la sopportavo.
Le voci anziché darmi coraggio e aiutarmi a sopportare tutto questo mi demoralizzavano e si lagnavano.
Stiles aveva sete e mia madre gli offrí un bicchiere d'acqua in casa mia, sentivo il suo profumo provenire dalla cucina, certi ragazzi mettono quantità enormi di colonia.
Pensai sarebbe stato esaltante andare al funerale del mio vicino di casa, ma effettivamente non lo era, soprattutto se tutti i sospetti ricadono su di te.
- Lydia è in camera sua? - chiese Stiles a mia madre, lo riuscii a sentire, sono brava ad origliare.
- Credo di sì, ma non ci andare, potrebbe ucciderti. - ridacchia mia madre.
Sentii dei passi, erano quelli di Stiles, si dirigevano verso la mia camera.
Bussò alla porta, anche se era aperta.
- Lydia.. - disse la sua voce flebile.
- Stiles.. - risposi istintivamente, chiudendo gli occhi e nascondendomi sotto il cuscino.
Non desideravo farmi vedere in quelle condizioni.
- Sai chi è morto nel bosco? - mi chiese.
Le mie voci sussurravano Juan Nieve, lo conoscevo, era colombiano.
Sta volta non diedi ascolto alle vocine.
- N..non lo so. - balbettai stringendo il cuscino contro l'orecchio per non dare ascolto alle voci che insistevano ripentendo il nome di Nieve.
- Juan Nieve. - rispose Stiles. –Colombiano, personal trainer, gay.
- Lo sapevo - borbottai, essendo fiera di aver incanalato bene le voci.
- Sapevi cosa? - mi chiese Stiles.
- Che era gay, il mio gay radar non sbaglia mai. - dissi coprendo il tutto.
Stiles ridacchiò, io ridacchiai. Anche se quello era il momento meno adatto per ridere.
Stiles si accucciò a terra con le braccia incrociate.
- Come stai? - mi chiese il ragazzo bruno con gli occhi da cerbiatto.
- Come devo stare dopo essere accusata di aver ucciso un mio vicino di casa? - risposi tremendamente acida, nascosta tra le coperte, i cuscini e il mio ridicolo pigiama.
- Male, penso, credo, spero... - disse Stiles, lasciando un silenzio tra ogni parola che diceva. - Cioè, sarebbe da sociopatici essere felici di essere accusati di un omicidio. - si lasciò scappare una risata, una risata che in quel contesto non stava affatto bene.
Il ragazzo inappropriato e bello allo stesso tempo si chiamava Stiles.