Capitolo 5

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Gea osservò fuori dal finestrino con circospezione. Si sporse in avanti con la schiena, il respiro lento e i muscoli in allerta.
Era notte fonda, una notte calma e mite. Eppure le sembrava di aver sentito qualcosa muoversi là fuori. Come i passi di qualcuno.
Il cuore le stava scavando la cassa toracica per quanto batteva forte, le dita erano fredde come il ghiaccio.
Un silenzioso alito le sfuggì dalle labbra, eppure riuscì a riempire l'abitacolo in modo assordante.
Aveva il terrore di distogliere gli occhi dall'oscurità anche solo per un istante.
Avrebbe voluto allungare una mano per chiamare Deimos, ma la paura le impediva di usare un qualsiasi muscolo. E così fece rapidamente scattare lo sguardo sul ragazzo di fianco a lei senza voltare la testa.
Il sedile era vuoto. Deimos non c'era.
Il sangue le si gelò nelle vene e gli occhi le si sbarrarono come fanali, ma non per la scoperta dell'assenza del giovane. Non ne ebbe il tempo.
Udì le sicure della macchina scattare e bloccarla dentro. Ed intanto dell'acqua saliva dal tappetino sporco sotto le sue suole. Saliva in fretta, divorando centimetri dopo centimetri come se non vedesse l'ora di ingoiarla.
Il respiro le uscì spezzato. Immediatamente tirò le gambe sul sedile e cercò di aprire la portiera, le mani tremolanti e lo sguardo fuori di sé.
E poi arrivò una luce fulminea, tanto improvvisa da costringere il suo istinto a chiuderle gli occhi per lo shock.
Quando li riaprì trovò un muro di fuoco ad avvolgere la macchina.
I battiti del cuore le si accavallarono per l'elevata frequenza.
Non riusciva a pensare, solo a guardarsi attorno con folle panico.
Le fiamme viravano dal rosso al blu, si dimenavano come fossero state vive e bramose di riceverla tra le loro lingue ardenti.
Gea gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Calciò come una furia contro lo sportello della vettura per aprirlo. Picchiò sfrenatamente contro il finestrino, urlando e piangendo, e quando abbassò le braccia i suoi polmoni si svuotarono tutto d'un fiato.
I suoi occhi erano dritti in quelli del suo carnefice.
Ed il cuore le smise di battere, la testa cessò di pensare, le braccia le cedettero come se fino a quel momento fossero state attaccate a dei fili.
Quegli occhi erano sorridenti e spietati, ma di un castano caldo, ambrati. Tanto familiari da farle l'effetto di un pugno nello stomaco.
Perché quelli, quelli che le stavano restituendo lo sguardo, lei li conosceva bene.
Erano i suoi occhi.



                                                                    *  *  *



Gea si issò di scatto con la schiena, lo sguardo acceso di paura lanciato verso il buio oltre il tergicristallo.
Con lentezza misurata scandagliò il paesaggio, le labbra semiaperte e secche.
Ricordò il fuoco, le fiamme che divoravano l'auto come fiere pazze di fame. Subito dopo il respiro le si accorciò, abbassò il capo sul tappetino sotto i suoi piedi con spasmodica celerità.
Era asciutto, non c'era acqua.
Il cuore le batteva come un tamburo, sentiva tutti i sensi in allerta, tesi come soldati in un conflitto a fuoco. Così espirò pesantemente dalla bocca e si passò le dita sudate fra i capelli per rilassarsi.
Si era trattato di un incubo, soltanto di un incubo. Niente di cui preoccuparsi veramente.
Per un po' si soffermò ad osservare l'orizzonte che si schiariva velocemente, sfumando il cielo di tonalità calde.
Sospirò di nuovo, rassicurata dalla luce che le permetteva di avere controllo sull'ambiente circostante. Odiava sentirsi prigioniera dell'oscurità, come se quella le si potesse chiudere addosso e soffocarla.
Ed in quel momento, col cuore ancora in tumulto, era proprio in quel modo che si sentiva: soffocata.
Balzò fuori dall'auto, si appoggiò con la schiena allo sportello e chiuse gli occhi mentre incamerava l'aria pulita e fresca dell'alba.
Aveva i nervi a pezzi, era sicuramente per quel motivo che aveva avuto quell'incubo.
Era stressata, stanca, costantemente in ansia che acqua e fuoco la raggiungessero e preoccupata per i suoi genitori e le sue amiche.
Quando ripensava alle persone che si era lasciata alle spalle percepiva un peso gravarle sullo stomaco. I suoi genitori avevano forse avvertito le autorità? E le sue amiche, George? Che cosa stavano pensando?
Avrebbe voluto così tanto raggiungerli, almeno i suoi genitori. E magari abbracciarli, far vedere loro che stava bene, che... non era un'incapace.
Le lacrime le salirono agli occhi. Voleva i suoi genitori, voleva vederli anche solo per un minuto, un istante.
In quel momento ne sentiva la necessità in maniera viscerale, soprattutto quando i suoi pensieri si spostavano su acqua e fuoco.
<< Che stai facendo? >>
La voce ruvida e familiare di Deimos aggiunse un battito al suo cuore.
Sollevò le palpebre ed incontrò lo sguardo freddo e circospetto del ragazzo, in piedi poco distante da lei.
<< Dov'eri? >> gli chiese col tono soffocato dalle lacrime trattenute.
Lui mosse dei passi avanti, la testa leggermente inclinata e gli zaffiri incastonati sul suo viso a coglierne i dettagli.
Dalla posa rigida e dai lineamenti tesi, si rese subito conto che qualcosa la turbava.
La ragazza si accorse di quell'indagine sul suo volto, così abbassò il capo e frugò con lo sguardo per terra. << Si sta facendo tardi. Dovremmo and... >> La voce le si ruppe sull'ultima parola, correlata al pensiero di doversi ancora allontanare dai suoi genitori.
Si morse forte un labbro e tentò di ricacciare le emozioni all'interno del suo cuore. C'era solo un problema: non ne era mai stata in grado.
E mentre i fili d'erba danzavano sui suoi sentimenti come ballerini, Gea guardò di sottecchi il ragazzo. Lo trovò immobile, ancorato a lei con quel paio di zaffiri foschi e rigidi che conosceva bene. Ma non se ne sentì giudicata, paradossalmente si sentì libera di mostrargli se stessa.
E così marciò dritta tra le sue braccia, il labbro che tremava e le lacrime che sgorgavano copiose sul suo viso.
Nell'impatto del suo corpo contro quello del giovane, il cuore di quest'ultimo ebbe un guizzo d'inaspettata sorpresa. Così come i suoi occhi, che per un istante si dilatarono sfuggendo al severo controllo delle emozioni.
Gea gli avvolse le braccia attorno al bacino e nascose la faccia tra le pieghe della sua maglietta. La sentì profumare di caffè, un profumo che fino alla sera prima non aveva addosso e che le rivelava dove fosse stato all'alba.
<< Che stai facendo? >> le domandò duro, osservandole la testa.
Gli dava fastidio quella vicinanza, ma non per la ragazza, bensì per un dilemma tanto stupido quanto umano. Non sapeva dove mettere le mani.
Il pensiero di abbracciarla lo nauseava, non avrebbe mai compiuto un gesto tanto compassionevole e ridicolo. E così se ne stava con le braccia severamente stese lungo i fianchi, i pugni rigidi e la mascella contratta.
Detestava quelle manifestazioni umane, ma ancora di più detestava quella sensazione di dubbio che aveva iniziato a provare in presenza della ragazza. Non si era mai sentito in quel modo, impreparato ad una qualche azione. Aveva sempre saputo cosa fare e come farlo, invece ogni volta quella ragazza dai grandi occhi ambrati rimescolava le carte in tavola e lo confondeva.
<< Voglio i miei genitori >> bisbigliò lei, tirando su col naso.
Per un istante la fronte di Deimos si aggrottò per l'inaspettata dichiarazione, poi, mentre ripercorreva i ricordi, le sue labbra si stesero in un mezzo sorriso di spregio. << Vuoi chi ti reputa incapace? O sei stupida o sei masochista. >>
Gea sgranò gli occhi e si distanziò dal corpo di lui per inchiodarlo con lo sguardo. << Te lo ricordi. >>
Si ricordava delle sue parole, della sua confessione durante il loro primo momento intimo. Si ricordava, lui ricordava, aveva dato importanza a ciò che gli aveva rivelato.
Quella consapevolezza le fece tamburellare il cuore e imporporare le guance.
L'aveva ascoltata. Ascoltata davvero.
In quel momento si accorse che i loro occhi erano rimasti allacciati proprio come quella prima volta insieme. E subito sentì le gambe molli e lo stomaco infestato da aironi che agitavano lesti le ali.
<< Devo vederli, ne ho bisogno >> gli disse con tono vellutato. << Per favore, devono sapere che sto bene. >> 
<< No >> le rispose intransigente. << Mi servi viva, dei tuoi genitori e di quel che pensano non so che farmene. Sono perdite di tempo inutili per entrambi. >> I suoi zaffiri si fecero più duri. << Impara a pensare di più a te stessa. >>
Gea tirò indietro la testa e dischiuse le labbra mentre incassava il colpo.
Il cuore le stava pompando tanto forte da stordirla. Era doloroso ricordare che per i suoi genitori non era in grado di fare molto, se non nulla. Ma in quel dolore, per la prima volta, si mischiava qualcosa di diverso, di bello.
Non si sentiva sola, l'unica a dover contrastare quella definizione che da sempre le stigmatizzava la vita.
Per la prima volta aveva il sentore che qualcuno, la persona che avrebbe voluto più di tutte con sé, fosse al suo fianco. A difenderla.
Era solo una sensazione, ma bastava per renderle più sopportabile tutto.
Gea abbassò il capo ed allungò un braccio verso il ragazzo per cingergli con delicatezza un polso.
Deimos non le staccò gli zaffiri di dosso neanche per un attimo, stese persino lo sguardo sulle loro mani vicine senza provare ad allontanarle.
<< Ho bisogno di vederli >> ripeté piano lei. << Almeno una volta prima che acqua e fuoco... >> Deglutì per ricacciare un bolo d'ansia; le immagini del suo incubo le rabbuiarono gli occhi. << Prima che mi trovino. >>
Il giovane restò per un po' in silenzio ad indagarle il volto, poi si piegò lento su di lei, le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio. Gea avvertì il suo respiro caldo sfiorarle la linea del collo.
<< Scordatelo >> scandì lui serio, e subito dopo, con un movimento secco, ritrasse il polso.
Lo stomaco di Gea si strinse in una morsa d'afflizione. Gli occhi le si velarono nuovamente, quando alzò il capo delle lacrime le stavano già scavando le guance.
Deimos deviò la propria visuale con un senso di fastidio crescente, le mandibole sigillate come maglie di una catena.
<< So che si tratta di una mossa azzardata, ma io devo vederli. Perché... >> Si morse un labbro ed appoggiò un pugno sul petto del ragazzo. << Perché ho paura, va bene? Ho una paura folle di non vederli mai più e di dimenticarmi i loro volti. Mi hanno fatto male, tanto male, ma... >> Scosse la testa e si strinse nelle spalle con un piccolo sorriso. << Ma io li amo, sono i miei genitori. E per loro riuscirei a rischiare la mia vita con una mossa incauta. Perciò ti prego, permettimi di vederli. Anche solo per un istante. >>
Deimos piombò rapidamente con gli zaffiri cupi su di lei.
Non la capiva. Come poteva rischiare tanto per chi le aveva segnato negativamente la vita? Perché lo faceva?
Per lui era inconcepibile. Il perdono non esisteva tra le sue risorse, né quella che la ragazza stava dimostrando proprio in quel momento: la bontà.
Perché non era la stupidità a spingerla nelle braccia della morte, lei sapeva a cosa sarebbe andata incontro raggiungendo quei due sciocchi umani. Eppure per quella cosa chiamata amore, avrebbe rischiato.
Il giovane le esaminò meticolosamente il viso delicato segnato dalle lacrime, i grandi occhi pervasi di tristezza e speranza, le labbra rosse e bagnate.
Alla fine si scostò e prese a camminare verso la vettura. << Non adesso. >>
Gea lo pedinò con lo sguardo, sentendo un piccolo sorriso spuntare sulle labbra. Si asciugò le lacrime col dorso della mano e strinse l'orlo della maglietta tra le dita in un gesto quasi infantile. << Quindi non è più no? >>
Deimos si fermò con la mano sullo sportello, le lanciò un'occhiata da sopra il tettuccio della macchina per poi adagiarci mollemente un braccio. << Forse. Ora datti una mossa, abbiamo perso fin troppo tempo >> ordinò severo, prima di calarsi in auto con il sorriso di Gea impresso nella mente.



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