Capitolo uno

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Settembre.

Con le donne accade due volte di non saper cosa dire:

all'inizio e alla fine di un amore.

Gesualdo Bufalino

Uno scrittore italiano



Tra un sorso di Vodka e un tiro della mia adorata Winston Blue invento poesie ma non me ne viene una giusta.

Cerco di trovare un modo per spiegarti quel che provo, ma non riesco a formulare una frase con un senso logico.

Forse la logica qui non centra, qui si parla di quel cazzo di sentimento che ci fa diventare tutti un po' masochisti, quel sentimento che si chiama Amore.

Cathy, non so come dirtelo, porca miseria. Lo sai, sono stati i sei anni più belli della mia vita, te l'ho sempre detto. Ti amo e non credo smetterò mai però... no.

Mi sento svenire, non ho mangiato quasi nulla da sta mattina, sono le quattro del pomeriggio. Ma non credo sia quello il motivo dato che ho compiuto la mia azione giornaliera delle due dita in gola.

Il motivo è che dopo questi spettacolari anni passati insieme a te, non so come dirti addio. Non mi sento più parte di te e non sento più il tuo cuore battere dentro di me.

Ti amo, sì, ma appunto per questo ti dico tutto ciò. Per non farti stare male quando magari qualcuno ti verrà a dire che sto con un'altra persona mentre sto insieme a te, per non farti soffrire quando scoprendolo convincerai te stessa a credere che io, quella ragazza che ti è stata affianco per ben sei anni, quella ragazza a cui hai dato il tuo primo vero bacio, quella ragazza con cui hai fatto l'amore la prima volta, sia una falsa egoista e menefreghista. Sai che non sono così e non voglio mentirti, per questo motivo ti sto scrivendo questo. So che soffrirai, soffrirò anche io - ne sono certa - ma davvero, non voglio più stare con te.

Addio Cathy.

Tua, Eth.

Questo credo fosse l'unico modo per dirglielo. Non riuscivo a parlarle. Appena la guardavo in quei suoi occhioni blu oceano, i miei iniziavano ad inumi­dirsi e il nodo in gola si formava pian piano.

Certamente non l'avrei lasciata per telefono: un sms sarebbe stato davvero idiota, un sms non vale sei anni, un sms è stupido, sarebbe stato da imma­turi lasciarla con un inutile messaggino; una chia­mata, beh, sarebbe stata la stessa cosa del parlarle in faccia, magari più stupida ma altrettanto difficile.

L'unico modo è stato scriverle questa lettera, conse­gnata direttamente al postino la mattina del 25 settembre.

"Via Anfiteatro, 10, Verona 37121

Per CATHERINE HELEN EVANS"

Il suo nome, lì, in maiuscolo, sembrava pulsasse.

«Via Anfiteatro 10. D'accordo, Eth, sicura che arri­verà a destinazione.»

Luca, lo "splendido postino dallo humour nei pol­moni" (soprannome che gli avevamo dato io e Cath) prese la mia lettera con il sorriso smagliante di sempre, chiuse il portone verdastro del condominio e andò via con il suo motorino, come tutte le mattine.

«Eth, sei sicura di ciò che hai fatto?» Ero seduta sul letto: i gomiti sulle ginocchia e le mani che sorregge­vano la testa; guardavo fisso il pavimento. Improvvisamente il motivo delle mattonelle era diventato interessante.

Si abbassò per guardarmi il viso «Hai l'aria di una ragazza pentita e troppo triste. »

Mia mamma. Le dico tutto ciò che mi succede fin da piccola, le amicizie che facevo a scuola, i primi fidanzatini, i primi brutti voti a scuola, le delusione d'amore, le false amiche, l'essere bisex, il rapporto con Cathy e ora anche questo.

Mi abbracciò, tentando di tirarmi su di morale. «Ho un'idea! Facciamo i biscotti! Ti facevano sem­pre felice da piccola quando papà ti sgridava.»

Mi sono sempre piaciuti i suoi occhi, dicono che li abbiamo uguali, io invece penso che i suoi siano molto più espressivi dei miei, con quelle rughe che lei odia ma che io amo perché mi ricordano la vita che ha vissuto; con quelle leggere occhiaie che lei prova a coprire ogni mattina ma che secondo me dovrebbe lasciare lì, hanno un non so che di speciale; con quelle ciglia che la fanno più donna; con quel color marrone che non è un marrone come gli altri perché anche quello è speciale, perché c'è quella puntina nera in mezzo a tutto quel marrone che li rende ancora più unici. Insomma con quegli occhi mi fece capire che le mancavo, che le mancavano i momenti che passavamo assieme, i biscotti che facevamo anni fa.

«Mamma, sei sempre la solita. Ho diciannove anni! - come dire no a quegli occhi dolci? - Vabbè, dai, hai ragione. I biscotti mi tiravano sempre su di morale, soprattutto se mentre li impastavamo ti dise­gnavo delle macchie sul grembiule con la farina a mo' di mucca nera a macchie bianche.» Scop­piammo a ridere, una risata sincera, piena d'amore e tenerezza, una risata e dei sorrisi che mancavano alle mura di quella casa.

Mentre andavamo verso la cucina, a turno rammen­tavamo i piccoli ricordi di quegli interi pome­riggi passati a fare i biscotti, che almeno per un momento facevano felice la famiglia. Un mo­mento che, sì non durava tanto a lungo, ma era un mo­mento per noi quattro, per sorridere un po', senza il nervoso dato dall'adolescenza di Matt, mio fratello, né l'inutile, ma comunque, sempre persistente, pole­mica di Adam, mio padre, e nemmeno il troppo stress di mamma che la faceva piangere ogni volta che papà alzava troppo la voce con me e Matt.

Un momento speciale, che negli anni è svanito.

♀+♂

Diario di Eth 25 settembre 2011

Una volta mi han chiesto:

"Quali saranno le tue ultime parole prima di morire?"

Una domanda un po' macabra, sì, ma non m'inte­ressava. Ci ho pensato su due secondi e ri­sposi: 'Ti voglio bene, mamma.'

La mia prima parola è stata 'Mamma' e voglio che sia anche l'ultima.

Credo che in quel momento non ci sarai al mio fianco mamma, - anche se spero davvero tanto, di finire la vita di vecchiaia assieme a te - lo dirò lo stesso, così che il mio pensiero ti arrivi. Saremo di nuovo assieme.

Ora però, forse, è meglio pensare al presente.

Ti voglio bene con tutta l'anima, mamma. ♥

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