Uno. La melodia del mare

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La notte si impadronisce dei luoghi come una mantide silenziosa. Come punti di luce, piccoli diamanti incastonati in un diadema prezioso, le stelle mi accompagnano vigili dove l'irruenza dell'uomo non è arrivata. O non è voluta arrivare.

Duemila anni fa, una statua di Nettuno presidiava questo mare dalle correnti mostruose. Gli antichi lo chiamavano fretum, lo «stretto», una pennellata blu tra due terre, Calabria e Sicilia. Il luogo più misterioso, dove Ulisse era passato indenne a Scilla e Cariddi, dove la Fata Morgana ingannava i marinai con le sue illusioni e dove i legionari romani della Decima Fretensis, voluta da Ottaviano Augusto imperatore, attraversavano le acque per dirigersi verso la Palestina. Erano gli anni del profeta Gesù Cristo, poi crocifisso e trafitto a morte.

Cosa accada realmente, nelle acque gelide dello Stretto, nessuno è mai riuscito a comprenderlo, al di là delle leggende. Piccoli vortici formano correnti pericolosissime, e a guardarle dall'altopiano di Campo Calabro sembrano uno spettacolo orchestrato da un demiurgo sapiente.

Alzo lo sguardo. Un aereo vira conducendo una manovra a forma di mezzaluna solcando i monti siculi, in modo da allinearsi alla pista dell'aeroporto così vicino al mare. Da lassù, le Isole Eolie, sparse come pepite, l'Etna voluttuoso, le scogliere aspre di Bagnara, appaiono in tutto il loro splendore naturale.

Assaporo l'aria di mare, tratteggio simboli sulla sabbia. Cerco di perdermi nelle illusioni di Morgana che, tuttavia, non mi investono. Mi sdraio e tra le grotte della vicina Scilla e i pescatori ormai al largo, mi abbandono al ribollire della spuma marina. In fondo, è da distesi che si vede il cielo.

Lasciata a bruciare l'antica Ilio, nella notte degli inganni, dal mare Egeo si avvicinava, spinta dal vento, la nave maestra che conduceva Ulisse verso la pietrosa Itaca. Udii un canto melodioso, un'armonia celeste che s'effondeva col bisbiglio dei flutti marini. Non alzai gli occhi, rimasi a guardare le stelle.

Conoscevo quel canto. Odisseo s'avvicinava lento, con la sua nave. Dall'acqua, di rado, emergevano come delfini festosi, meravigliose figure marine che subito si perdevano tra le onde.

Irresistibile, seducente, candido, il canto delle sirene. Chi è riuscito a scorgerne almeno una sa di cosa parlo. Volti di donna dall'aspetto meraviglioso, occhi che sprigionano voluttà e desiderio, e che nascondono nelle latebre estreme del loro essere un segreto di diabolica perfezione.

Odisseo conosce quell'inganno. Desidera avvicinarsi a esse perché niente può trattenerlo. Ma da Circe e Medea ha imparato che la bellezza, nel suo viaggio, nasconde sempre le insidie più atroci.

Stregano, incantano, abbagliano, rapiscono quelle creature venute dal mare. Odisseo lo sa. L'impulso alla bellezza è troppo forte ma è consapevole che abbandonandosi al piacere non attraverserebbe mai quel mare periglioso. Ai suoi marinai fa una richiesta insolita. I marinai non comprendono. Obbediscono.

Ormai la nave è prossima a solcare il mare che costeggia l'antro delle sirene. Le stelle non mi rapiscono più. Alzo lo sguardo, mi avvicino alla riva. La nave, possente, veleggia spedita mentre sull'albero maestro la figura di un uomo si erge maestosa. Gli occhi gli brillano di un fuoco sconosciuto, le membra cercano di divincolarsi dalle strette di quei nodi che lo imprigionano. Legato all'albero maestro, Odisseo resiste al canto delle sirene che circondano la nave. La melodia, dove mi trovo io, è quasi impercettibile.

Sconfitte dall'indifferenza, le sirene guizzano infelici nelle profondità del mare. Odisseo ha resistito alla bellezza, al sapore incantevole della musica e dell'estetica che si fanno unico strumento seduttivo.

Quell'uomo dalle mille risorse ce l'ha fatta. Mi distendo a guardare le stelle, mentre la nave sta per attraversare lo stretto di Messina, tra le insidie di Scilla e Cariddi. È da qui che comincia la mia storia. La storia di un viaggio. Che come per ogni viaggio, è la storia di una ricerca.

Ricerca di guarigione.


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