Contest-Divergent-Ayra279

Nature

La voce roca e accorata del batterista del gruppo mi giunge alle orecchie attraverso gli auricolari, mascherando in parte il suono deciso degli strumenti. Sorrido, osservando dall'alto gli studenti, radunati in piccoli gruppi nel cortile della scuola. 

Questa mattina mi sono alzata con la sensazione che mi travolge di tanto in tanto fin da quando sono nata, quel bisogno di restare, anche per poco, da sola con me, magari a stretto contatto con uno dei pochi e tristi elementi naturali di Chicago.

Non sono però fuggita attraverso la città in cerca di un parco, un bosco, un campo da gioco, qualunque luogo che possa vantare la presenza di vegetazione, o di acqua pura e ghiacciata, come facevo da piccola.Ho rinunciato da tempo alla mia ricerca. Mi sono semplicemente trascinata fino a scuola, e adesso eccomi qui, durante la mezz'ora di intervallo, su quest'esile alberello che a stento regge il mio peso, in compagnia solo dei miei vestiti sporchi di terra  e di una musica proveniente da un vecchio disco ritrovato a casa di mia nonna qualche mese fa, e trasferito immediatamente in un lettore collegato a delle cuffie, grazie alle tecnologie di noi Eruditi.

Chiudo gli occhi, ispirando profondamente, e constatando ancora una volta che la poca vegetazione che punteggia Chicago non ha alcun odore.

-Ehi, Lädhe Levesque.

Spalanco subito le palpebre e tolgo gli auricolari dalle orecchie, cercando di capire a chi appartenga la voce che ha appena chiamato il mio nome. Proprio ai piedi dell'albero su cui sono salita c'è un ragazzo,  con lo sguardo rivolto verso l'alto, che mi squadra divertito.

-Chi sei?
Domando, osservandolo a mia volta.
Ha i capelli biondi troppo lunghi per un ragazzo, gli occhi verdi e la pelle abbronzata, oltre a un sorriso che sembra indelebile. Nel suo volto c'è qualcosa di familiare, che sembra appartenere alla mia quotidianità, ma non riesco a capire cosa sia.

-Sono certo che sei una di noi. Anch'io salgo sempre sugli alberi. Lo facciamo un po' tutti.
Nota, continuando a fissarmi interessato.
-Cosa vuoi da me?

-Mi chiamo Jonathan.- Comincia, accennando un piccolo inchino. -E sono qui per raccontarti una storia e farti fare una scelta.

"Sta scherzando?" Chiedo fra me e me, ma decido di lasciarlo parlare, nonostante il suono della campanella mi ricordi che dovrei essere in classe. Ma qualcosa mi dice di stare ad ascoltare, e sono abbastanza sicura che non sia la poca voglia di fare informatica.
-Credo che tu sia pazzo- Esordisco -Ma se proprio ci tieni, ti ascolto.

Jonathan inizia a percorrere con lo sguardo i rami dell'albero su cui mi trovo, prima di fare leva con un braccio sul più robusto, e, incredibilmente, raggiungermi con un balzo, muovendosi con estrema naturalezza.

Una volta sistematosi accanto a me, si volta dalla mia parte.
-Voglio parlarti di noi.- Comincia, mentre nei suoi occhi vedo accendersi una luce, e la sua espressione mi sembra ancora così tanto familiare. Fra l'altro, continuo a non capire ciò che questo ragazzo mi sta dicendo. Ha più volte detto "noi", e ancora non riesco a capire a cosa si riferisca.

-Quando a Chicago si formarono le Fazioni, sei enormi gruppi di persone tentarono di raggiungere un accordo.
Oggi, come credo tu già sappia, in città, adesso, ce ne sono cinque. Sei, se contiamo anche gli Esclusi.-

Annuisco, annotando mentalmente il primo "sei" pronunciato dal ragazzo. Jonathan fa una breve pausa, come ad assicurarsi che abbia capito. Subito dopo, riprende.

-Quando divisero Chicago nelle zone appartenenti a ciascuna Fazione, uno fra i sei gruppi non approvava la scelta di racchiudere nella sola città la vita dei cittadini.
La loro ambizione era uscire dalle barriere, esplorare il mondo fuori dalla non ancora costruita recinzione, provare a salvarlo. A farlo tornare alle origini, a quando la Terra non era altro che una meravigliosa sfera bianca, blu e verde, senza il grigio del cemento.