Capitolo 1

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Un vento caldo sferzava l'aria pesante, il sole riluceva come una palla di fuoco, il cemento corroso dalle intemperie bruciava al tatto.
Gea lo sentì quando i suoi palmi ci si schiantarono in seguito ad un'improvvisa caduta. Le gambe non l'avevano sorretta quando le dita di Deimos le avevano lasciato il gomito con un rapido scatto.
I capelli le erano ricaduti sul viso, appiccicandosi lungo la linea del collo sudato. Teneva le labbra dischiuse per respirare affannosamente, gli occhi ben aperti per la paura, la pupilla dilatata.
Sentiva la testa vorticare come un ciclone, le tempie pulsare dolorosamente, lo stomaco contrarsi per gli spasmi. Avrebbe voluto vomitare, ma non ci riusciva. Ogni più sottile muscolo si era congelato alla nomina dei due elementi che si stavano avvicinando.
Di minuto in minuto percepiva la paura solidificarsi ed appesantirle le spalle.
Una mano forte e larga le agguantò un braccio e la costrinse a staccarsi da terra con uno strattone. Quando si rialzò in piedi, i suoi occhi ambrati offuscati di terrore vennero racchiusi entro due laghi di zaffiro ardente.
La marmorea mascella del ragazzo era contratta come una morsa, la sua espressione talmente rigida da assomigliare a quella di una statua: fredda, insensibile, impassibile.
Eppure una nota stonava in quel quadro di brutale glacialità. Una nota che più precisamente vibrava in quelle iridi blu scintillanti. I suoi occhi si muovevano lungo il viso della ragazza come una carezza non data a mano, come per imprimersi nella mente il fatto che lei fosse ancora lì.
Alzò lo sguardo oltre la sua testa con la celerità di un puma, incagliandolo su una macchina poco distante.
Strinse l'avambraccio di Gea e la trascinò con sé mentre si recava al suo obiettivo, il passo sostenuto di una marcia militare. Teletrasportò entrambi dentro l'abitacolo, lanciò il lenzuolo che conteneva alcuni viveri nei sedili posteriori ed allungò le mani sotto al volante per armeggiare coi cavi.
Secondo dopo secondo, la paura della giovane si diffondeva come un manto di nebbia all'interno dell'auto. Deimos ne percepì il sapore acre, quasi di bruciato, sulla punta della lingua.
Il motore si avviò con un ruggito ascendente, incombendo sul pressante silenzio.
Il ragazzo impugnò il volante, immise la retromarcia e successivamente schiacciò sull'acceleratore.
Gea osservò con nostalgia l'insegna sudicia e pericolante del pub dove aveva seguito Deimos una sera. Le sembrava che fosse trascorsa un'infinità di tempo da quel giorno.
Ogni ricordo di quel momento le ripassò nella mente come una diapositiva, facendole pizzicare il naso ed inumidire le grandi gemme ambrate.
Dischiuse le labbra per emettere un leggero sospiro spezzato, mentre le case, le strade, gli alberi e le persone sfrecciavano oltre il finestrino. Ed in quel momento le parve che ogni cosa che perdeva di vista le stesse anche sfuggendo di mano.
Il cuore le si strinse dal dolore.
Mai come in quella circostanza si rese conto che in quel posto non avrebbe messo più piede, che la sua vita, proprio come quella macchina, stava sfrecciando ancora una volta oltre per non tornare più indietro.



                                                                      *  *  *



Le distese di roccia confinanti con l'autostrada si stendevano per miglia. Il sole le baciava con i tiepidi raggi serali sullo sfondo di un cielo arancione screziato di sfumature vermiglie.
L'arida terra rifletteva quei colori caldi sul proprio suolo, mentre la brezza mite faceva agitare gli arbusti rinsecchiti che coesistevano con l'ambiente brullo.
Gli occhi di Gea seguivano distrattamente quello scenario dal finestrino. La sua mente era un groviglio di pensieri, timori, supposizioni e dubbi che s'intersecavano tra loro generando labirinti bui.
Ogni riflessione la faceva svoltare in un nuovo cunicolo cieco, colmo di punti interrogativi per i quali non possedeva risposte certe, se non speranzose congetture.
Aveva talmente tanta paura da non riuscire a muovere un solo muscolo.
Da quando erano partiti, due ore prima, non si era ancora mossa dalla prima posizione assunta. Le gambe le dolevano per quella rigidità forzata, così come le braccia, il collo, la schiena. Il suo respiro era leggero e calcolato, come se temesse che facendo troppo rumore uno degli elementi avrebbe potuto avvistarla.
Un pensiero, fulmineo come una lepre, le corse ai genitori. Avrebbe desiderato sentirsi sussurrare nell'orecchio che andava tutto bene, che loro erano al suo fianco e che non l'avrebbero mai abbandonata. E così si immaginò stretta nell'abbraccio di sua madre e suo padre, un abbraccio tanto caloroso quanto protettivo che non aveva mai ricevuto, ma che aveva sempre agognato.
Ricordò quelle poche volte che sua mamma le aveva accarezzato i capelli con il cuore stretto in una trappola malinconica.
Erano ricordi che custodiva come scrigni preziosi all'interno della sua memoria, che la confortavano nei momenti più tetri e solitari.
Ma, malgrado tutto, sapeva di non essere sola.
Voltò lentamente la testa e risalì con lo sguardo fino al profilo severo di Deimos, i cui spietati occhi erano incastonati sulla strada. 
Il braccio con cui stringeva il volante era teso ed immobile, i muscoli allungati e sodi come le forme scolpite in una statua di marmo.
I capelli neri erano smossi dal filo d'aria che penetrava dal finestrino leggermente abbassato. Le ciglia scure quanto il petrolio incorniciavano due zaffiri impenetrabili.
Il cuore della ragazza incrementò la rapidità dei battiti.
Si schiarì piano la voce e raschiò la gola con un leggero colpo di tosse. Persino le corde vocali le si erano pietrificate. << Perché non ci teletrasportiamo subito? >> chiese con una profonda nota d'ansia.
Deimos tacque per dei secondi, poi diede un colpo secco al cambio e superò una macchina. << Devi far sparire la tua traccia progressivamente. Quando saremo abbastanza lontani ci teletrasporteremo altrove. A quel punto saranno disorientati e ricominceranno a darti la caccia. >>
Quelle ultime parole fecero scendere dei brividi sia sulla fronte che sulla schiena della ragazza. << Che cosa ci ricavo io? >>
<< Tempo >> rispose secco Deimos.
Gea osservò la linea marcata e ferrea della sua mascella, dopodiché corrugò la fronte ed assottigliò lo sguardo. << Non hai risposto alla prima domanda >> constatò con sospetto.
<< L'ho fatto >> replicò lui, mantenendo la sua espressione granitica.
La ragazza rimase in silenzio, gli occhi incastonati sul giovane.
C'era qualcosa che le aveva omesso volontariamente, in qualche strano e confuso modo lei lo percepiva.
Qualcosa che aveva a che fare coi due elementi.
Eppure, se le aveva confessato di non averli mai visti cosa poteva conoscere sul loro conto che già non le avesse riferito?
Sgranò impercettibilmente gli occhi mentre un presentimento si faceva largo nella sua mente. << Loro non sanno di te >> mormorò.
Lo sguardo di Deimos rimase immutato. << Sanno che esisto. Ogni elemento è a conoscenza della mia esistenza, anche se il mio potere non è percepibile. >>
<< E come fanno a sapere della tua esistenza? >> domandò la ragazza, corrugando la fronte.
Il giovane spostò gli occhi dal cemento scuro e li puntò su di lei, le sopracciglia sollevate. << Tu come fai a sapere che nell'aria è presente ossigeno se non puoi vederlo? >> Cambiò la mano con cui impugnava il volante in contemporanea al movimento dei suoi zaffiri sulla strada. << Ogni elemento viene a conoscenza di me istintivamente. Di solito succede dopo che la trasformazione si è stabilizzata >> spiegò con tono autoritario.
Gea allungò le gambe, avvertendo un istantaneo sollievo alle articolazioni. Immise le mani tra le cosce ed abbassò la testa per osservarle, assorta nei pensieri. << Se il tuo potere non è percepibile, loro non sanno che sei con me >> constatò riflessiva. << E a rigor di logica non sanno neanche che il tuo secondo potere è il teletrasporto, giusto? >> Alzò il capo e rivolse lo sguardo su Deimos.
Sentiva di essere estremamente vicina al reale motivo, quello che vigeva sotto tutto il resto, per il quale lui non voleva che scomparissero da quel posto immediatamente.
Il ragazzo rimase taciturno per una decina di secondi. << Non lo sanno >> ammise infine, sollevando il mento.
Un piccolo sorriso si fece spazio sulle labbra di Gea. << Quindi se noi scomparissimo all'improvviso loro sospetterebbero che ho un potere in più rispetto a quello derivante dal mio elemento. E con molte probabilità mi darebbero subito la caccia, mettendo a soqquadro ogni stato per rintracciarmi >> ipotizzò, un sopracciglio sollevato in una muta sfida.
La mascella del ragazzo si contrasse, le sue dita si strinsero con più vigore attorno alla pelle nera del volante.
<< Invece se il mio potere svanisse progressivamente fino a scomparire del tutto, loro non sospetterebbero nulla. In questo modo, dopo esserci teletrasportati, avrei più tempo per allenarmi. >> Il sorriso di Gea si estese. << È questo il reale motivo per cui non vuoi che ci dileguiamo subito. Temi che potrei diventare un bocconcino ancora più appetibile per quei due. >>
<< M'importa solo del tuo elemento >> ribatté spiccio lui, il tono brusco e distaccato.
La giovane continuò ad osservarlo senza perdere il sorriso. Sapeva che stava mentendo, lo aveva intuito dalla sfumatura rabbiosa presente nella sua voce. Ormai aveva imparato a riconoscere la tonalità che assumeva quando si sentiva messo con le spalle al muro dalla verità.
Con un leggero sospiro, deviò lo sguardo sulla lunga distesa di terra rocciosa fuori dal finestrino. Il sole sembrava renderla infuocata, una sorta di brace ardente priva di fiamme. Le ombre delle montagne si allungavano come arti protettivi sul suolo arido, abbracciando sassi e cespugli spinosi.
<< Dove siamo diretti? >> chiese a bassa voce.
Da quando si erano messi in marcia, non aveva prestato molta attenzione ai cartelli lungo la strada. Non aveva la più pallida idea di dove si trovassero.
<< Dubois, Wyoming. >> Il tono basso e profondo del giovane la fece voltare.
Ne sapeva quanto prima. Non aveva mai sentito pronunciare quella città prima di allora.
<< Dov'è di preciso? E quanto ci metteremo a raggiungerlo? >>
<< È al confine con l'Idaho. Ci vorranno quasi quattro ore per arrivarci. >>
Gea lasciò andare la nuca contro il sedile e sospirò stancamente. Sebbene la notizia di passare altre quattro ore seduta non la entusiasmasse, preferiva di gran lunga sopportare quella piccola pena che trovarsi ancora vicina ad acqua e fuoco.
La paura che le spuntassero alle spalle da un momento all'altro le faceva bloccare il respiro in gola. Più miglia avesse messo tra lei e quei due, più si sarebbe sentita tranquilla, ma non al sicuro. Quello era un privilegio di cui non godeva più.



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