Capitolo 4

443 37 12
                                    







<< Ricordo poco di ieri. Intendo del momento in cui assorbivo energia >> esordì ad un certo punto Gea, le gambe raccolte al petto ed il mento appoggiato alle ginocchia.
Il suo sguardo era lontano, rivolto al sole infuocato che screziava la volta celeste di sfumature purpuree.
Nell'osservare quello spettacolo naturale immaginò che le lingue di fuoco attorno a quella stella incandescente fossero esplose in sprazzi di colore. La sua mente generò foto di fantasia, mostrandole lo scoppiettio del fuoco e le frustate di colore che si libravano da quei sacrifici. Ogni sbavatura rossastra veniva imprigionata e successivamente assorbita dal cielo, proprio come i colori su una tela. E più si seccavano più diventavano scuri, intensi, stimolanti, belli.
Avevano trascorso quasi tutta la giornata in macchina, erano scesi solo per fare rifornimento e darsi una rinfrescata. E così anche l'Oregon si era tramutato in una puntina su una cartina immaginaria. Un ricordo di passaggio.
Lo stato di Washington era il nuovo suolo sotto i loro piedi.
<< Però ti ho sentito >> continuò Gea, piegando la testa per guardare il ragazzo con un sorriso furbo. << Mi hai chiamata per nome. Non negarlo, sarebbe inutile, il mio udito funziona ancora benissimo. >>
<< Ho notato >> commentò severo lui. << Non sono bastate due volte per farti ubbidire. >>
La giovane fece una smorfia con la bocca. << Ubbidire. Cosa sono, un cane? >>
<< No >> rispose Deimos, mentre un sorrisetto maligno gli increspava le labbra. << Solo un'umana >> scandì a mo' di sfida.
Gea arricciò il naso indispettita e lo fulminò. << Sono indecisa se prenderti a schiaffoni o lasciar perdere. Il buon senso mi dice di mollarti una sberla, quindi ti lascio solo immaginare cosa mi suggerisca la cattiva coscienza. >>
Il sorrisetto del giovane era ancora lì, indisponente e sfrontato. << Umana. >>
Lei mosse velocemente un braccio per colpirlo sulla gamba, ma la mano di Deimos scattò prima. Aveva previsto quella mossa fin dal primo momento in cui si era divertito a stuzzicarla. Sapeva che avrebbe reagito.
Le afferrò saldamente il polso e lo strinse senza farle male.
Il cuore di Gea esplose in una serie infinita di battiti ed il respiro le si mozzò in gola.
Cercò di liberarsi, anche se non ne aveva la minima intenzione. Ci provò solo per fare scena e non rendere evidente il fatto che si stesse liquefacendo. Perché le piaceva sentire la mano del ragazzo sulla pelle. Le piaceva da morire.
<< Sei lenta >> la canzonò con un'occhiata di scherno. << E prevedibile. >>
Gea lo fissò a lungo. Si sentiva in tumulto: la mente leggera e al tempo stesso pesante.
Abbassò le grandi gemme ambrate sulla mano di lui ancora stretta attorno al suo polso. Subito dopo le rialzò. Il cuore non ne voleva sapere di rallentare, era impazzito. E più studiava il volto del giovane, il suo profilo, la sua muscolatura solida, il suo abbigliamento sempre e solo nero, quei capelli sbarazzini adesso un po' più lunghi e mossi sulla fronte, il taglio profondo dei suoi zaffiri...
<< Accosta >> disse in fretta. Deglutì un bolo di lava, il caldo che le colorava le guance. Si slacciò la cintura con uno scatto secco ed attese che il ragazzo s'immettesse nello slargo adibito ad area picnic.
Quando lui mise in folle il cambio, incollò la nuca al poggiatesta e le rivolse un'occhiata d'insofferenza, i palpiti della giovane, incredibilmente, furono in grado di aumentare.
<< Incontinenza? >> la sbeffeggiò seccato.
Per un po' Gea rimase immobile, le pozze dorate lucide come se fosse stata febbricitante. La sua mente era troppo piena di pensieri per riuscire a focalizzarsi solo su uno. Da una parte era elettrizzata, dall'altra timorosa di commettere un passo falso, di essere respinta. Nello stomaco le volavano stormi di aironi, il respiro era trafelato come dopo una lunga corsa. Poi, a dispetto di tutto, partì. Così, senza perdere altro tempo che non le sarebbe mai stato restituito.
Scavalcò il proprio sedile e si buttò a cavalcioni su Deimos, picchiando forte il ginocchio contro qualcosa di non ben identificato. Ma non le importava. Invece avvolse la mascella del ragazzo e gli alzò il viso per avventarsi sulle sue labbra.
Era la prima volta che faceva una cosa simile, che prendeva l'iniziativa con così tanta impetuosità. Il suo cervello era in panne, tutto il suo corpo in fermento, pervaso da scintille e fuoco. Le dita le formicolavano per l'eccitazione.
E, a sua insaputa, anche il cuore di qualcun altro si era trasformato in un fuoco d'artificio da cui venivano sparate raffiche di battiti.
Per la prima volta lo stomaco del ragazzo si ritrovò a dolere per qualcosa che non fosse vero dolore fisico. Qualcosa di strano glielo stava sconquassando, quello stomaco.
Le catturò i fianchi con le mani ed affondò le dita nella sua pelle con desiderio. Ed intanto che le loro lingue si cercavano come in una caccia, l'avvicinava a sé, le alzava di più la maglietta per scalare centimetro dopo centimetro quella pelle morbida che lo faceva impazzire.
<< Prevedibile anche questo? >> gli chiese Gea affannata, cercando i suoi occhi.
Deimos le passò una mano dietro il collo e la strattonò a sé. Si sporse verso la sua gola ed aprì la bocca per morderla piano.
La ragazza si schiacciò il più possibile a lui, gli occhi socchiusi e la mente invasa da una nebbia di sensazioni. Quando non avvertì più la pressione dei suoi denti, ma solo quella morbida e sensuale della lingua, non riuscì a trattenere un gemito.
Le stava leccando e succhiando ogni millimetro di pelle sul collo, e nel frattempo non smetteva di muovere le mani sulla sua schiena, sulla sua pancia, poi giù sulle gambe e di nuovo su. Ogni tocco era deciso e affamato, rovente come quei palmi con cui l'accarezzava.
<< Ti stai vendicando? >> mormorò lui rauco, afferrandole il lobo coi denti.
Gea si morse forte un labbro. Con una mano le aveva avvolto l'incavo di un ginocchio, con l'altra si era intrufolato sotto il reggiseno e le stava palpando un seno senza alcuna inibizione.
Non c'era nessuna delicatezza in quel contatto, eppure quelle lunghe dita ruvide le facevano scoppiare miliardi di scintille dietro le palpebre. Il suo corpo si modellava attorno a quelle mani come morbida creta.
<< Se anche fosse? >> si sforzò di rispondere. Abbassò la testa e cercò i suoi occhi.
Il blu delle iridi era torbido come l'acqua di un pozzo su cui si riflette la notte. Erano occhi pieni di lussuria, se ne riusciva quasi a percepire fisicamente l'avidità, il desiderio incontenibile di chi non riesce più ad aspettare.
Le afferrò il colletto della maglietta e la tirò lentamente a sé, fino a che le loro bocche non furono a pochi centimetri di distanza. Poi su quella del ragazzo si scolpì un sorrisetto sbieco. Fece scivolare la mano lungo la sua pancia, via dal seno, senza dimenticare di assaggiare ogni tratto col tatto. << Nella vendetta non si gioca mai a favore del nemico >> affermò, gli occhi socchiusi incollati alle sue labbra rosse.
Aveva voglia di baciarle fino a farle diventare gonfie e bollenti, di mordicchiarle e vezzeggiarle con la punta della lingua, di viziarle con le sue attenzioni.
Si sporse col mento per mettere in pratica ogni suo intimo desiderio, ma prima che ci riuscisse la ragazza si ritrasse.
Un sorriso dispettoso le incurvò gli angoli della bocca.
<< E chi ti dice che io stia giocando a tuo favore? >> gli domandò sollevando un sopracciglio.
In realtà non aveva minimamente premeditato d'interrompere quel momento, ma le sue parole le avevano fatto optare per un ribaltamento della consueta situazione. Per una volta voleva essere lei a lasciarlo a bocca aperta, a decretare la fine e, più semplicemente, ad averla vinta. Voleva dimostrargli che lui non era l'unico a tenere le redini del gioco, ma che se voleva poteva sfilargliele di mano quando desiderava.
E così sfilò via dalle sue gambe, riprese possesso del suo sedile e si risistemò i vestiti. Su di sé sentiva tutta l'elettricità degli zaffiri ardenti che la stavano trafiggendo.
Deimos non pronunciò parola, in compenso emise un lento respiro dal naso, quasi minaccioso.
Il cuore non aveva ancora smesso di stordirlo di battiti. E l'irrefrenabile voglia di lei era addirittura superiore alla rabbia che provava per non averla avuta.
Le tolse gli occhi di dosso con celerità, poiché vederla con il collo scoperto e rosso di baci, con le gambe nude e le guance rosate non lo favoriva in nessun modo.
Strinse i denti con forza, lo sguardo rigido e fermo oltre il parabrezza mentre pigiava sull'acceleratore e immetteva la marcia.
Procedettero in silenzio.
Deimos da una parte che non riusciva a scollarsi dalla mente il piacere della pelle della ragazza sotto le dita, dei suoi gemiti e dei suoi sospiri, di tutto ciò che non gli era stato concesso, lei dall'altra che si malediceva per aver innescato quella miccia, perché ora avrebbe solo voluto saltargli addosso. E nel frattempo si imbarazzava per ogni pensiero che faceva sul ragazzo.
Dovette addirittura abbassare il finestrino per cercare di raffreddarsi le guance.
Chiuse gli occhi, il vento fresco che le dava sollievo e refrigerio alla mente. O almeno ci provava, perché il suo cervello non sembrava intenzionato a scollarsi dall'unico protagonista di quei pensieri. Il che contribuiva a renderle più rosse le gote.
Cercò di pensare ad acqua e fuoco, tant'era disperata.
E poi ci si metteva quel silenzio che di minuto in minuto le appariva più pesante, a dir poco elettrico.
Sollevò le palpebre e intrecciò le dita, puntando lo sguardo su di esse. << Tu... >> Si schiarì la voce e corrugò la fronte per concentrarsi. << Hai qualche ipotesi su come io abbia potuto ricreare un punto alfa? >>
<< Ci stavo pensando >> dichiarò lui, il tono impassibile e freddo come se non fosse successo niente. In verità quella, al momento, era l'ultima cosa su cui stava meditando. Ma non lo confessò e Gea non lo sospettò nemmeno.
<< E ti è venuto in mente qualcosa? >>
Per un po' ricalò il silenzio. La ragazza ipotizzò che lui ci dovesse ancora riflettere.
Non poteva essere più lontana da ciò che stava realmente accadendo nella testa di Deimos. Perché in quel momento lui stava tentando, con non poco sforzo, di fare mente locale sulla domanda che gli era stata posta.
Quella fatica lo innervosiva.
Era la prima volta che gli tornava difficile focalizzarsi su una questione urgente.
Alzò il mento ed assottigliò lo sguardo per l'irritazione. << No. >>
<< No >> ripeté la giovane, guardandolo inespressiva. A quel punto si chiedeva perché ci avesse pensato tanto se la risposta sarebbe stata un secco monosillabo.
Deimos irrigidì i muscoli delle braccia. Quel che gli stava succedendo era per lui innaturale, privo di disciplina e rigore. Non riusciva a tollerare il fatto di non esercitare controllo sulla propria mente.
Gea scrollò le spalle vedendo che lui non pareva intenzionato a proseguire il discorso. Sembrava preso da tutt'altro: i suoi occhi erano incastonati sulla strada, ma chiaramente da un'altra parte. Il blu misterioso pareva ribollire di rabbia.
<< Be', io un'idea credo di essermela fatta >> asserì lei. << Probabilmente l'energia vitale nel mio corpo era scesa sotto una certa soglia, il che rappresentava un rischio per il mio elemento. Questo deve avermi spinta a ricreare un punto alfa. >>
Ancora una volta, non poteva essere più distante dalla verità.
Perché quel punto alfa non era sorto nel fitto del bosco per la sua scarsa energia, bensì per il motivo opposto. Erano le sue emozioni la matrice per cui si manifestavano involontariamente i suoi poteri. Più forti esse erano, più forte era la facoltà di generare. Le potenti emozioni che aveva provato durante la loro notte di passione, unite ai sentimenti puri e profondi per quel ragazzo, erano esplosi in un bocciolo pieno di vita sul ramo di un faggio.
Il suo punto alfa, la matrice della sua energia, si era ricreato a partire dalla matrice dei suoi poteri. Era un circolo perfetto e solo generativo, basato su un equilibrio naturale.
Se Deimos era la distruzione, lei era la creazione. Apparentemente inconciliabili, eppure strettamente legati. Perché tutto ciò che veniva creato poteva essere distrutto, ma anche tutto ciò che era stato distrutto poteva essere ricreato. L'uno non escludeva l'altro in alcun modo. 
E quella notte, quei due poli tanto distanti quanto prossimi, avevano raggiunto una coesistenza. Dalla distruzione presente in Deimos erano sorte scintille di emozioni tradotte in gesti; gesti che avevano generato altrettante emozioni in Gea, le quali, a loro volta, si erano tramutate in creazione.
La ragazza ricordò la sensazione dell'energia che le fluiva nel corpo, del dolore misto a piacere che aveva provato.
Scavò nella memoria per rammentare la prima volta che aveva visto il suo pesco, un pomeriggio di ritorno dalla biblioteca. Lo aveva trovato subito bello, incredibilmente attraente, la sua vista aveva quasi posto una lente d'ingrandimento su di esso. Le aveva mostrato una gemma rosata riparata dai rami, tanto fragile quanto salda nella sua compostezza.
E poi, d'un tratto, un vecchio ricordo le riaffiorò nella mente come un silenzioso serpente. Strisciò davanti ai suoi occhi e si destreggiò tra le sue emozioni, facendole rammentare l'orribile sensazione di trovarsi nel mirino di un cacciatore.
Ricordò il buio, il suo punto alfa alle spalle e... una voce. Una voce ormai familiare.
Aggrottò la fronte mentre una spiacevole angoscia le opprimeva lo stomaco. << Deimos io ti ho sognato >> disse.
Quelle parole catturarono l'attenzione del ragazzo, che le rivolse una breve occhiata. << Che vuoi dire? >>
<< Sì, la notte in cui è emerso il mio potere >> continuò lei, gesticolando per l'agitazione crescente. << Ero accanto al mio punto alfa, era buio e non riuscivo a vederti, ma tu... tu eri lì. Mi hai parlato, hai detto qualcosa riguardo al mio potere. Ti ho chiesto chi fossi, ma tu hai risposto che la vera domanda era un'altra. >> Scosse la testa in preda alla confusione. << Perché lo ricordo così bene se è stato solo un sogno? E perché ti avrei dovuto sognare? Non può essere una coincidenza, non ne esistono di così precise. >>
Deimos rimase in silenzio. Gli zaffiri non si distrassero neanche per un secondo dalla strada. Ma le ossa delle sue mandibole divennero più pronunciate, la sua mascella divenne rigida come un blocco di ghiaccio.
A Gea non sfuggì quel dettaglio. << Cosa c'è? Se sai qualcosa dillo, per favore. Sono stufa di conoscere le cose per metà. >>
<< Non era un sogno >> confessò lui, il tono impassibile. Buttò un'occhiata allo specchietto retrovisore e spinse sull'acceleratore. Da quei gesti la ragazza capì che era nervoso. Ogni volta che qualcosa lo irritava controllava le corsie, una sorta di riflesso istintivo per assicurarsi di possedere il controllo su qualcosa; subito dopo accelerava, come a voler ribadire la sua totale capacità di gestione.
Era una reazione dettata dall'esperienza quando sentiva che qualcosa gli stava sfuggendo di mano.
<< Era un ricordo del precedente elemento terra >> disse poi, senza variare l'inflessione della voce. << Ma il tuo subconscio lo ha modificato in base alla locazione del tuo punto alfa. Il ricordo del tuo predecessore era ambientato altrove, il suo punto alfa era diverso dal tuo. >>
I grandi occhi della giovane erano sgranati, prossimi ad uscirle dalle orbite. Se quella risposta avrebbe dovuto trasformare i suoi punti interrogativi in punti fermi, in realtà non fece che accrescerli. 
<< Perché un suo ricordo sarebbe dovuto finire tra i miei? >>
<< A volte succede, non c'è una spiegazione. Un rito di passaggio. >>
Gea esaminò minuziosamente il profilo del ragazzo. Notò che la sua postura era ancora immobile e tesa come se fosse in apnea.
<< Tu eri nel ricordo >> constatò confusa. << A quando risaliva quel momento? >>
Deimos gettò un'occhiata veloce allo specchietto. << Tre mesi e mezzo prima che diventassi tu l'incarnante della terra. >>
La giovane strabuzzò nuovamente gli occhi. << Il mio predecessore ha mantenuto il suo potere soltanto per tre mesi e mezzo? >> Si schiacciò al sedile e spostò lo sguardo davanti a sé. << Mio Dio >> bisbigliò, la paura che le schiacciava la cassa toracica.
Per un attimo la sua mente fu schermata dal terrore. Non poté fare a meno di contare da quanto tempo detenesse il proprio potere, come se allo scadere dei tre mesi e mezzo anche lei avrebbe fatto una brutta fine. Ma poi ricordò le parole di Deimos e le domande ricominciarono a fluirle in massa nella testa. Le inondarono ogni spazio mentale come se la diga piena di crepe che tratteneva i punti interrogativi si fosse sventrata.
<< Aspetta un attimo >> disse aggrottando la fronte. << Hai detto che se un elemento elimina l'altro, il potere della vittima confluisce nell'assassino. Quindi non è possibile che il mio predecessore sia morto per mano di acqua e fuoco, altrimenti io non dovrei essere qua. È morto per cause naturali >> concluse.
Il ragazzo spinse sull'acceleratore, dopodiché si aggrappò con forza al volante. << Non è morto per cause naturali >> rivelò serio. << Si è tolto la vita. >>
Dei brividi saettarono sulla pelle di Gea, facendogliela accapponare. Non riusciva a non tenere gli occhi sgranati e la bocca dischiusa dallo shock.
Perché in quel momento non era la paura a serrarle lo stomaco, ma il dispiacere e l'orrore di una vita spezzata. La vita del suo predecessore, che, se anche non lo aveva mai visto, sentiva in qualche modo familiare. Perché era stato lui a trasmetterle quel potere enorme, a renderla protagonista di un quadro essenziale. A renderla più protagonista di quanto fosse mai stata nella sua famiglia.
Una persona sconosciuta le aveva fatto il dono più grande: l'aveva accesa di vita. Perché prima che tutto venisse stravolto, lei non sapeva chi fosse, non sapeva di cosa fosse capace, non credeva in se stessa, viveva giorno per giorno nella sua stessa ombra, secondo una routine piena di limiti imposti dalla mente.
I suoi genitori le avevano donato la vita, ma non le avevano insegnato a viverla. Quella persona sconosciuta le aveva donato la voglia di vivere, donandole un potere che ogni minuto la faceva confrontare con se stessa.
<< Lo... lo conoscevi? Era un ragazzo o... >> La voce le si graffiò a causa del magone che le si era conficcato in gola.
<< L'ho visto la notte in cui ha acquisito il proprio potere. Dall'accento era inglese, ma viveva in Canada. Nel momento in cui si è trasformato ero nei paraggi. Non mi ci è voluto nulla a localizzarlo. >>
Gea si schiarì la voce. << È il ricordo che ho io? >>
<< Sì. >>
<< Quindi lui aveva raggiunto il suo punto alfa la notte stessa della trasformazione. >>
<< Sì. >> Gli occhi di Deimos si fecero più profondi, come se dal fondale di quei pozzi blu stessero risalendo a galla immagini e ricordi. << Il suo punto alfa era una rientranza di roccia in cui era sorto un cespuglio di arbusti. >>
Gea voltò la testa lentamente. << Tu conosci i punti alfa di tutti gli elementi? >>
La mascella del ragazzo pareva di granito tant'era contratta. << No. I punti alfa sono invisibili alle mie percezioni. Lo stesso vale per ciascun elemento nei confronti di un punto alfa che non sia il suo; non lo percepiscono. Acqua, fuoco e aria non possono conoscere quale sia il tuo a meno che non ti vedano assorbirgli energia con i propri occhi. >>
<< E cosa succederebbe se un giorno acqua e fuoco mi scoprissero? Potrebbero distruggere il mio punto alfa? >>
Deimos inspirò forte dal naso e sollevò il mento, gli zaffiri scuri come il piombo. << Sì, potrebbero. Ma non moriresti subito, sarebbe una morte lenta e consapevole. >> Il suo tono si fece man mano più duro e freddo. << Quando avrai bisogno di energie non le troverai. Il tuo corpo verrà annientato internamente dal peso di un potere che per sopravvivere divorerà ogni briciolo di energia che possiedi. Un organo dopo l'altro sopperirà, impazzirai di dolore fin quando il tuo potere non risucchierà anche l'ultimo battito. >>
Gea boccheggiò d'angoscia e terrore. Perché più otteneva risposte più sentiva il mondo crollarle addosso? Si sentiva frastornata e con mille ombre alle spalle. Eppure non poteva preferire un'ignoranza che le avrebbe sicuramente fatto compiere dei passi falsi.
La conoscenza richiedeva un prezzo, sempre.
<< Non dovresti mai rendere palese il tuo punto alfa >> aggiunse il ragazzo, estremamente serio. << A nessuno. >>
Gea annuì decisa. << Ho capito. >>
Il pensiero le corse subito all'incarnante dell'aria. Anche se reputava Ninlil un'alleata e un'amica, non poteva fidarsi completamente. Non la conosceva abbastanza bene da essere certa delle sue intenzioni, e anche se l'avesse conosciuta come le proprie tasche non avrebbe potuto essere sicura fin in fondo della sua lealtà.
Erano ancora troppe le cose che lei stessa le nascondeva, come il fatto di possedere anche un potere curativo e di poter fermare il tempo. Se Ninlil fosse stata a conoscenza di tutto ciò, compresa l'ubicazione del suo punto alfa, le sarebbe stata ancora alleata?
La lealtà incondizionata era pregio di pochi, l'avidità sfrenata difetto di molti. E lei non possedeva i mezzi per schierare Ninlil in nessuna delle due parti.
<< Ho un'ultima domanda >> affermò scorrendo con lo sguardo sul ragazzo. << Avevi detto che il potere di ogni elemento si tramanda per morte naturale, ma nel caso del mio predecessore non è stato così. Quindi perché io l'ho ereditato? >>
<< Se un elemento ne uccide un altro il potere confluisce nel carnefice; lo stesso vale quando un elemento diventa assassino di se stesso, ma in quel caso il potere resta nel proprio elemento. Se terra elimina terra, tutto confluisce in un altro incarnante della terra. >>
Gea continuò ad osservare Deimos. Esaminò il freddo rigore con cui non distoglieva mai gli zaffiri dalla strada, con cui impugnava il volante e stava immobile sul sedile, come se non fosse di pelle, ma di spine. Ma al di là di ogni aspetto più apparente, notò che qualcosa lo turbava. Un turbamento latente capace d'inasprirgli i duri tratti del volto ed irrigidirlo come una statua.
<< Che cos'hai? >> gli chiese piano.
Lui non rispose. Non la guardò nemmeno.
<< Tu ed il mio predecessore eravate amici? >> provò di nuovo, sperando in una qualche reazione. Aveva notato, infatti, che il suo drastico cambio d'umore era avvenuto nel momento in cui il discorso si era incentrato proprio sul precedente incarnante della terra.
La bocca di Deimos s'incurvò in un sorriso sprezzante e derisorio.
Per un po' continuò a tacere, come se non potesse credere alle proprie orecchie.
<< Amici >> ripeté poi, come se quella parola lo divertisse e nauseasse al tempo stesso.
<< Ne hai mai avuto uno? >> domandò calma lei, cercando di farlo aprire piano piano.
<< Non spreco tempo dietro le inutilità. >>
Gea cacciò una ciocca di capelli con aria scherzosamente altezzosa. << Deduco di essere molto utile alla tua esistenza, allora >> asserì annuendo. << Il che è comprensibile, sono una manna dal cielo che porta solo gioia e benessere. >>
Deimos le rivolse un'occhiata obliqua, la bocca piegata in un sorrisetto beffardo. << Ridimensionati, umana. >>
Un secondo dopo la ragazza lo stava fulminando aspramente. << Come distruggere un momento di gloria: la Bibbia secondo Deimos. Prossimamente in tutte le librerie. >>
Il sorriso del ragazzo si allargò appena. Girò un attimo la testa per guardarla in quegli stizziti occhi castano chiaro che lo stavano mitragliando di occhiatacce.
Ne era divertito, molto. Ogni volta che s'indispettiva arricciava il naso e stringeva le labbra, la sua espressione mutava in quella di una bambina a cui è stato tolto il lecca lecca, e non in una truce come probabilmente credeva. 
Stese il braccio e le acciuffò il mento in una mano, alternando lo sguardo tra la strada e lei.
Il cuore di Gea per poco non scoppiò dall'emozione, ma pur di mascherarla gli schiaffeggiò debolmente l'avambraccio. << Mi fai male. >>
Gli angoli della bocca di Deimos s'incresparono in un mezzo sorriso mordace. Salì con le dita sulle sue guance e le strizzò energicamente. << Hai detto qualcosa? >> la beffeggiò con un sopracciglio sollevato.
Il cipiglio di Gea si fece più profondo mentre lo infilzava con lo sguardo, la bocca e le guance compresse come una bambina. << Fei pliritoso tome una ciaccia di licciome im falcia >> farfugliò.
<< Parla bene, sei incomprensibile >> la stuzzicò, spremendole ancora di più le guance.
La giovane sbuffò sul suo palmo, poi le sue iridi si vivacizzarono furbescamente. << Ne applofillerò pel insulciarti. Vanvo no ciapisci. >>
<< Provaci >> la provocò lui, rivolgendole un sorrisetto nient'affatto amichevole. << Valgono ancora tutte le regole. >>
Gea aprì la bocca e si sporse per cercare di morderlo scherzosamente. A quel punto il ragazzo la lasciò andare.
<< Già, dimenticavo >> pronunciò poi lei, sfregandosi i lati della faccia con le mani. << I dieci comandamenti rivisitati in chiave Deimossiana. Ovviamente saranno allegati alla Bibbia secondo Deimos. >>
Il ragazzo le gettò un'occhiata di monito, sebbene un angolo della bocca fosse increspato. << Hai appena infranto la prima regola. >>
Gea si portò una mano sul petto ed abbassò la testa con aria avvilita. << Me peccatrice. >> Rialzò il viso e gli sorrise divertita. << Dai, non mi sto prendendo gioco di te. Scherzo e basta >> precisò tirandogli una leggera pacca contro il braccio.
<< La differenza? >> Le labbra del giovane si stesero in un sorrisino maligno. << Dammi un motivo più valido per non buttarti fuori di qua. >>
Lei strabuzzò gli occhi. << Come buttarmi fuori? E va bene, vuoi un valido motivo? Te lo darò >> dichiarò risoluta. Le sue pozze d'ambra si animarono di quella certezza mentre incastrava lo sguardo su di lui.
<< Preferirei che me lo dicessero gli altri, ma per questa volta farò un'eccezione. Un motivo? Sono simpatica >> sparò incrociando le braccia al petto. << Ti rallegro le giornate, ammettilo. >>
<< Mi vedi allegro? >>
Gea sventolò una mano come per scacciare una mosca. << Sappiamo entrambi che non mostri troppo le tue emozioni. Ma va bene, questo non ti basta? >> Sospirò e si strinse il ponte del naso tra pollice ed indice. << Non volevo ricorrere proprio a questo motivo, ma mi stai costringendo. Non vedo altra soluzione. >> Sospirò ancora e issò la testa.
Deimos sollevò un sopracciglio. Ci fu un momento di silenzio.
Alla fine lei scosse il capo, come se le successive parole le costassero dolore, e si appoggiò una mano sul petto. << D'accordo, d'accordo, lo dirò. >> Altra pausa. << So cucinare benissimo. >>
<< Fuori. >>
Gea scoppiò a ridere, notando che lui stava rallentando sul serio, e si aggrappò ad un suo braccio. << Non farti del male privandoti della mia cucina. Credi di poter gustare da qualche altra parte i piatti favolosi... >>
<< Immondizia >> la corresse secco lui.
<< Sì, va bene, dell'immondizia favolosa come quella che ti ho cucinato io? Sii realista. >>
Un sorriso divertito si propagò sulle labbra di Deimos, che si voltò un attimo per guardarla negli occhi.
Il cuore gli batté più forte quando sprofondò nel calore di quelle iridi accese d'ilarità. Lo sentì sussultare, quasi, quell'organo. Perché, con la stessa violenza di un pugno, si accorse che tutto, tutto quello, non lo avrebbe trovato da nessun'altra parte. Non con lo stesso effetto che aveva su di lui, non con lo stesso sorriso, non con la stessa espressione burlona, non con gli stessi grandi occhi castani.
E mentre lo pensava si rese conto di un'altra cosa. Si accorse di essere stato tremendamente realista.



I misteri del tetraedro Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora