-5..10..15...20 dollari e 50 centesimi! - bisbigliò soddisfatta Andrea, sfogliandole banconote che aveva appena guadagnato. Le ripose poi nel portafogli di cuoio, assieme a delle monetine tintinnanti. Aveva appena guadagnato quei pochi soldi in sordina da una delle sue ultime commissioni; pochi ma sufficienti per un pranzo, dell'ulteriore materiale per dipingere e per degli eventuali biglietti dell'autobus,almeno per una ragazza di diciotto anni e mezzo come lei. Imparare a campare autonomamente dopo cinque anni di liceo artistico non era di certo una passeggiata, e lo sapeva bene. Trovare lavoro non era di certo più facile, soprattutto per chi, come lei, sognava di fare l'artista e guadagnare vendendo le sue opere. Chiunque fosse riuscito a fare dell'arte un lavoro sarebbe stata una persona felice, pensava lei, perché fare arte era la cosa che amava di più al mondo.Andrea, aveva sempre amato disegnare sin da quando era piccola e pasticciava con le mani nei barattoli di vernice; la sua passione per l'arte l'aveva sempre accompagnata nella vita, tante erano le mostre che aveva visitato, tanti erano gli artisti che ammirava, tante erano le cose imparate nei suoi cinque estenuanti (ma proficui!) anni di scuola superiore, e tanta era la sua voglia di esplorare il mondo dell'arte per goderselo fino in fondo. Voleva vivere di arte. Ed ora che aveva diciotto anni, quasi diciannove, come diceva lei, era pronta ed era disposta a tutto per riuscire a diventare qualcuno,come aveva sempre sognato. Si motivava spesso pensando a come per raggiungere il successo non sarebbe mai stato possibile prendere un ascensore, ma soltanto usare le scale, e che lei sarebbe riuscita a salire quella rampa. Ed ora tentava di iniziare la sua scalata verso il successo da semplici commissioni vendute per pochi dollari quasi illegalmente. Dipingeva in uno studio ricavato da una mansarda di un vecchio appartamento in un quartiere suburbano di New York, dove viveva. Una postazione che da diroccata e fatiscente era diventata un bellissimo ed originale studio grazie alla sua creatività ed all'aiuto dei suoi genitori, che l'avevano sempre sostenuta. Era così fortunata, pensava. Due genitori che le volevano bene, un sogno da portare avanti e la possibilità di guadagno che stava al momento funzionando. Cosa poteva chiedere di meglio? L'idillio dei suoi pensieri fu interrotto dallo sbattere della porta d'ingresso della mansarda: - Andrea! Ma hai intenzione di marcire lì dentro? - disse una voce argentina. Andrea si voltò. La voce apparteneva alla sua amica del cuore, Abbey, che aveva irrotto nella stanza, rigorosamente senza bussare, come di consueto. Aveva in mano due sacchetti dai quali proveniva un profumo invitante.
-Se continuerai ad entrare con così tanta foga, scardinerai la porta!- rise Andrea, voltandosi. -È proprio quello che spero, dato che non si apre mai! Sono di passaggio ma tra pochissimo mi tocca volare al bronx ...ti piacerebbe venire? - le rispose Abbey, col suo solito tono scherzoso. Era una ragazza americana poco di buono, che non dava molto peso a quanto il suo vestiario fosse composto, femminile ed all'ultima moda. Passava il suo tempo a bighellonare per i marciapiedi dei quartieri della Grande Mela con il suo inseparabile skateboard, fumava e graffitava i muri. Andrea fece una risatina imbarazzata:- Grazie ma... - la sua frase venne interrotta da un sonoro rutto di Abbey :- NO grazie, giusto? - la corresse sarcasticamente, accartocciando la lattina di Coca-Cola vuota che stava bevendo e calciandola con noncuranza verso un punto a caso della mansarda. - Ho pensato che avresti gradito qualcosa da ficcare in pancia, visto che conoscendoti non avrai fatto colazione neanche stamattina! - disse porgendo all'amica due sacchetti di carta marrone per alimenti. Andrea li prese e li aprì, curiosando al loro interno.- Uuh, un muffin al cioccolato, dei pancakes e un milkshake al cioccolato! Abbey, sei fantastica! - tirò fuori dal pacchetto il dolcetto al cioccolato, e mentre lo divideva a metà, si accorse che in entrambi i sacchetti, la ricevuta non c'era. Probabilmente quelcibo era stato rubato. - Abbey, dimmi la verità. Questa roba l'hai fregata di nuovo? Non ne avevamo già parlato?- la ragazza alzò le spalle - Oh, che vuoi che ti dica, qualche deficiente al McDrive aveva scordato la sua sbobba e praticamente ce l'avevo servita su un piatto d'argento, di certo non potevo mica lasciarla lì! Ringraziami invece che te l'ho portata, altrimenti digiunavi di nuovo,stronzetta! - disse dandole una pacca sulla spalla. Andrea scoppiò in una fragorosa risata, era ormai più che abituata ai comportamenti della sua amica, che nonostante tutto le era sempre vicina. Le porsela metà del muffin che aveva appena diviso, mentre si scambiavano uno sguardo complice.
Andrea sedeva a terra, a gambe incrociate, svuotando il contenuto dell'altro sacchetto, mentre Abbey, seduta a gambe accavallate sul davanzale della finestra, si accendeva una sigaretta. Una folata di fumo fece tossire Andrea:- Potresti almeno aprire quella cavolo di finestra quando fumi? - Abbey ruotò gli occhi verso l'alto, ed aprì scocciata una parte della finestra circolare, sbuffando. Da lassù si poteva sentire la voce della città. I motori delle macchine, un clacson dopo l'altro tra le voci delle persone che formavano un brusio tanto fastidioso quanto, per certi tipi di orecchio,rilassante. In un certo senso tutto quel rumore lasciava intendere che New York era una città viva. Sempre e comunque, ciò che tutti dicevano sulla Grande Mela, era che essa non dormiva mai, e Andrea lo poteva confermare quando, a volte si svegliava durante la notte e sentiva una miriade di suoni e rumori diversi. Un clacson, ed un altro ancora. Un urlo di qualche vandalo ed un altro ancora. La musica che proveniva da qualche night club. E poi, ciò che si vedeva...le luci colorate che si accendevano in un punto e si spegnevano nell'altro punto della città. Se si fosse potuto associare un suono per ogni luce, si sarebbe potuta creare una musica parecchio particolare, ma comunque materiale di ascolto interessante,pensava la ragazza. Era sicura che avrebbe potuto riuscire a rendere concreta una cosa del genere, se ne fosse stata in grado. Di nuovo,Abbey ruttò, e Andrea cadde dalle nuvole. - Oi, tipa. Prendi questo,l'ho trovato e ti ho pensato! - la ragazza aveva in mano un volantino. L'amica lo guardò. Era sporco, e quasi bruciato come se qualcuno di sua conoscenza ci avesse spento dei mozziconi di sigaretta sopra: - Fa vedere... - lo girò e lo scrutò da ambo i lati – ma non si capisce niente! -
Abbey le sfilò il pezzo di carta dalle mani:- Cristo santo, danno un expo al museo Guggenheim, e a quanto ho capito della gente viene e mette in mostra i quadri. Se porti la tua roba magari ti prende qualcuno, ho sentito che un tizio una volta si è imbucato ad una fiera di artisti emergenti che, cioè,era tipo un mercatino delle pulci e qualche persona famosa lo ha fatto salire alle stelle!
- Ma è strano, Peggy Guggenheim fa esporre soltanto gente che ormai gode già di una certa fama, personalmente non credo che una come lei possa aprire una fiera per artisti emergenti...figurarsi in un museo di quella portata... -commentò Andrea, perplessa.
- Ma su, è così ti dico io, fidati.La roba si tiene domani. Scegli qualche lavoretto e andiamo assieme.- saltò giù dalla finestra e prese lo skateboard sotto il braccio.- Buona, io vado! Allora d'accordo per domani eh!
Andrea rimase sola, appoggiata alla finestra, indecisa sul da farsi. Il vetro le rimandava la sua immagine riflessa. Vedeva i suoi capelli bianchi dovuti al suo albinismo, i suoi occhiali quadrati che le nascondevano il viso. Le sue iridi nere come ebano, che iniziarono a muoversi rapidamente. Le succedeva sempre, quando era confusa, che gli occhi iniziassero a muoversi involontariamente oscillando veloci, anche se stava portando gli occhiali, che normalmente la aiutavano a correggere il difetto e a tenerli fermi. Era sotto sforzo mentale,non sapeva se partecipare a quella mostra con i suoi lavori le sarebbe stato utile o meno. Sarebbero piaciuti? E soprattutto, che avrebbe detto la gente riguardo al suo aspetto fisico? Era combattuta. Non riuscendo più a pensare nè a sopportare l'emicrania che si stava facendo venire a furia delle sue paturnie. Si stese sopra un pouf e si appisolò.
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World-famous for fifteen minutes.
Ficción GeneralNew York, anni '60. Andrea Lohraw, quasi diciannovenne, neo-diplomata, cerca di trarre fonte di guadagno economico da ciò che più ama: dipingere e fare arte in generale. Se solo a bloccarla non fosse la sua paura di essere malgiudicata per il suo vi...