Capitolo 3

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Quando Gea sollevò pesantemente le palpebre si rese conto che la sua schiena poggiava contro il tiepido sedile, e non contro un torace caldo.
Fece leva sui palmi delle mani ed esplorò con lo sguardo oltre i finestrini.
Il sole illuminava con premura ogni stelo d'erba, i quali risplendevano come punte di smeraldo su un letto di morbido velluto. Gli alberi tutt'attorno imprigionavano la luce nelle loro foglie, permettendo solo a pochi raggi di oltrepassare la cortina di fronde per accarezzare il suolo come le scarpette di una ballerina.
Un piacevole dolore le strizzò la bocca dello stomaco, per poi discendere nella pancia. D'istinto si coprì l'intricato cerchio attorno all'ombelico. Le sembrò di sentirlo caldo, quasi pulsante come il disperato bisogno di uscire dal veicolo che le stava pian piano montando dentro.
Spalancò lo sportello in un gesto impetuoso, desiderosa di togliersi i calzini e toccare coi piedi quella morbida erba che le pareva di udir sussurrare.
Appena le sue dita entrarono in contatto col suolo, una vibrante scarica di sollievo le inondò il corpo, facendole spuntare un sorriso estasiato.
E così prese ad avanzare. Passo dopo passo, quasi librandosi tra gli steli d'erba che ogni tanto si abbassava a sfiorare con i polpastrelli, seguendo un tragitto tracciato dall'istinto.
Il cuore le batteva più forte ad ogni metro percorso, mentre l'impellenza di raggiungere la meta le faceva accelerare l'andatura.
S'immise tra gli alberi, superò le loro solide radici prestando attenzione a non schiacciarle con violenza, deviò più volte, accarezzò ogni tronco percependo lo scorrere della linfa vitale al loro interno. Gli occhi ambrati le saettavano da una parte all'altra con frenesia, l'urgenza nel fiato corto, il motivo attorno al suo ombelico che bruciava come un tizzone estratto dal fuoco.
E poi lo vide. Il suo istinto lo riconobbe prima della vista.
Divorò i pochi passi che li separavano, incespicando su un ramo sepolto nel terreno umido del bosco.
Il cuore le tamburellava con risoluta tenacia, le narici le si dilatarono mentre inspirava a pieni polmoni l'odore di terra fresca e corteccia. Il suo olfatto riconobbe una nota dolce in quel profumo che le risvegliava i sensi: un lieve sentore di pesca.
Le sue pupille si spalancarono mentre, un piede in successione all'altro, distendeva un braccio in direzione del tronco.
Alzò lo sguardo sulle sue fronde. I raggi di sole parevano brillare attorno ad una piccola gemma dischiusa, i cui fragili petali viravano dal bianco al rosa pallido.
Gea chiuse gli occhi nel momento in cui i suoi polpastrelli lambirono la corteccia calda dell'albero. E così non vide la potente luce che si sprigionò da quel lieve tocco, ma la sentì scivolare attraverso il braccio e propagarsi nel corpo, snodarsi ed aumentare d'intensità mentre si attaccava alle sue particelle, mentre si concentrava attorno al suo ombelico.
Ne voleva ancora. Ne aveva bisogno. Eppure, di secondo in secondo, il dolore cresceva. Lo stomaco le si contorceva come per l'effetto di un pugno, le tempie le pulsavano come martelli pneumatici, il fiato le si strozzava in gola provocandole un bruciore lungo la trachea.
<< Togli la mano. >> Udì dire da un tono inflessibile e familiare. << Adesso. >>
Riaprì gli occhi di colpo. La luce bianca le inondò la vista, ma la mano non ne voleva sapere di staccarsi. Ne era calamitata. E la sua mente era talmente annebbiata da non riuscire a ragionare, da non riuscire a capire cosa fare e perché. Sentiva solo quell'energia dolorosa e galvanizzante confluire nel corpo con crescente potenza, quasi rendendola sorda al resto.
<< Stacca la mano. >> Sentì ripetere a voce più alta, stavolta con una nota nervosa a screziarla.
Gea si piegò su se stessa, emettendo un lamento strozzato di dolore tra i denti. Le ginocchia le cedettero sotto il peso di quell'energia che continuava ad entrare nel suo corpo.
<< Togli la mano, Gea! >> Quel grido perentorio, pervaso di rabbia ed urgenza, le fracassò i timpani.
Il suo cuore incrementò ulteriormente la velocità, rimbombandole persino sotto i piedi. E quel nuovo impulso aprì uno spiraglio nella fitta nebbia della sua mente, le smosse delle emozioni più forti di quell'energia che le piegava le gambe.
Staccò le dita dal tronco.
La luce si dissolse come un elastico che smette di essere tirato verso il suo estremo.
Gea rimase inginocchiata a terra, il petto che si alzava rapido per incamerare ossigeno, le palpebre pesanti, la gola in fiamme, lo stomaco accartocciato dal dolore, le linee che circondavano l'ombelico brucianti.
Udì dei passi farsi più vicini, finché con la coda dell'occhio non vide due anfibi neri sporchi di terriccio.
<< Come hai fatto? >> le chiese Deimos, la voce più dura del solito.
<< Cosa? >> tossì lei.
<< Questo è un punto alfa. Ogni elemento ne dispone di uno soltanto, ed il tuo si trova a miglia da qui. >> Il ragazzo si accovacciò sui talloni e la trapassò col suo freddo sguardo. << Come hai fatto a generarne un altro? >>
Gea inclinò il capo per guardarlo, il collo che doleva ad ogni movimento. << Non lo so >> mormorò rauca.
Deimos restò a fissarla per una decina di secondi, immobile come una statua ed in tensione come un cavo dell'alta corrente. << Alzati >> ordinò infine, eseguendo lui stesso quel comando.
La giovane scosse piano il capo. Sapeva che non sarebbe riuscita a muovere un solo muscolo senza ricadere a terra. Le spalle già le tremavano per lo sforzo di sorreggersi.
<< Se credi che ti porterò sulla schiena, ti sbagli >> l'avvertì severo lui, incrociando le braccia sul petto. La osservò ancora, gli zaffiri che di secondo in secondo s'incendiavano di rabbia, la mascella marmorea. << Hai intenzione di rimanere lì tutto il giorno? >> ringhiò.
<< Sto... male >> mugolò Gea.
Deimos si mosse irrequieto, i nervi rigidi che si flettevano ad ogni chiusura a pugno delle mani. << Razza d'idiota >> sputò tra i denti, mentre si caricava sulla schiena la ragazza.
Quest'ultima abbandonò la testa sulla sua spalla e chiuse le palpebre, troppo stanca per qualsiasi sforzo.
Il freddo s'insinuò tra le sue ossa come un serpente strisciante, e così si strinse a Deimos quel poco che ancora le consentivano le forze.
<< Tieni gli occhi aperti >> abbaiò lui, strattonandole un braccio per tenerla sveglia.
Gea sollevò appena le palpebre, infastidita. << Voglio dormire. >>
<< Non adesso. >>
<< E quando? >>
<< Mai. >>
La giovane corrugò la fronte. << Io non ti capisco. >> Riabbassò il capo sulla sua spalla e richiuse gli occhi. Emise un flebile sospiro che le scosse il corpo di tremiti.
<< Continua a parlare >> la esortò secco lui.
Un mugugno incomprensibile sviò dalle labbra di Gea. Le doleva troppo la gola per riuscire ad articolare un discorso, e la mente era appannata da immagini, pensieri sconnessi, lontani echi, patimento.
Il ragazzo digrignò un'imprecazione e teletrasportò entrambi alla macchina, troppo furioso per perdere altro tempo a camminare.
Adagiò bruscamente Gea sul sedile del passeggero e si precipitò a cercare una bottiglietta d'acqua nell'ammasso di scarti sui tappetini posteriori.
Ne acciuffò una, quasi stritolandola nella mano, la stappò e gettò tutto il suo contenuto in faccia alla ragazza.
Gea sobbalzò lentamente, aprendo di poco gli occhi con fare sonnolento. Non ebbe neanche la forza di asciugarsi le gocce che le scendevano dal naso, dalle labbra, lungo il viso e giù per il collo.
Deimos le si parò davanti, porgendole un braccio in modo sbrigativo. << Dammi delle scosse. >> Vedendo che la ragazza lo guardava confusa, abbassò la testa per portarla più vicina alla sua. << Muoviti >> aggiunse a denti stretti.
<< Perché? Ti farò... male >> biascicò lei, scuotendo pianissimo il capo.
<< Sbrigati >> sibilò intimidatorio, trafiggendola con un'occhiata dura.
Si osservarono per qualche altro secondo, poi Gea appoggiò una mano sull'avambraccio del giovane e si concentrò sul richiamare una scossa elettrica di debole intensità. Ciò che ne scaturì, però, andò contro la sua volontà e le sue previsioni nebulose.
Si dipanò una scintilla scoppiettante che ebbe sfogo con una scossa brutale.
Deimos strinse la mascella e dilatò appena gli occhi, trattenne il fiato e lo rilasciò in un lungo sospiro dal naso.
<< Io... non volevo >> balbettò Gea, bianca come un lenzuolo per l'orrore di avergli procurato dolore.
<< Rifallo. >>
<< Cosa? >> Gli occhi per poco non le scapparono dalle orbite. << No, no non voglio. Non riesco a controllarmi. Potrei ucciderti >> disse allarmata. Si prese la testa tra le mani e guardò per terra, gli occhi spauriti. << Non riesco a controllarmi >> espirò in un sussurro. Dopo la scossa inferta al ragazzo, la mente le si stava dipanando dall'umida ragnatela che prima tratteneva il caos impedendole di ragionare.
Deimos le afferrò un polso e lo strinse forte, così da farle alzare gli occhi su di lui. << Dammene un'altra. Solo una ancora >> la incitò, gli zaffiri decisi, i muscoli rigidi. << Ma che sia violenta. >>
<< Perché vuoi che ti faccia questo? >> gli chiese a voce bassa.
<< Non ti ho detto di fare domande. Ti ho detto di darmi una scossa. >>
Gea non staccò gli occhi dai suoi irrequieti. << Prima rispondi. >>
Per una manciata di secondi lui si limitò a scrutare le sue familiari gemme ambrate, poi le agguantò una mano e se la collocò sull'avambraccio senza tante cerimonie. << Hai assorbito troppa energia, il tuo corpo non è in grado di contenerla senza danneggiare i muscoli e gli apparati vitali. Devi liberartene prima che il cuore smetta di battere per il sovraccarico. >> Digrignò i denti dalla rabbia. << Solo un idiota rischierebbe di uccidersi con le proprie mani mentre fa di tutto per non farsi ammazzare. >>
Quando il cuore della ragazza iniziò a battere forte, quest'ultima pensò che il sovraccarico fosse alle porte. Ma non per l'energia assorbita, bensì per ciò che lui era disposto a sopportare per salvarle la vita.
<< Potrei ucciderti >> ripeté con tono basso, stringendo la presa sul suo avambraccio.
Deimos alzò di scatto gli occhi nei suoi. << Muoviti. >>
Con un sospiro pieno di tensione, il palmo sudato e la mente invasa di paura, Gea si concentrò di nuovo sul produrre una scarica di bassa intensità. Ma, come prima, il risultato fu l'opposto.
Il respiro di Deimos si spezzò e poi divenne tremulo, gli occhi chiusi per controllare meglio il dolore. Non emise un lamento, niente che potesse rendere esplicita la sua sofferenza.
In realtà l'arto sottoposto a quella tortura aveva preso a formicolargli come se miliardi di sottili aghi gli stessero bucando la carne, lo spasimo non si interrompeva o decresceva neanche per un attimo.
La ragazza ritrasse di scatto la mano. << Mi dispiace >> si disperò, il raccapriccio per ciò che aveva fatto nella lucidità delle sue gemme. << Mi dispiace. >>
<< Nel tuo corpo circola ancora troppa energia >> asserì Deimos, tenendo il braccio destro, quello usato per sfogare la corrente, steso mollemente lungo il fianco.
Gea concentrò l'attenzione proprio su quel particolare. << Muovilo >> disse alzando gli occhi su quelli di lui. << Muovi il braccio >> specificò deglutendo lava bollente.
La paura di ciò che immaginava fosse successo le imperlò la fronte di sudore.
<< Vestiti, ci teletrasportiamo >> tagliò corto lui, staccandosi dallo sportello per fare il giro della macchina.
Gea scese dal sedile con un balzo, raccattò i pantaloncini, i calzini e le scarpe e se li infilò in fretta prima di raggiungerlo.
<< Perché non lo muovi? >> gli domandò in ansia, osservandolo di spalle. << Ti fa male? Dimmi qualcos... >>
<< Dobbiamo andare >> la interruppe, voltandosi per acciuffarle un polso con la mano sinistra.
La ragazza si scansò in preda alla rabbia e scosse la testa con violenza. << Alza il braccio! >> gridò esasperata, una stretta faglia si aprì vicino ai suoi piedi. << Smettila di sviare il discorso! >> Le fronde degli alberi ulularono, i loro rami si scontrarono generando degli schiocchi simili a spade di legno che si sferravano fendenti.
Il blu profondo degli occhi di Deimos si fece talmente freddo da apparire trasparente come una lamina di ghiaccio. << Tra poco potrò muoverlo. Adesso no >> rispose tagliente.
Le pozze ambrate di Gea si sgranarono per il colpo causato dalla consapevolezza di essere lei l'artefice di quella sofferenza.
La terra iniziò a tremare come le sue spalle, ed i ciuffi d'erba si appiattirono sul suolo in una posa piena di vergogna.
Odiava il solo pensiero di potergli fare del male, e vedere con i suoi occhi cos'era riuscita a infliggergli la devastava. Tutto perché non era stata capace di staccare la mano dal suo punto alfa, tutto perché era stata avida, perché aveva pensato a se stessa invece che a lui, quando lui non ci aveva pensato due volte a mettere lei al primo posto.
<< Andiamo >> le ordinò spazientito, allungando di nuovo il braccio sinistro.
Gea si ritrasse in tutta fretta, impaurita del contatto. << Non mi toccare. I miei poteri sono fuori controllo, non voglio farti male. >> Il terrore di non riuscire a gestirsi e di rappresentare una minaccia per la vita di chiunque si trovasse nei paraggi, le strozzò la gola.
Si guardò intorno col fiato grosso e lo sguardo allucinato. Si rese conto solo in quel momento che la macchina era scossa dalle onde sismiche che si irradiavano da lei, che i rami degli alberi si contorcevano senza spezzarsi come rampicanti sul soffitto del cielo, che i cespugli sbattevano le foglie da una parte all'altra come fruste, che i sassi saltavano su un terreno a tratti percorso da scariche elettriche. E poi i movimenti di tutto il mondo si interrompevano, riprendevano l'attimo successivo, poi il tempo si congelava ancora, ripartiva.
<< Mio Dio >> sussurrò Gea, le labbra tremolanti. << Che mi sta succedendo? Non... non riesco a fermarlo. Non so... >>
<< Finiscila con questi piagnistei >> la interruppe bruscamente Deimos, muovendo un passo deciso nella sua direzione. << Non vedi che più ti agiti più peggiora la situazione? Usa il cervello, controlla la mente, non i poteri >> la spronò col tono di un sergente, gli zaffiri incastonati nei suoi occhi spalancati.
E poi, di colpo, il ragazzo si voltò a trafiggere un'ombra apparsa dietro la vettura. Ne avvertì il potere con minore nitidezza, essendo che quello della giovane davanti a sé era così fuori controllo da ottenebrare la sua percezione.
<< Che ci fai qui? >> chiese, l'inflessione scortese nella voce. Gli seccava quell'intromissione e ci teneva a renderlo palese.
La testa di Ninlil sbucò davanti alle turbinose pozze d'ambra di Gea, che trattenne il respiro per il timore di poterle fare involontariamente del male.
<< Ho sentito il suo potere. È talmente forte che non mi ci è voluto nulla a localizzarla da chilometri di distanza >> rispose al ragazzo. << Che cosa sta succedendo? Si riesce a stare a malapena in piedi >> aggiunse guardandosi attorno con circospezione. Infine piantò lo sguardo su Gea. La scrutò minuziosamente, inclinando la testa di lato. Alcuni ciuffi corti e castani le ricaddero sugli occhi grigio scuro, stretti a fessura per lo sforzo di capire.
Deimos sputò un'altra imprecazione e scagliò tutta la sua attenzione sulla giovane dai lunghi capelli dorati. << Dobbiamo andare. Finiremo per attirare gli altri due elementi. >> Le afferrò un lembo della maglietta e lo strinse nel pugno, per poi avvicinarla piano senza toglierle gli zaffiri di dosso. Gea alzò il capo e annuì, le labbra dischiuse per lo sforzo d'incamerare ossigeno, la fronte madida di sudore.
Ninlil si rizzò dritta, sull'attenti, con ampie falcate divorò i metri che la separavano dai due ragazzi. << Vengo con voi >> affermò appoggiando la mano sulla spalla di Deimos.
Il ragazzo le lanciò solo un'occhiata fredda, poi scomparvero.



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