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Faol annuisce e nel frattempo mi stringe tra le braccia in una morsa che non posso sciogliere, imprigionandomi contro il suo petto, impedendomi di muovermi.

«Ascoltami... Alana, ascoltami, ti prego» supplica.

La sua voce è agitata, sento il suo cuore battere veloce e possente contro il mio petto, le mie mani sono bloccate tra di noi.

Io sento di stare per perdere la ragione, Faol è uno di loro, l'ho ritrovato solo per perderlo nuovamente.

Il dolore che provo è così grande da stordirmi.

Mi arrendo immobile, se devo morire voglio farlo così, tra le sue braccia.

«Quella notte, ti ricordi cosa è successo?», chiede mentre libera una mano e mi sfila tutte le armi, gettandole lontano.

Non rispondo, non posso, non ce la faccio.

«Ci attaccarono in branco, io riuscii a trascinarti in quella botola nel fienile, poi mi voltai e corsi vicino al falò, volevo salvare i miei fratelli, mio padre... volevo... Col senno di poi, avrei fatto bene a rimanere al sicuro con te... Fui attaccato alle spalle pochi istanti dopo, il morso era doloroso e profondo, ma non mortale, prima di perdere i sensi riuscii a strisciarmi lontano dal villaggio. Svenni, non so cosa accadde dopo, deliravo per la febbre, ricordo solo che mi sentivo bruciare e che nelle vene era come se mi scorresse del veleno che mi faceva venire voglia di urlare. Ma non lo feci. In qualche modo sapevo che il pericolo era vicino e mi imposi di rimanere in silenzio. Nei rari momenti di lucidità non facevo altro che torturarmi al pensiero di averti lasciata sola e senza protezione in balia di quei mostri. Avevo visto i cadaveri di metà della mia mia famiglia e sapevo che erano tutti morti, ma tu, quando ti avevo lasciato eri ancora viva. Mi attaccai a quella speranza e lottai per sopravvivere. Quella notte la maledizione mi mutò per la prima volta, non posso spiegarti cosa si prova, il senso di libertà e potenza, i rumori della foresta che ti guidano come un vecchio amico, le tracce e gli odori che acquistano un senso, la caccia e il sangue caldo della preda che nutre la bestia... Quando tornai in me erano già passati due giorni dall'attacco, tornai verso il villaggio, ma l'unica cosa che vidi furono macerie e cenere. Il Concistoro era arrivato prima di me e di te non c'era traccia».

Si ferma, con delicatezza mi fa scivolare le braccia intorno alla vita e mi allontana da lui quel tanto che basta per potermi guardare in viso.

«Pensavo fossi morta...».

La sua espressione è segnata da un dolore che mi stringe il cuore.

Senza che possa controllare quello che faccio, allungo una mano e gli accarezzo il viso, portando via con il pollice delle lacrime che non ci sono, ma che so ha versato.

Vedo le sue pupille contrarsi e allargarsi, anche lui ricorda, lo stesso gesto di quando eravamo piccoli e cadevamo durante le nostre corse sfrenate.

Ci consolavamo a vicenda così, portandoci via le lacrime e dandoci un bacio sulla ferita che magicamente smetteva di fare male.

Solo che io non so dove sia la sua ferita, non so nemmeno più dove sia la mia, non so dove poter posare questo bacio incantato che porta via tutto il dolore. Così mi limito a far ricadere la mano verso il basso e a chiudere gli occhi perché ho paura di non riuscire più a smettere di guardarlo.

«Stai male e stai diventando sempre più fredda, lascia che ti porti dove vivo e che ti curi la spalla. Finirò lì il mio racconto e se dopo vorrai andartene, ti lascerò andare e nessuno cercherà di fermarti o ti farà del male. Te lo giuro».

Apro gli occhi e alzo la testa di scatto.

Guardarlo è così doloroso che non riesco a nasconderlo, lui si accorge della lotta che infuria dentro di me, ma non fa nulla per spingermi ad accettare la sua offerta.

Ferania la città dei lupiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora