285 km away.

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7 ottobre 1984,
Beechworth Lunatic Asylum, Beechworth, Victoria, Australia.

Pioveva. Pioveva a dirotto e i tuoni riempivano il silenzio straziante di quella stanza, insieme al forte scrosciare della pioggia. La stanza 14 era fredda e spoglia e l'essere spoglia la rendeva ancor più fredda.
Fuori da quelle mura il cielo era livido e una luce debole filtrava all' interno dal vetro opaco della finestra sbarrata.

Un'aria gravosa inondava la stanza e il respiro della donna si fece sempre più affannoso.

Guardò i palmi delle sue mani umidiccie. Phoebe aveva un carnato pallido, quel biancore delle bambole di porcellana e quella cangiante lucentezza del raso. Aveva delle lentiggini.
Era così minuta. Ancor di più in quella larga vestaglia bianca logora e sotto quei lunghi riccioli rossi.

Emise un lamento, si rannicchió e prese a dondolarsi su sè stessa.

Cominciò a canticchiare sussurrando; sorrise, spalancando i suoi occhi neri assonnati. A volte aveva paura di addormentarsi, altre, invece, non vedeva l'ora di dormire, chiudere gli occhi e mettere un freno a tutta quella sofferenza. Le era impossibile.

Il confine tra la realtà e la pazzia è talmente sottile che a volte è difficile individuarlo. Phoebe questo lo sapeva bene.

«Phoebe.»

«Sparisci, ti supplico. Non tormentarmi più» Urlò la ragazza mettendosi le mani tra i capelli e tirandoseli. Scosse la testa e cominciò ad agitarsi. Il suo corpo tremava.

«Grazie di essere qui, ti stavo aspettando. Mi sei » alzò lo sguardo; aveva lo sguardo della follia. Un volto allucinato, stravolto dalla paura, terrorizzato da qualcosa di indefinito e alienato rispetto a ciò che lo circonda.

Quella donna non finiva mai le sue frasi. Le interrompeva, dal momento che in quell'istante un altro pensiero invadeva con prepotenza la sua mente. Phoebe aveva molti pensieri, ma erano pensieri confusi. Era come guardare la televisione ed essere sintonizzati allo stesso tempo su quarantaquattro canali.
I suoi pensieri andavano veloci, senza un freno e senza una meta. Erano pensieri orribili.

Era un qualcosa di deframmentato. Aveva provato più volte a ricomporsi, ma era difficile lottare contro se stessa e contro la sua mente. Lo scenario che aveva lì dentro aveva a che fare con l'ombreggiatura. Era il luogo in cui il suo pensiero arrivava a toccare le estremità del tormento, dell'insonnia, della persecuzione, della tortura, dell'ideazione, della fantisticheria, della magia, dell'onnipotenza.
Era il luogo delle ombre sedute su troni di cristallo, seducenti e fragili. Supplizio.

Due occhi blu la stavano guardando, il resto era sfocato, sfumato con lo sfondo nero.

Gli occhi blu si quadruplicarono.

Ora si moltiplicavano sempre di più.

Lo sfondo nero diventò blu.

Il blu sparì e comparvero delle ombre. Comparve l'ombra di una mano, poi un'altra, e un'altra ancora. Le mani si avvicinavano sempre di più, fino a toccarla. Lanciò un urlo, ma prese subito a ridere mentre un ratto sgozzato la fissava. Giaceva in una pozza di sangue. La stanza puzzava.

Intanto un'allegra canzone a ripetizione faceva da sottofondo.

«E' colpa tua» si girò verso il muro e prese a graffiarlo. «Hai permesso che » Le sue unghie si spezzarono. Tutto in lei era ormai fragile. Era così cambiata da quel giorno.

Scandagliò la memoria alla ricerca di ricordi, ma la sua mente era infestata da fantasmi. Era un cimitero di cadaveri.

Era convinta del fatto che volessero farle del male. Stavano complottando di farle del male. Sapeva che i suoi pensieri venivano ascoltati, sapeva che la sua mente veniva letta, sapeva di essere controllata. Non voleva che qualcuno entrasse lì dentro.

La sua mente era un programma, la schizofrenia era il virus.

-

Cosa ha portato Phoebe a stare in questo stato?
Ciao, personcine. Questa è la mia prima storia, non siate tanto crudeli.
È il primo capitolo ed è un po' breve, ma andando avanti i capitoli saranno più lunghi. Ho molte idee per questa storia e spero che continuiate a leggere, ne sarei molto felice.
-A.

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⏰ Last updated: Mar 28, 2017 ⏰

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