Seconda parte

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Ormai vivere con loro era cosa fissa. Il 6 settembre avevo compiuto tredici anni e per festeggiare Daniel e Mark mi comprarono una torta al cioccolato con uno strato centrale di panna. La mangiammo tutta a causa della fame chimica per aver fumato molte canne. Quel giorno i ragazzi mi promisero di non toccare merda e di restare tranquilli, solo noi tre, insieme. La vita con loro pareva più bella, più semplice. In realtà di bello e semplice non c'era nulla. Forse lo pensavo perché non ero ancora agli sgoccioli. Poi col passare dei mesi vidi Mark dimagrire sempre di più, era sempre più assente, sempre fatto di merda, di cocaina e soprattutto eroina. Daniel lo seguiva, ormai anche lui aveva aumentato le dosi. Volevo che smettessero di farsi ripetutamente ma loro non mi ascoltavano. Non conta più niente e nessuno quando entri in quel tunnel. Quell'anno? Mark morí e io e Daniel eravamo rimasti soli in quella casa. Finalmente avevo capito cosa intendeva dirmi tempo prima. Noi con un grande vuoto. Un grande dolore. Ora toccava anche a me rimboccarmi  le maniche per portare più soldi a casa. Il mio ragazzo era morto, io avevo tredici anni e lui aveva da poco compiuto i suoi 18. Andó via ancora un altro pezzo della mia anima. Il mio dolore, il mio odio mi stavano divorando poco a poco senza che io me ne accorgessi. "Non conta più niente. Siamo zero."

Mark mi mancava. Mi mancava da impazzire, non c'era giorno che non piangessi per lui. Pensavo a quanto fossi stata stupida per non aver provato a far nulla per aiutarlo. A quella volta che non capii le sue parole.  Di nuovo mi sentì piccola quanto un microbo in un deserto. La casa, se così si poteva considerare, era sempre di più uno schifo e io non riuscivo a guadagnare come Mark. Daniel propose di fare marchette. ''Insieme si guadagna di più'' . Io non volevo. Non volevo sentirmi sporca dentro ancora una volta. Volevo rimanesse Mark l'ultimo con il quale feci l'amore quindi optai per spacciare. ''Tu sai dove prendeva la roba, dimmelo!'' Mi disse che la prendeva da Marco, all'ultimo piano e che dovevo stare molto attenta. Mi presentai alla sua porta, mi guardò e si mise a ridere per la mia età. Sapeva cosa volevo. Mi diede qualcosina per iniziare. Mi mise alla prova e io non lo delusi. Con i giorni le dosi aumentarono e le droghe cambiarono. Spesso portavo pacchi da una parte all'altra a domicilio. I soldi li avevo per pagare, Daniel altrettanto, un po' per spaccio e un po' per marchette. Andava con tutti, maschi e femmine anche se non era bisessuale. La droga lo consumava sempre di più e io iniziai a farmi di coca. Me la fumavo soltanto. ''Solo un pochino poi smetto, giuro.'' Ma naturalmente non fu così. 

Coi soldi mi sentivo indistruttibile, ormai a scuola non ci andavo più, a casa tanto meno. Un giorno andai di nuovo al anfiteatro ma questa volta per drogarmi. Tirai la mia prima striscia, utilizzando le mie banconote. Ecco che rividi Clara, in quel momento non sapevo se fosse davvero lei o fossi solo in trip. Ricordo che mi prese e mi strinse e poi mi disse una cosa del tipo. ''Perché l'hai fatto? Non continuare ad ucciderti così'' Pensai fosse un angelo. ''Scusa Clara, perdonami per l'altra volta e anche per adesso''. ''Sono qui tranquilla''. Mi sorrise, mi prese per mano e mi portò a casa sua. Iniziai a pensare realmente che fossi in un trip pazzesco siccome la sua casa era di quelle benestanti ma anche un po' inquietanti. Aveva un grosso cancello con un semplice giardino. La struttura era come quelle delle streghe nei film americani, solo più piccola. Era fatta di legno bianco con il tetto nero a punta e le finestre giganti. Amavo già quella casa perché era qualcosa di nuovo ai miei occhi che ormai vedevano il mondo con occhi diversi. Il primo piano era pieno di bambole. Erano ovunque e anche questo era un po' inquietante. ''Ti piacciono le bambole?'' Mi chiese con tono entusiasta. ''Si Clara sono belle. Sono una collezione?''  ''Si, mia madre le crea e le vende. Non siamo ricche come puoi pensare, questo è quello che ci ha lasciate mia nonna''. ''Sono bellissime!'' Mi soffermai a guardare una bambola, sembrava ritraesse lei. ''Si quella sono io, mi ha ritratta insieme ai miei capelli blu. Se vuoi puoi prenderla, mi farebbe piacere che la tenessi tu.'' Mi sorrise e io feci un gesto positivo con la testa. Presi la bambola tra le mani, era leggera e preziosa per me. ''Desy andiamo di sopra, ti mostro la mia camera''. La seguii, la stanza era grande, tanto luminosa e spaziosa. Aveva il parquet di un legno massiccio chiaro, le pareti bianche, tranne per il lato della grande finestra a cerchio come un enorme oblò. Quel lato sul muro c'era disegnato il mare, la sua stanza era vita, mi faceva sognare. ''Clara è stupenda la tua stanza.'' Mi sorrise e mi ringraziò. Com'era bella, una dea.  Volevo restare lì, sarei rimasta un'eternità a guardare lei in quella stanza. ''Che genere di musica ascolti di solito Desy?'' ''Ascolto di tutto, dal Metal hardcore alla musica classica per addormentarmi, tu?''. ''Io amo tutti i tipi di metal, di Shock Rock o punk. Lo so forse potrei sembrarti un po' inquietante per molti aspetti'' ''Ma no, che dici? Sei ok.'' Ok? Ma che risposta insignificante ho detto? Lei con fare divertita accese lo stereo a tutto volume, facendo partire Leave a scar di Marilyn Manson, iniziandola poi a cantare. It's not like I made myself a list of new anddifferent ways to murder your heart. Quelle parole mi rimasero impresse, quella canzone mi rimase un segno dentro, in profondità, che bruciava. Mi prese per mano, ballammo e cantammo a squarciagola. Non mi divertivo così da quando ero con Denise in campagna. Quella notte dormii da lei abbracciata sul suo lettone matrimoniale. Aveva un piumone morbidissimo e bianco che mi ricordava una nuvola. Probabilmente ero in paradiso.

La mattina seguente mi risvegliai in quella stanza, come in un sogno, svegliata dalla luce del sole come il paradiso. Forse sono morta. Pensavo. Poi mi giravo verso Clara, lei bella anche mentre dorme, le accarezzai i capelli. All'improvviso i suoi occhioni felini si aprirono e il suo volto mi sorrise. ''Buongiorno Desy''. ''Buongiorno''. Scendemmo a fare colazione, la tavola era per sei persone ma noi eravamo solo in due. La madre era andata a lavoro e aveva lasciato sul tavolo una scatola con delle donuts, di quelle belle che si vedono nei film americani. Ne presi una azzurra e un'altra alla nutella e poi un bicchiere di latte fresco. Clara si limitò a mangiare mezza ciambella rosa e un bicchiere, non del tutto pieno, di latte caldo. ''Vedo che non mangi molto, perché? Sono così buone!'' ''Sono a dieta, devo dimagrire'' ''Dimagrire?'' Era già magrissima, se continuava a lungo sarebbe diventata invisibile ma questo non glielo dissi, non me la sentivo. Non la conoscevo ancora troppo bene per sapere come l'avrebbe presa. ''Devo andare a scuola, vado all'artistico, vieni?'' ''Ma non sono iscritta, come faccio?'' ''Rimani sulle gradinate del campo di pallavolo o nel parchetto, poi torniamo insieme e ti presento a mia madre a pranzo'' Ne fui entusiasta ma allo stesso tempo spaventata, cosa avrebbe pensato la madre di me? Cosa mi avrebbe chiesto? Intanto presi lo scatolo delle ciambelle e me le portai appresso nel caso sarebbe ritornata la fame. Facemmo un cammino di un quarto d'ora e parlammo d'arte. Mi chiese dei miei disegni e le promisi che nel pomeriggio glieli avrei mostrati. Non li avevo mai fatti vedere a nessuno prima. Nemmeno a Denise. 

Una volta seduta al parco iniziai a ritrarre una dea dai capelli lunghi blu e un vestito lungo e nero. Ritraevo la sua bellezza, insicura di me, di non esserne all'altezza. Intanto l'aspettai fino alla fine delle lezioni.

Appena uscí da scuola la vidi circondata da un gruppo di ragazze e ragazzi. Un bel ragazzo le stava addosso, troppo per sembrare un amico, troppo per i miei gusti. Mi irritai molto. Era alto più di lei, palestrato, biondo, occhi verdi, niente da dire sul suo aspetto, non potevo negarlo, ero gelosa. Lei mi salutó con la mano e tutti mi guardarono strano. Poi un ragazzo le chiese chi fossi, tutti parlarono male di me. "È una lesbica!" "Davvero esci con lei?" Lei sorrise e rispose in modo confuso. Non sapeva bene che dire. Si vergognava di me. Iniziai a pentirmene di essere stata lì tutto il tempo ad aspettarla. Lei se ne andó con loro e io strappai il suo ritratto. Scrissi dietro ad ogni pezzo SEI UNA STRONZA, misi tutto in una busta e la gettai nella sua buca  delle lettere.

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